Questa recensione fa parte di Cordelia di marzo 24
La nostalgia di un pezzo di comunità teatrale per la Roma degli spazi indipendenti, per la versione originaria di questo spettacolo in cui erano straordinarie Daria Deflorian e Federica Santoro; la difficoltà di accesso per giovani e meno giovani alle occasioni importanti, la mancanza di porosità dei teatri pubblici verso attrici e attori fuori dal giro e poi il nome di Concita De Gregorio… Insomma tante le critiche piovute su questa operazione (soprattutto nelle bolle teatrali di Facebook) e tante le questioni che si sono annodate attorno allo spettacolo scritto e diretto da Lucia Calamaro su un testo che a una prima analisi potrebbe sembrare lontano: a chi importa di una borghese intellettuale che non riesce ad uscire di casa? E invece eccoci, noi durante la pandemia di un paio di anni fa, noi che ci facciamo forza contro le piccole e grandi depressioni, noi alle prese con il lavoro in smart e i progetti da chiudere. E la casa che rischia di diventare luogo di autoreclusione. Calamaro firma anche il disegno luci e lo spazio scenico: c’è un fondale che cambia colore a ogni atto, pochi oggetti e arredi di scena, piante che vengono portate in regalo e un frigorifero che è un altare domestico, luogo rituale in cui cercare sollievo dagli sprofondamenti esistenziali. Si ride molto grazie alla scrittura dell’autrice romana, qui asciugata in una versione più agile, della durata di un paio di ore (nel 2012 assistemmo a una maratona di più di quattro), con quell’ironia che fa pensare a Woody Allen e Nanni Moretti. L’opera, rispetto alla versione di 12 anni fa, ha un tratto borghese più evidente (allestirlo all’Argentina ha contribuito naturalmente), tutto è maggiormente pulito e per certi versi meno sorprendente, come nella recitazione di De Gregorio: precisa, con un tono intimo (ben sonorizzato nell’amplificazione) e un timbro pieno e chiaro, ma priva di picchi ironici, di sussulti. Redini e Mascino sono tecnica pura (ma non solo), la prima trasformista nei ruoli della figlia e della psicologia, la seconda dà una lezione di comicità, a lei gli applausi a scena aperta. (Andrea Pocosgnich)
Visto al Teatro Argentina scritto e diretto da Lucia Calamaro con Concita De Gregorio, Lucia Mascino, Alice Redini, scene e costumi Lucia Calamaro assistente scene Laura Giannisi aiuto regia Jacopo Panizza, disegno luci Lucia Calamaro, costumi Sartoria Bàste srl, foto di Claudia Pajewski produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale