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Teatro di Roma: contro la spartizione, un’assemblea cittadina

La comunità di artiste e artisti della città di Roma si è riunita in assemblea e ha discusso di azioni alternative e partecipate rispetto agli accordi della politica, e ha indetto per oggi una seconda assemblea alle 16.30 stavolta di fronte al Teatro Argentina.

A Roma, per l’ennesima volta, l’amministrazione comunale guidata dal partito di centrosinistra ha avallato il peggiore degli accordi possibili. Chi si occupa di cultura, professioniste e professionisti, spettatrici e spettatori del Teatro di Roma, tutte le persone scontente per l’arrivo di Luca De Fusco (e per come sia stato votato), comprese le centinaia di persone firmatarie della lettera aperta, sono state tradite da un sindaco, Roberto Gualtieri, che nel giro di pochi giorni è passato da essere arrabbiato e incendiario a fautore di strategie democristiane e di accordi di palazzo.

L’indignazione ha mosso più di un centinaio di persone che ieri pomeriggio nella sala riunioni della Città dell’Altra Economia si sono riunite in un’assemblea (convocata dal giornalista  e scrittore Christian Raimo e rilanciata da tante e tanti) per riflettere, commentare o anche solo per informarsi su quello che sta accadendo. 

Se sarà confermato lo schema fatto emergere dalla cronaca romana Luca De Fusco sarà il nuovo direttore artistico dei teatri Argentina, India e Torlonia, mentre si attende l’assegnazione del Teatro Valle alla Fondazione già durante il 2025. Intanto il Comune si adopererà per modificare lo statuto della Fondazione e prevedere dunque una seconda figura per la direzione generale. Proprio quello che la consigliera Natalia Di Iorio, durante la conferenza stampa chiamata dal Presidente Siciliano sabato 20 gennaio, stigmatizzava come un’opportunità poco efficiente vista la necessità del doppio stipendio. Ora però questo schema viene visto come una soluzione non solo dal Sindaco, ma anche da Siciliano. Il Presidente della Fondazione, infatti, unico rappresentante delle istituzioni presente all’assemblea di ieri sera, è intervenuto evidenziando come la soluzione con una figura manageriale alla direzione generale fosse quella che lui auspicava sin dall’inizio. E, per inciso, non è questa un’idea malsana: alcuni dei più validi teatri finanziati hanno una conduzione duplice. Ma sussistono in merito due ostacoli che per Roma ne farebbero un caso unico: da un lato la scelta di un direttore manager che affiancherebbe un direttore artistico già designato (peraltro come direttore generale, in origine) sembrerebbe alquanto raffazzonata, dall’altro il bando pubblicato come manifestazione di interesse prevedeva appunto un altro ruolo che oggi prenderebbe una forma del tutto diversa. Dunque anche il discorso sul compenso sarebbe da affrontare di nuovo, non tanto perché verrebbe duplicato uno stipendio ma per il fatto che andrebbe posto in discussione chi debba avere la maggiore responsabilità.

