L’avviso pubblico per la nuova direzione di Marche Teatro è scritto da un sistema di politiche culturali inadatto a osservare l’eterogeneità della geografia nazionale e incapace a favorire un accesso equo, plurale e anche giovane. Una riflessione
Breve e sintetico prologo: l’argomentazione che segue non avrà i toni da sinistra ferita e rancorosa, aggressiva contro la destra che salda nel suo esecutivo spadroneggia e conquista. Questo ragionamento agevolerebbe infatti, in maniera strumentale e propagandistica, una dialettica di comodo che a turno in questo 2024, “l’anno più elettorale di sempre”, viene diffusa per creare confusione su delle incongruità oggettive decise dalla maggioranza e avallate dall’opposizione. Si tratta di incompetenza e la stiamo scontando da ambo le parti. Un’incompetenza politico-istituzionale aggravata da ideologismi e fanatismi revanchisti. Cerchiamo allora di ripercorrere questa ordinaria storia di politica culturale: non sarà la prima, neanche l’ultima, tuttavia quello dell’avviso pubblico della manifestazione d’interesse di carattere non vincolante per il conferimento dell’incarico di direttore artistico della società consortile Marche Teatro, teatro di rilevante interesse culturale è l’ennesimo caso che attesta quanto questo paese pensi al passato e non si curi del futuro. Se non si guarda al futuro, non c’è novità, differenza, trasmissione e crescita. Quindi non c’è cultura. L’inverno, ancora prima che demografico, è culturale: se l’Italia, a iniziare dalle istituzioni culturali, non pensa a favorire l’accesso per i ruoli direttivi alle nuove generazioni, all’equità di genere (leggi report Amleta) a emanciparsi dal vecchio per ibridare i linguaggi, non potrà che perseverare diabolicamente nella salvaguardia di una società anziana e conservatrice.
Procedendo con chiarezza e per gradi, chiunque andando sulla pagina selezione del personale e casting del sito di Marche Teatro potrebbe scaricare i documenti relativi all’avviso del bando, all’istanza di partecipazione, all’informativa, alla nomina della Commissione Giudicatrice. Nell’avviso del bando leggerebbe che al punto a) dell’Art.4 pagina 3 il primo requisito specifico da possedere è «Comprovata esperienza professionale nell’ambito dell’organizzazione manageriale ed artistica nel campo della direzione teatrale di almeno cinque anni come direzione di Teatri di rilevante interesse culturale e/o nazionali». Mettendo insieme questi rispettivi documenti ricostruirebbe che in data 8 maggio 2024 il presidente Valerio Vico firma l’avviso che sarà poi pubblicato il giorno seguente, 9 maggio, lo stesso in cui viene nominata la commissione giudicatrice formata da Luca De Fusco Presidente, Giancarlo Marinelli e Rita Centofanti, i due commissari. Si leggerebbe anche che la documentazione per la partecipazione al bando dovrà pervenire entro le 18 del 25 maggio. Deadline, come si usa dire in gergo, che sorprende visto che, a una rapida ricerca, le prime notizie in rete circa l’avviso pubblicato risalgono a una settimana fa, non prima. E che comunque poco più di due settimane sono davvero un tempo esiguo per l’apertura di un bando.
A questo punto, chiunque potrebbe porsi delle domande legittime, le stesse che si è posta l’opinione pubblica nell’accorgersi che da quelle poche, ma determinanti righe, più che l’accesso e l’inclusività si è messo nero su bianco l’esclusione. In quest’ultima settimana e nei numerosi post e articoli che hanno preso posizione è stato infatti sottolineato che questa chiamata pubblica sulla carta esclude di fatto le donne, non solo e non tanto per il termine declinato al maschile «direttore», ma perché a causa della disparità di genere non arrivano a dieci le professioniste che hanno un’esperienza di direzione come quella richiesta; le nuove generazioni, perché, appunto, la comprovata esperienza deve essere di «almeno cinque anni»; tutte le figure professionali che si siano occupate di direzione in altri settori del sistema teatro (teatri indipendenti, centri di promozione, festival, residenze artistiche, compagnie, reti…) perché nel bando si specifica la «direzione di Teatri di rilevante interesse culturale»; e poi si escludono anche coloro che hanno svolto questi incarichi all’estero perché viene indicato «Teatri di rilevante interesse culturale e/o nazionali». Diciamocelo con sincerità: è risaputo che molti bandi e/o concorsi pubblici vengono promulgati per la trasparenza ma che in realtà i posti sono già assegnati per coloro che devono regolarizzare una posizione già occupata all’interno, o migrare da un ruolo a un altro, semmai anche da un altro ente? Sì, lo è. È risaputo che al cambio di partito di un governo nazionale, e poi di una giunta comunale, gli enti sul territorio, a maggior ragione se pubblici, vengono rinnovati attraverso una chiamata che possa agevolare figure in quota al partito di maggioranza? Sì, lo è. È risaputo che questo avvenga nell’accettazione passiva da parte di un’opinione che in maniera qualunquista si crogiola nell’inazione e nel nichilismo scegliendo la postura del laissez faire, e quando fa comodo si ribella altrimenti tace? Sì, lo è.
