HomeCordelia - le RecensioniLE MIE TRE SORELLE (di Ashkan Khatibi)

LE MIE TRE SORELLE (di Ashkan Khatibi)

Questa recensione fa parte di Cordelia di maggio 24

Sono 147 i pallini che abitano il corpo di Sadaf Baghbani. Sono 147 i colpi che ne hanno invaso con violenza la carne, sparati dalla milizia iraniana durante una manifestazione di protesta contro il governo. Nell’impossibilità di ricevere soccorso e medicazioni, Sadaf Baghbani continua a portarli con sé anche dopo la fuga dal Paese, cicatrici disseminate che raccontano di lei, della sua storia, del suo sopruso, di ciò che non può più essere taciuto. E non tace Ashkan Khatibi, regista e scrittore esule come lei costretto alla fuga, alla migrazione, che di quella storia decide di prendersi cura. Sadaf così salirà sul palco del Teatro Franco Parenti, le vedremo tremare le gambe e luccicare gli occhi di un’intensità lunare, eco di un dolore senza fondo. Accanto a lei vedremo poi comparire come in un sogno lontano le due sorelle minori rimaste in Iran, interpretate in scena da Nazanin Aban e Saba Poori, spiriti forti e dolci al tempo stesso che recitano in italiano, ma affondano le radici della propria rabbia anche in assoli rap in persiano (diventato per i giovani iraniani la lingua della rivolta). Un telo bianco si srotolerà su di loro come una coperta che ne avvicina distanze e dolori e i dialoghi – in un intreccio linguistico di farsi e italiano che attinge dalla materia pulsante della vita – le caleranno all’interno di un liquido amniotico condiviso. Tutto sembra tornare agli anni in cui si dormiva assieme, in cui la sera si aspettava che le luci si spegnessero per parlare dei propri desideri, delle proprie paure. Ora il bianco del telo e dei vestiti si tinge di rosso, sono le impronte dello scontro, della fuga necessaria. “A Roma, a Roma!”, ritornello di cechoviana memoria (“A Mosca, a Mosca”) e riferimento culturale in cui Khatibi vuole immergere la pièce mutandone la prospettiva, diviene un sogno che si infrange, appiglio letterario per cercare un nuovo orizzonte di speranza. (Andrea Gardenghi)

Visto al Teatro Franco Parenti. Crediti: regia e sceneggiatura Ashkan Khatibi, con Sadaf Baghbani, Saba Poori, Nazanin Aban, Taher Nikkhah, cantante Sahba Khalili Amiri, costumi Delshad Marsous, scenografia Taher Nikkhah, assistenti di scena Alma, Ava, Tina Karam Zadeh, assistenti alla regia Michele Marelli, Ghazal Shamlou, Arash Shojaei, Tina Karam Zadeh, traduzione dal persiano Michele Marelli, produzione Teatro Franco Parenti

Cordelia, maggio 2024

Telegram

Iscriviti gratuitamente al nostro canale Telegram per ricevere articoli come questo

Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi, nata in Veneto nel 1999, è laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Conservazione e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali. Prosegue i suoi studi a Milano specializzandosi al biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali dell’Accademia di Brera. Dopo aver seguito nel 2020 il corso di giornalismo culturale tenuto dalla Giulio Perrone Editore, inizia il suo percorso nella critica teatrale. Collabora con la rivista online Teatro e Critica da gennaio 2021.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Pubblica i tuoi comunicati

Il tuo comunicato su Teatro e Critica e sui nostri social

ULTIMI ARTICOLI

Orecchie che vedono: la danza che si ascolta a Gender Bender

Al festival bolognese Gender Bender molte sono state le proposte di danza, tra le quali sono emerse con forza il corpo resistente di Claudia...