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HomeArticoliApocalittici e disintegrati. Le conseguenze del digitale a Kilowatt 2024

Apocalittici e disintegrati. Le conseguenze del digitale a Kilowatt 2024

Un viaggio sulle conseguenze tragiche del digitale nell’era contemporanea a partire da tre spettacoli presentati a Kilowatt Festival 2024 

QAnon Revolution. Foto Evoé Teatro

Siamo ancora all’interno dell’equazione dicotomica che diede titolo a uno dei più famosi volumi di Umberto Eco e che posizionava da una parte gli apocalittici, ovvero coloro i quali fuggivano dai mezzi di comunicazione di massa legati a filo doppio con le nuove tecnologie allora disponibili, e dall’altra gli integrati che entusiasticamente accoglievano il progresso. In questo mondo di nativi digitali, la questione si sposta su un piano di maggiore e necessaria consapevolezza, dove la scelta non può essere più se aderire o meno alla fitta gamma di strumentazioni e saperi tecnologizzati, quanto se si sia in grado di farne un uso ragionato, non incontrollato, etico, che non amplifichi ancora di più le storture già insite nei comportamenti umani.

È a questa deriva che penso nel breve ma intenso periodo che passo a Kilowatt Festival, il cui claim di quest’anno – Contengo moltitudini – indaga la possibilità di esplorare pluralità di pensiero, di azione, di comportamenti, di codici, di adesione a mondi plurimi. Con un carnet fitto di spettacoli quale è quello di questa ventiduesima edizione, nei due giorni di visione (durante i quali hanno avuto luogo anche l’incontro Corpo, intimità e scritture digitali e l’inizio della Summer school dedicata alle Digital Performing Arts) è stato possibile rintracciare da più parti non solo lo spazio per un dibattito legato alla contemporaneità tecnologica, quanto a una sorta di messa in guardia rispetto a degli approcci malsani e distruttivi verso quei meccanismi ipereccitati dal digitale e dalle logiche che ne derivano.

AI Love. Foto Luca Del Pia

A innescare per prima questa riflessione è stata sicuramente la ricerca di Mara Oscar Cassiani, con AI Love, Ghosts and Uncanny Valleys. Definita una performance digitale ma strutturata a mio avviso più come condivisione in live streaming corredata da un’istallazione visiva il cui impatto è da ricalibrare, ciò che appare più interessante, al di là dell’elemento estetico, è proprio il quesito filosofico ed etico che muove alla base, ovvero se “ci si possa innamorare di un avatar”. La ricerca partiva dalla volontà dell’artista di superare l’allontanamento coatto di una persona amata e l’assunto radicale di rivolgere il proprio affetto su un’intelligenza artificiale da compagnia, salvo poi scoprire l’esistenza di una miriade di creatori/disegnatori di companion robots – il più delle volte per scopi sessuali– e lì necessariamente rivedere la propria posizione. Queste entità venivano ideate, attribuite caratteristiche fisiche e di risposte comportamentali e poi ben presto abbandonate, cancellate con una velocità e una noncuranza troppo alte perché non lasciassero scorgere dubbi circa la liceità dell’utilizzo. Per quanto per molti di questi utenti l’approccio alle AI sia visto come una fuga preferibile alla realtà, l’aspetto digitale non deve essere contrapposto a reale, in quanto parte abbondante delle nostre interazioni, causa di conseguenze anche fatali.

Foto Luca Del PIa

Questo consumismo relazionale che è stato al centro di sterminate letterature distopiche (dalla Coppelia dagli occhi di smalto del 1870 alla produzione di Philip Dick, da film come AI, I-Robot, Her, a miriadi di produzioni per anime e manga, giusto per citarne alcuni), adesso sembra essere pienamente calato nella quotidianità di molti e la ricerca di Cassiani vuole proprio mettere criticamente in luce un atteggiamento egoistico e noncurante. I corpi digitali di queste intelligenze artificiali non sopravvivono più, racconta, se non in forma di pochi bit, di ricordo digitale di forme provocanti, iconiche e paradossali (tra quelle più improbabili appare anche il corpo diviso in una metà donna formosa e metà orso bianco, creata erroneamente). Eppure, l’umanizzazione di questi enti (Spesso Cassiani definisce il non utilizzo o l’abbandono di queste AI come di “uccisioni”), se da una prospettiva potrebbe sembrare eccessiva, d’altro canto non fa che dare ulteriori connotazioni agli utilizzatori, statisticamente in netta maggioranza uomini, isolati, abbrutiti e arrabbiati con un mondo di cui non hanno il controllo e da cui scappano.

QAnon Revolution. Foto Luca Del PIa

Personalità da queste non troppo diverse nella solitudine e nei dolori non processati sono quelle che abitano l’America complottista e guerrafondaia della (speriamo) ultima era Trump. QANON REVOLUTION, di Riccardo Tabilio e diretto da Silvio Peroni per Evoé Teatro è uno spettacolo dal ritmo incalzante, che intreccia le storie di tre personaggi distinti (in scena Emanuele Cerra, Alice Conti e Gabriele Matté); questi iscritti, ciascuno con proprie motivazioni, su una chatroom nel deep web, si troveranno a condividere insieme un feroce desiderio di rivoluzione che farà leva su istinti irrazionali  ma che nei fatti invece diventerà una macchinazione feroce ad opera delle parole dell’utente anonimo Q. A ritroso da uno degli episodi più grandi legati a teorie cospirazioniste, l’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, Tabilio costruisce una storia corale che ha il respiro e il ritmo da serie hollywoodiana, con personaggi tagliati chirurgicamente: la soldatessa rientrata con PTSD ma anche un residuo e malcelato istinto di continuare a uccidere; il bravo ragazzo che deve fare i conti con il fantasma del fratello morto, padre single con figli perché la moglie lo ha lasciato; l’attorucolo con manie di grandezza e una realtà squallida da cui scappare. Le loro storie si intrecciano su una scena (a cura di Lorenzo Zanghielli)  sulla quale campeggia uno schermo in cui appaiono brandelli di chat, in mezzo a una polverosità che sa di deserti e solitudini, bandiere americane e miti cui tentare di aggrapparsi per non soccombere. La drammaturgia rispecchia un linguaggio serrato e soprattutto rimanda a un senso di inadeguatezza, sconforto e impotenza che, miscelati a un generico desiderio di vendetta e riscatto, a ipotesi di verità taciute e necessità di trovare un colpevole anche dove non c’è, diventano il terreno fertile perché possano attecchire azioni pericolose. Qui l’informazione riservata si fa forte proprio perché arriva da una fonte immateriale, invisibile, che dell’essenza digitale prende tutte le caratteristiche e, facendo leva su paure ipotetiche, le amplifica e rende reali le drammatiche e inutili conseguenze.

Swan. Foto Luca Del PIa

Sulla scia di quest’ultimo aspetto, ovvero su un potere invisibile che cala dall’alto e che diventa in grado di governare e sottomettere vite, c’è un’ultima performance che intreccia distruzione e digitale: Swan, di Gaetano Palermo con Rita Di Leo (la raccontavamo anche qui). Il progetto, vincitore del Bando Biennale College Teatro Performance Site-Specific 2023, prende piede in uno dei tanti spazi che hanno animato Sansepolcro, Piazza Torre di Berta. La dimensione antiteatrale è una condizione fondamentale per questa coreografia su pattini, dove la protagonista appare totalmente chiusa nella propria bolla, intenta a interagire non con il pubblico antistante che la osserva nel presente, ma con quello  virtuale dei propri social, cui si rivolge costantemente, fotografando ed esibendo continuamente quanto le accade tramite il proprio I phone. In un rimando alla tragica fine del Lago dei cigni, qui la protagonista danza la propria disfatta, ma è una disfatta incosciente, che non impara dai propri errori, è una risalita terrificante e senza memoria, che sghignazza sottovalutando quanto le accade perché – storpiando Wilde – tutto va bene, purché sia postato. Allora la nostra presenza viva e contestuale acquista senso perché di fronte alla foto del piccione caduto il grado di coinvolgimento inevitabilmente si anestetizza, si filtra con “Oslo” e “Beautifyng” e diventa subito instagrammabile, mentre  davanti alle sue cadute, agli spari ripetuti, allo stridere delle ginocchiere, perfino davanti a quel sangue che sappiamo finto, pompare dai pantaloncini, la reazione è reale, atterrita. I tanti ragazzini fermatisi ad osservare questa ragazza glamour che in parrucca bionda e cuffie wireless compie alcune figure di skating senza preoccuparsi del basalto, si fa dei selfie e poi – l’imprevisto – cade, ridono a più riprese, anche se qualcuno di loro in futuro forse aspetterà un attimo a immortalare una scena di dolore. Si riconoscono in quella bambola dal viso finto che sfila per i suoi followers, si rialza anche quando non dovrebbe, continua a essere lì per loro anche quando non avrebbe più senso. Nessuno è corso in aiuto alla sua incombente e misteriosa fine, che non si sa perché o da dove sia arrivata, ma che, nella tragedia contemporanea, l’interrogativo è se serva solo perché ne venga fatto un post.

Viviana Raciti

Mara Oscar Cassiani
AI LOVE, GHOSTS AND UNCANNY VALLEYS <3
// ho rotto con la mia intelligenza artificiale e non la scaricherò mai più

produzione Re:Humanism 2023, Associazione Culturale Super Bubble
menzione speciale Salvatore Iaconesi – Re:Humanism
si ringrazia Oriana Persico, La Mama Umbria, Spazio Zut, Lavanderia a Vapore, Studio Sandroni, Otto Ascani, Matteo Ascani
vincitore del bando Residenze Digitali 2023

Evoè Teatro – Silvio Peroni
QANON REVOLUTION
tutto quello che viene detto in questo spettacolo è vero

di Riccardo Tabilio
regia Silvio Peroni
con Emanuele Cerra, Alice Conti, Gabriele Matté
scene, grafica e video Lorenzo Zanghielli
luci Marco Filippone
costumi Lucia Menegazzo
fonico Mattia Nardon
ufficio stampa Chiara Marsilli
organizzazione Michela Mattioli e Stefania Zendri
in collaborazione e con il sostegno di Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento
vincitore del bando Focus piattaforma di circuitazione del teatro professionale dal Vivo Teatro stabile di Bolzano, Centro Santa Chiara)
con il sostegno di Zona K
con il contributo di Fondazione Caritro, MIC – Ministero della Cultura, Provincia Autonoma di Trento, Comune di Rovereto, Comune di Mori

Gaetano Palermo
SWAN 
con Rita Di Leo
suono Luca Gallio
assistenza artistica Michele Petrosino
vincitore del Bando Biennale College Teatro Performance Site-Specific 2023
costumi Gaetano Palermo
amministrazione KLm
prosthetics Crea Fx
produzione La Biennale di Venezia
con il supporto di Casa della cultura Italo Calvino, H(abita)T – Rete di Spazi per la Danza, Associazione QB Quanto Basta
spettacolo vincitore del bando Danza Urbana XL 2024

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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