In ultimo poi colpisce il tempismo di questa conclusione per voce di tutte le parti in causa: quella che viene presentata come la migliore soluzione possibile pare più che altro l’ennesima spartizione di poltrone che possa accontentare tutti tranne gli artisti e le artiste, i lavoratori e le lavoratrici precarie che portano avanti la macchina del teatro, lasciando più di un dubbio sulle reali intenzioni degli enti locali. Da più parti l’assemblea ha fatto notare quanto il problema sia rappresentato dal merito oltre che dal metodo, dunque proprio dalla figura di Luca De Fusco per ciò che rappresenta e non solo per come questa decisione è arrivata, frutto di accordi politici e di una mancata visione della città teatrale e delle comunità che la abitano. Un metodo che, come ribadito ieri sera anche dal Presidente Siciliano, è stato all’insegna della fretta nella nomina, giunta evidentemente senza una valutazione attenta delle 42 candidature: è Siciliano stesso a ricordare come la seduta relativa a questa fase si fosse conclusa nel giro di un paio d’ore. Sarebbe dunque possibile e auspicabile, come rilevato da alcuni interventi, che chi ha presentato la propria candidatura decida, di concerto, di richiedere l’accesso agli atti della valutazione e in caso presentare ricorso. Ammesso che ciò porti a mettere in evidenza l’effettiva frettolosità usata dalla commissione nella valutazione, però, sarebbe altrettanto importante chiedere conto dei verbali in cui il CdA ha definito e dettato alla commissione i criteri da osservare nella selezione. Questa delicata consegna di responsabilità, infatti, la cui procedura non è prescritta nello Statuto, sarebbe stato un altro aspetto su cui vigilare in fieri e da condividere con la città, specialmente da parte di quegli attori facenti parte del CdA che ora lamentano, probabilmente fuori tempo massimo, vizi di metodo.

Su queste pagine abbiamo spiegato più volte i motivi per i quali la scelta di De Fusco come direttore del Teatro Nazionale romano sia un errore, soprattutto per la visione con cui in passato ha avuto modo di gestire i teatri pubblici. Abbiamo affrontato la questione dal punto di vista culturale e artistico anche in un’intervista a Alessandro Toppi, esperto delle cronache teatrali napoletane. Toppi in quella conversazione affermava: «[…]quando davvero il neo-direttore conosce la città in cui abita? In quali quartieri si muove, che pezzi di territorio attraversa abitualmente? E quali sale teatrali frequenta, chi va a vedere, che nuove drammaturgie legge, in quali gruppi (romani e non) si è imbattuto di recente? Conosce gli spazi di periferia? Si è seduto, in questi anni, sugli scaloni di quello che ancora chiamiamo “off”? Ha spiato con curiosità ciò che sta nascendo adesso? Si è messo in ascolto delle reti, formali ed informali, che animano la capitale? E ancora: che sa del panorama creativo complessivo di Roma (cinema, musica, fotografia, arti visive, letteratura)? Che sensibilità ha per i temi e le urgenze dei più giovani?».

Gualtieri sui nomi è stato cauto e non ha confermato neanche quello di De Fusco, ma la stampa dà il suo contratto per firmato, dunque la futura direzione generale dovrà lavorare con un direttore artistico già deciso da altri. E soprattutto, quali tempi avrà questa procedura? Durante l’assemblea, il Presidente Siciliano ha ventilato che il contratto di De Fusco firmato dal Vice Presidente non poggerebbe su solide basi procedurali, pur rimanendo ambiguo  sulla finale legittimità dell’atto, rivelando infatti che il nome firmatario della richiesta ministeriale sarà probabilmente proprio quello del regista campano. Qualcuno dall’assemblea ha proposto a Siciliano di ripartire proprio da qui: evitare di usare il nome di De Fusco in un atto pubblico così importante. Ma per i meccanismi ministeriali quel nome sembra essere, parola del Presidente, d’obbligo per dotare la domanda stessa di maggior valore ai fini del punteggio. Fintanto che i soci modificheranno lo statuto chi sarà il direttore generale? Come verrà scelta questa figura? Ninni Cutaia come sappiamo si è sfilato dalla partita.