Cosa cambia oggi e cosa ci dice questo nuovo caso di politica culturale senza cultura? Ci dice che, al netto di quello che già rappresenta un vizio di forma recidivo, non è più ammissibile che le cosiddette «manifestazioni di interesse di carattere non vincolante» si permettano di agevolare una dinamica antistorica, passatista, nostalgica e volta a favorire una classe di uomini italiani e, per lo più, over 50. A questi dati oggettivi, si aggiunge poi, come a certificare questo stato asfittico, un conflitto d’interesse che di questo status quo è il prodotto e conseguenza prevedibile: presidente della commissione giudicatrice è Luca De Fusco, attuale direttore artistico del Teatro di Roma, di cui è già ben nota la vicenda. Ricapitolando, si affida a un direttore attualmente in carica di un teatro nazionale di presiedere una commissione atta a giudicare, selezionare e nominare un’altra figura direttiva, in questo caso di un TRIC. Oggettivamente, c’è qualcosa che non va. Non dobbiamo però stupirci se rileviamo poi che socio di Marche Teatro, e che indice il bando, è il Comune di Ancona il cui sindaco, Daniele Silvetti, insediatosi il 30 maggio 2023, è in quota Forza Italia, che il Presidente della Regione è Francesco Aquaroli di Fratelli d’Italia e che De Fusco, anche questo è risaputo, è ampiamente caldeggiato dal centro destra.
Insomma, si tratta dell’ennesima mossa davvero sanzionabile per iniquità, addirittura poco furba, miope per investimento di prospettiva e retrograda, che non fa altro che sporcarsi con gli interessi di partito e destare seria e morale preoccupazione per l’istituzione Marche Teatro che, come altre, seguiamo da anni nei suoi intenti estetico artistici, a cui ci lega il rapporto instaurato con l’esperienza di Inteatro e l’archivio che custodisce, della quale riconosciamo l’alto valore di sperimentazione che è fondamentale proprio per il ricambio sociale e culturale di cui si è già parlato. Tralasciando il toto nomi e promettendoci di analizzare in seguito la nuova figura direttiva che verrà incaricata di succedere all’operato di Velia Papa, ribadiamo che a generare indignazione è l’insolenza con cui, a prescindere dallo schieramento, si continuano a scrivere bandi inutili. “Inutili” perché non funzionali a rappresentare questa attuale geografia teatrale che è vasta, giovane, plurale, precaria e totalmente disconosciuta dalle istituzioni, le quali invece di creare accesso per soluzioni occupazionali, di turn over, di legacy, permangono nel risaputo. Gli “under”, categoria di sbarramento che affolla tanti altri bandi, non sono una risorsa da intercettare e per la quale creare spazi ma una quota da proteggere per non renderla competitiva, lasciandola nella fissità di una definizione buona e utile, questa sì, a pulire la coscienza ministeriale. Le istituzioni conservano e non innovano, aumentando in maniera sempre più irreparabile, e in tutti i settori, una distanza abissale dalle persone, rifuggendo qualsiasi interazione con il paese reale.
Ieri, lunedì 27 maggio, in una nota diramata dall’ufficio stampa di Marche Teatro si affermava che «sono arrivate 21 candidature totali, 7 sono donne» e, aggiungiamo noi per diritto di cronaca, due anche dall’estero. Il commento del presidente Vico è stato: «si è andati ben oltre le aspettative mettendo anche a tacere le polemiche sollevate nei giorni scorsi. […] c’è stata anche un’ampia rappresentanza femminile». Se Vico stimasse davvero il peso numerico delle personalità lavoratrici nel settore dello spettacolo dal vivo, si renderebbe conto che 21 candidature, di cui 7 di donne e due provenienti dall’estero più che indicare «una rosa numerosa di potenziali candidati», sono un fallimento. È risaputo? Sì, lo è. Almeno per chi si impegna quotidianamente per una cultura diversa.
Lucia Medri