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Dentro Čechov. La maratona degli atti unici al Teatro Due

Recensione. Il Teatro Due di Parma ha dedicato un vasto progetto agli atti unici di Cechov, li abbiamo visti un dopo l’altro in una lunga maratona

Tragico suo malgrado. Foto Andrea Morgillo

Circa 7 ore totali di durata, per 8 atti unici, 25 attrici e attori. Questi alcuni dei numeri che hanno mosso un’esperienza produttiva unica, quella del Teatro Due di Parma alle prese con i testi cechoviani tradotti da Fausto Malcovati. Ne mancherebbe solo uno, Tat’jana Repina (l’ultimo, scritto nel 1899 e ritrovato dopo la rivoluzione del 1917) per avere tutta la scrittura dell’autore russo dedicata alla forma breve. Una produzione antologica della Fondazione Teatro Due che li ha messi in scena per più di un mese, due per sera, fino alla maratona finale, in cui le spettatrici e gli spettatori più appassionati si sono ritrovati alle 16 del pomeriggio per salutarsi poi alla fine della serata.

La strada maestra. Foto Andrea Morgillo

Si comincia con La strada maestra, opera giovanile di Čechov (fu censurata), nella maratona la più suggestiva dal punto di vista dell’ambientazione. Si svolge infatti nello spazio delle Caldare, situato in un piano sotterraneo: qui il colpo d’occhio è unico, ci fanno sedere sparsi, attorno e in mezzo all’azione. Attrici e attori sono tra di noi, vestiti di stracci lisi, sporchi: siamo in un locanda in cui pellegrini, furfanti, sfortunati di ogni specie chiedono asilo, c’è il bancone di un bar, dal quali un oste con il suo fedele sigaro cerca di tenere l’ordine e di respingere chi chiede vodka senza potersela permettere; soprattutto uno di loro, Borcòv (Fabio Pasquini), sembrerebbe un miserabile qualunque, fin quando verrà riconosciuto come un ricco caduto in disgrazia. Matteo Tarasco dirige con maestria un ottimo gruppo di attori e attrici, in una modalità quasi immersiva, in cui forse di tanto intanto la spinta recitativa rischia l’enfasi. Siamo lì, tra la miseria, rischiamo di toccarli, non c’è spazio per non partecipare. Si potrebbe quasi sentire l’odore di vodka, della terra di quella strada maestra che si fa metafora di un’esistenza di bassifondi, in cui pulizia, freschezza e agio sembrano una ferita. E in fatti è volutamente fuori contesto, l’entrata di una donna elegante, è Mar’ja, la moglie di quel pover’uomo di Borcòv, da lei tradito. Il fato è tragico, a tal punto da diventare grottesco.

I danni del tabacco. Foto Andrea Morgillo

La maratona regala la sorpresa di incontrare ogni volta un allestimento diverso e così si entra in sala, si prende posto in platea con l’interrogativo dei linguaggi, delle celebri forme nuove, ma anche chiedendosi quali interpreti, quali corpi vestiranno i panni degli anti eroi cechoviani. I danni del tabacco è un atto unico tra i più celebri, di quelli che vengono talvolta utilizzati nei provini. È d’altronde un monologo, datato 1882 e poi rivisto nel 1902 e qui Antonio Rosti ne cura la messinscena e l’interpretazione. Il suo Njuchin ci attende nello spazio Shakespeare sul palchetto, quello di un circolo di provincia, dovrebbe intrattenere il pubblico con una trattazione pseudo scientifica sui danni del tabacco ma invece, dopo qualche minuto, non riesce a trattenere la divagazione principale, quella che più gli sta a cuore, ovvero il rapporto irrisolto con sua moglie, vorrebbe gridare, vorrebbe piangere: questo atto unico è quello della disperazione. Rosti nel suo frac bianco riesce a far trasparire qua e là una certa umanità, ma gli manca forse quel graffio drammatico, quella capacità di farci cadere nei meandri del fallimento.

