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SLEEPING BEAUTY (di C. Balucani, regia F. Arcuri)

Questa recensione fa parte di Cordelia di giugno 24

Foto Andrea Avezzù

Ci sono feste di benvenuto, ma questa è una festa d’addio: una giovane donna saluta l’età bambina, si fa largo tra i dolori non sopiti, mai risolti, l’ingombro della figura paterna, riemersa tramite incubi notturni, di cui non riesce a superare la violenza, fisica e psicologica, ricevuta in passato; poi la donna si moltiplica come un fiume con i suoi emissari in quatto diverse storie, simili, rievocate attraverso quella relazione da esorcizzare. C’è tutto questo in Sleeping beauty, testo di Carolina Balucani diretto da Fabrizio Arcuri alla Biennale Teatro di Venezia. I quattro attori (Vincenzo Crea, Andrea Palma, Dajana Roncione, Maria Roveran) indossano lo stesso abito, di un colore diverso ma che tutti dicono rosa, hanno una ferita forse vera o forse finta alla mano sinistra, come un residuo infantile, condividono la fragilità di una memoria infeconda e soverchiante, il bullismo, il body shaming, un manifesto e insostenibile outing, l’insicurezza che ha corrotto i passaggi verso l’età adulta di una bella tormentata nel bosco. La scena, che Arcuri disegna con la collaborazione decisiva e ispirata di Rosita Vallefuoco e Luca Brinchi, è un trionfo di luce, lo spazio sembra una discoteca paradisiaca – cui anche la musica di Giulio Ragno Favero dona identico fascino – in cui sfere prismatiche riflettono raggi in ogni direzione, dal fondo poi nascono getti di luce cubica che sembrano riversi sulla platea, superando gli attori in scena, forse una loro emanazione, tutto attorno sulle pareti è un firmamento di cielo notturno che arricchisce l’atmosfera di un carattere ancor più etereo. In questo ambiente, tuttavia, il testo di Balucani – vincitore di Biennale College Teatro per la Drammaturgia – non sembra mantenere una promessa di compattezza, le storie hanno una debolezza sia descrittiva che stilistica, perdendosi presto in un profluvio verboso che necessitava di una più severa opera di taglio soprattutto nella seconda parte, la recitazione raramente riesce a sostenere un carico emozionale che ha come obiettivo di esprimere la fragilità ma finisce per farsi esclusivamente lamentoso. (Simone Nebbia)

Visto al Teatro Arsenale, Biennale Teatro: Crediti: di Carolina Balucani; regia Fabrizio Arcuri; con Vincenzo Crea, Andrea Palma, Dajana Roncione, Maria Roveran; scene Rosita Vallefuoco; video Luca Brinchi; assistente alla regia e alle luci Luca Giacomini; consulenza musicale Giulio Ragno Favero; produzione La Biennale di Venezia, Cranpi, La Corte Ospitale

Cordelia, giugno 2024

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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