Rispondere a questa domanda significa, come detto per l’accesso agli atti, fare luce su una questione legata alle verifiche di liceità sul metodo e sulle procedure. Un breve monito sul finire dell’assemblea ha lanciato un’interessante raccomandazione: dietro a questa grande passione e determinazione della comunità artistica c’è di certo l’esito della nomina. In altre parole, se la decisione fosse caduta in effetti su un altro nome e non su quello di De Fusco, forse non ci si sarebbe trovat* lì in una comune indignazione, forse la nomina “giusta” non avrebbe poi fatto pesare troppo a questa comunità certe storture di procedura. Questa è una consapevolezza problematica, che però può far affermare sempre di più come, per le persone presenti, che pure contestano il metodo, sia davvero giunta l’ora anche di entrare nel merito di chi viene incaricato. Allora, considerando questa prospettiva, se si parla di modifiche allo statuto, a chi scrive sembra urgente pensare che, al di là della nomina da ratificare, resti una condotta su cui sorvegliare. Una modifica allo statuto non può essere retroattiva, ma resta possibile e auspicabile, come si leggeva anche in alcuni commenti alle dirette streaming, che uno statuto rivisto veda, accanto all’espressione della mission generale di una Fondazione che ambisce a essere Teatro Nazionale, anche alcuni accorgimenti e prassi specifiche per la complessità di Roma, che spingano la direzione (quale che sia) a confrontarsi maggiormente e con maggior costanza e responsabilità con la comunità artistica e con il pubblico.

Ad ascoltare gli interventi e le voci dell’assemblea è facile comprendere come molte persone – sia per la lettera firmata appena dopo la nomina, sia per la manifestazione spontanea di domenica 21 di fronte al teatro – si siano sentite strumentalizzate dall’amministrazione capitolina e dal presidente Siciliano, i quali prima hanno convocato una conferenza stampa e rilasciato interviste sull’accaduto gridando allo scandalo formale e alla mancanza di legalità e poi hanno visto silenziare queste accuse quando all’orizzonte si palesava un accordo sulla doppia dirigenza.

Si sono infatti levate alte le voci, come quella di un gruppo di artiste e artisti under 35 (rappresentato da Jozef Gjura) che ha richiesto una reale interlocuzione, impegnata e continuativa del teatro con le nuove generazioni e con le nuove scritture da loro proposte, suggerendo di dare continuità all’esperienza del Teatro Valle destinando il teatro, come del resto è stato ipotizzato nei mesi precedenti, alla nuova drammaturgia. L’attrice e autrice Daria Deflorian, nella parte centrale dell’assemblea, ha preso la parola proponendo alla comunità degli artisti che saranno in cartellone di boicottare il teatro, non andando in scena, perché anche quando si collabora con il Teatro di Roma «al di là del valore e dell’impegno di alcune persone che ci lavorano, si ha sempre la sensazione di lavorare in un cratere vuoto». Di simile avviso, per tirare le fila verso un’azione congiunta, è l’attrice e attivista Tania Garribba,  che suggerisce un’azione concreta e immediata. Da qui l’opportunità di trovarsi oggi 30 gennaio alle 16.30 di fronte al Teatro Argentina per continuare l’assemblea, stavolta nel luogo deputato ad ospitarla. Anche la regista e attivista Giorgina Pi (Angelo Mai) sostiene la necessità di una presa di posizione che non sia però conciliante e soprattutto che «non risolva i problemi alla politica».

C’è però un dato importante e incontrovertibile che emerge dall’assemblea di ieri: l’assemblea stessa. Ormai da molti anni sembrava impossibile riunire artisti e artiste, maestranze, lavoratori e lavoratrici di ogni ambito attorno all’arte scenica, come se l’ambiente apparisse svuotato, di senso e di vitalità, mentre ieri è stato importante vedere insieme diverse generazioni portare parole di fronte all’ascolto altrui, cercare un nuovo, coeso, modo di stare dalla stessa parte. Si è detto, negli ultimi interventi, che le storture politiche hanno sorpreso questa comunità in una fase di smembramento iniziata già tempo fa e che l’intera mobilitazione è arrivata «troppo tardi». Eppure forse è da queste emergenze che si può ripartire, anche accettando che sia troppo tardi per impedire certi passaggi, ma non troppo tardi per preparare il corso futuro degli eventi.

Redazione (Sergio Lo Gatto, Lucia Medri, Simone Nebbia, Andrea Pocosgnich, Andrea Zangari)

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