L’anniversario. Foto Andrea Morgillo

Ci vuole ogni volta un guizzo, una capacità di attrarre il pubblico verso il cuore delle tensioni drammaturgiche. L’Anniversario, scritto nel 1884, è un vaudeville pronto a scoppiare. La mano esperta di Nicoletta Robello lo cala in un ambiente anni Sessanta, potremmo essere in una qualsiasi azienda, anche italiana, negli anni del boom economico: bellissimo in questo senso il lavoro sui costumi di Elisabetta Zinelli. Tat’jana Alekseevna (Lidia Castella è energia pura), la moglie del presidente Andrej Andreevič (Francesco Biscione) entra in scena con un caratteristico e raro soprabito trasparente antipioggia. Recitazione a ritmi sostenuti, comicità e satira per un gruppo di interpreti molto affiatato: si corre attorno al tavolo mentre il futuro di un’azienda è scritta tra le righe da un grottesco dirigente.

Tragico suo malgrado. Foto Andrea Morgillo

Ci si sposta tutte e tutti insieme, nei meandri dell’edificio razionalista in cui l’istituzione teatrale parmense ha sede, scoprendo anche luoghi e visioni sconosciuti. Anche alcuni degli atti unici sono meno conosciuti, come Tragico suo malgrado. Nicoletta Robello firma anche questo allestimento e quello che è forse il più riuscito della rassegna, L’orso. In entrambi i casi, con ambientazioni e modalità molto diverse trova un tocco surreale e una comicità molto attuale. Tragico suo malgrado si avvale delle maschere attorali di Luca Nucera, Pavel Zelinskiy e non è un caso che Robello in questa intervista abbia affermato di aver trovato Beckett nel testo apparentemente semplice di Čechov, «nelle sospensioni, nelle stranissime ritmiche che con il vaudeville non hanno niente a che fare». I due attori, di fronte alla loro panchina, si trasformano così in un due clown, con tanto di giochi e oggetti colorati: c’è l’angoscia per il lavoro, lo stress, spunta fuori anche una pistola, ma nessuno spara.

L’orso. Foto Andrea Morgillo

Anche l’Orso, interpretato da Alberto Astorri, Mauro Malinverno e Bruna Rossi, si distingue per il lavoro degli attori. Il primo è un uomo che deve riscuotere dei crediti, la donna dice di non averli, se ne sta chiusa in casa a piangere la morte del marito, colui che si è indebitato; in mezzo il vecchio servo. Stavolta Robello non attualizza, mantiene nei costumi e nella scena la distanza storica dovuta, ha degli interpreti carismatici, soprattutto Astorri per i colori vocali, la precisione con cui il suo corpo racconta l’innamoramento per la donna. Ma anche la durezza di Rossi è funzionale nel tratteggiare un personaggio credibile e pieno di umanità.

Il canto del cigno. Foto Andrea Morgillo

Altro testo molto poco frequentato nei nostri teatri è Il canto del cigno. Qui siamo nel pieno della tematica teatrale, un anziano attore si addormenta in un camerino, ubriaco e dopo aver recitato in un’opera buffa, ma il teatro è chiuso  e non potrà uscire; così incontrerà il suo suggeritore che, non avendo altro alloggio, ha trovato casa in uno dei camerini. Lo mette in scena Roberto Abbati che interpreta anche il protagonista, avvalendosi della presenza di Pino L’Abbadessa nel ruolo del suggeritore. La messinscena vive soprattutto dell’ingegno ideativo che ha previsto di allestire lo spazio sul palco, con il fondale rappresentato dalla scura platea vuota, «la fossa nera» che si è mangiata più di cinquant’anni della vista di Svetlovidov. Alla recitazione però manca spesso un piano di credibilità per contrastare l’eccessiva enfasi e far emergere le sfumature che servirebbero per arrivare a quel dato sublime, spiegato con passione da Abbati in questa intervista, in cui non esiste vecchiaia ma solo esistenza presente.

La domanda di matrimonio. Foto Andrea Morgillo

In un progetto così complesso e a largo raggio, che ha l’ambizione di fare una fotografia della scrittura drammatica del grande autore teatrale russo prima che questa arrivasse alla maturazione definitiva dei grandi capolavori (Il gabbiano, Zio Vanjia, Tre sorelle, Il giardino dei ciliegi), ciò che meglio emerge è lo sguardo lungo del drammaturgo dottore, quella sua capacità di intercettare il mondo nuovo, novecentesco, nonostante la malattia lo abbia fermato all’età di 44 anni e non abbia neanche fatto in tempo a vedere i fuochi della Rivoluzione. Dunque l’idea con cui Matteo Tarasco disegna Una domanda di matrimonio e Le nozze, ovvero spingendo sui confini della ricerca dei linguaggi contemporanei, è sensata anche se nel primo è solo in parte riuscita e finisce risucchiata dai toni ammiccanti, dal solito grottesco e da una cifra generale eccessiva.

Le nozze. Foto Andrea Morgillo

Meglio l’ultimo, in chiusura della maratona, qui Tarasco trasforma il matrimonio della piccola borghesia russa in una festa ostentata popolata di personaggi al limite: il pubblico è posizionato attorno a una serie di tavoli disposti su un quadrilatero, un lato è occupato dagli attori; siamo tutti invitati a questo pranzo di nozze kitsch  e volgare, nel chiacchiericcio (già molto presente nel testo cechoviano), tra vestiti leopardati, linguaggio violento, karaoke. Nel caos qui si rischia di perdere i momenti più intensi, quella solitudine che fa sempre da specchio alla farsa, alla più appuntita risata del drammaturgo. Però è commovente, dopo un intero pomeriggio di spettacoli, vedere sfilare, attorno a quei tavoli da banchetto matrimoniale, dopo l’applauso per i generosi interpreti delle Nozze, anche il resto dell’ensemble protagonista dei precedenti atti unici: 25 artisti per «un’anomalia che dovrebbe essere la normalità», così, Paola Donati, la direttrice del Teatro Due aveva definito in conferenza stampa una delle particolarità produttive di questo progetto. D’altronde a colpire è proprio il percorso nel suo insieme, questa capacità di guardare alla funzione organica del teatro, alla possibilità che l’istituzione teatrale diventi casa per idee in grado di andare oltre l’ordinario, luogo di esperienze e non solo di spettacoli.

Andrea Pocosgnich

Parma, Teatro Due, febbraio 2024

CREDITI:

LA STRADA MAESTRA

con Giovanni Carta, Stefano Guerrieri, Stefano Gragnani, Andrea Mattei, Alberto Melone, Salvo Pappalardo, Fabio Pasquini, Franca Penone, Bruna Rossi, Francesca Tripaldi, Pavel Zelinskiy
costumi Elisabetta Zinelli
luci Luca Bronzo
regia Matteo Tarasco

I DANNI DEL TABACCO

con Giovanni Carta, Stefano Guerrieri, Stefano Gragnani, Andrea Mattei, Alberto Melone, Salvo Pappalardo, Fabio Pasquini, Franca Penone, Bruna Rossi, Francesca Tripaldi, Pavel Zelinskiy
costumi Elisabetta Zinelli
luci Luca Bronzo
regia Matteo Tarasco

TRAGICO SUO MALGRADO

con Alberto Astorri, Mauro Malinverno, Bruna Rossi
costumi Elisabetta Zinelli
luci Luca Bronzo
regia Nicoletta Robello

L’ORSO

con Alberto Astorri, Mauro Malinverno, Bruna Rossi
costumi Elisabetta Zinelli
luci Luca Bronzo
regia Nicoletta Robello

L’ANNIVERSARIO

con Francesco Biscione, Lidia Castella, Andrea Mattei, Franca Penone, Francesca Somma, Pino Tufillaro
costumi Elisabetta Zinelli
luci Luca Bronzo
regia Nicoletta Robello

UNA DOMANDA DI MATRIMONIO

con Massimiliano Aceti, Giovanni Carta, Irene Paloma Jona
costumi Elisabetta Zinelli
luci Luca Bronzo
regia Matteo Tarasco

IL CANTO DEL CIGNO

con Roberto Abbati e Pino L’Abbadessa
costumi Elisabetta Zinelli
luci Luca Bronzo
regia Roberto Abbati

LE NOZZE

con Roberto Abbati e Pino L’Abbadessa
costumi Elisabetta Zinelli
luci Luca Bronzo
regia Roberto Abbati

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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