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Djoković/Iacozzilli. Il teatro e l’abisso

Recensione. En abyme è il testo di Tolja Djoković vincitore del Bando Biennale College Teatro Drammaturgia Under 40 (2021-2022) messo in scena con la regia di Fabiana Iacozzilli. Il debutto in prima assoluta a Biennale Teatro 2023

Foto di Andrea Avezzù

Quando non riusciamo ad esprimere uno stato d’animo, allora preferiamo la sofisticazione letteraria, la traduzione del sentimento nella sua metafora, una figura retoricamente controllata, l’architettura edificabile all’emozione inafferrabile e, tramite la finzione, scegliamo i pretesti, li rivestiamo di significati per creare dei momenti elucubrativi in cui continuamente possiamo sviare l’attenzione da un dato, sentimentale che atterrisce, per focalizzarci su un altro dato, narrativo, scientifico, storico, forse più tranquillizzante: «Il DeepSeaChallenger è un batiscafo avanguardistico fabbricato in 8 anni di lavoro, grazie alla partecipazione di una squadra di almeno quaranta persone tra scienziati e ingegneri. Il sommergibile è la materializzazione delle passioni di tutte queste persone, e del sogno impossibile di poter raggiungere un luogo intoccabile».

Foto di Andrea Avezzù

En abyme di Tolja Djoković è la drammaturgia vincitrice del Bando Biennale College Teatro Drammaturgia Under 40 (2021-2022) che ha debuttato nell’edizione 2023 di Biennale Teatro con la regia di Fabiana Iacozzilli che, come riporta la presentazione, «si è imposta sulla scena con spettacoli dal forte impatto visivo» ma non solo per questo, aggiungeremmo. Su di lei dunque è ricaduta la scelta per mettere in scena questo testo che trae spunto dal caso dell’immersione nella Fossa delle Marianne del regista James Cameron avvenuta nel 2012 (qui le info), per poi immergersi nell’oscurità dell’animo umano, in particolare in quello di una bambina-donna e del suo rapporto con il padre. Ma nel testo di Djoković non esistono solo questi due macro piani del racconto, ve ne sono di ulteriori, livelli interpolati tra loro che fungono da diversi punti di vista, sguardi, sulla “cosa”. Sono indicati rispettivamente come Il documentario relativo alla missione di Cameron al quale corrisponde «una voce femminile, 30 anni o più» quella dell’attrice Evelina Rosselli; Lei, lui e la bambina ovvero lei, Marianne, interpretata da Francesca Farcomeni, lui, Oscar De Summa, e la bambina, Aurora Occhiuzzi; Le didascalie lette da Simone Barraco «una voce maschile, intorno ai 30 anni» e l’occhio di una telecamera, la cui «voce maschile, intorno ai 50 anni» è di De Summa.

Foto di Andrea Avezzù

Tra ogni «personaggio-livello» vigono delle relazioni che dovrebbero avere il loro corrispettivo drammaturgico, la loro azione, nello spazio scenico firmato da Giuseppe Stellato nel quale, come primo elemento, si palesa davanti al pubblico un telo bianco tagliato obliquamente a creare appunto una fessura, termine che ricorre spesso nel testo, e che indica sia la frattura lunga 2.550 km e ampia 69 della fossa nell’Oceano Pacifico che, per similitudine, il taglio aperto nell’intimità di ogni individuo. Alla verità tangibile del taglio che campeggia sul fondo delle tese dei soppalchi dell’Arsenale di Venezia si costruisce tutt’intorno una drammaturgia scenica in cui predominano la musica ambientale e rarefatta del disegno sonoro di Tommy Grieco, i video di Iacozzilli, Raffaele Rossi e Nicolas Spatarella proiettati sia sul telo che trasmessi dalla televisione e, ma diremmo che per gran parte dello spettacolo sono davvero delle entità, gli attori e le attrici. “Entità” non per la poca capacità attorale o interpretativa, affatto, l’ensemble è diretto con la scrupolosità che contraddistingue la pulizia registica di Iacozzilli, una disciplina che per la sua impostazione rigorosa permette a attori e attrici di ricavarsi il proprio spazio di autonomia creativa, sul palcoscenico bianco puntinato di elementi casalinghi minimali, come il piccolo cucinino sulla destra, il tavolo al centro, la tv sulla sinistra. Rosselli e Barraco dosano le emozioni distillandole e gestendole nelle parole dette dal leggìo, sono magnetici da ascoltare; e questo equilibrio di misura e libertà della regia qui emerge nonostante sia stato messo al servizio di un’orchestrazione che per far muovere il testo in scena sembra abbia dovuto faticare per emanciparsi dal lógos della pagina scritta, così ancorato alla sua letterarietà, al punto che questa prende il posto della teatralità, e gli attori e attrici diventano, appunto, entità. Insomma, la Biennale ha deciso di premiare un’opera spiccatamente letteraria e non un testo per l’azione scenica.

Foto di Andrea Avezzù

Il taglio di Marianne (Farcomeni), la sua crepa emotiva, è raccontato così dalla sua voce, ma anche dalle didascalie e dall’occhio della telecamera che osserva la sua esistenza e che prova a sondare il suo inconscio come fosse un fondale marittimo. Lei è la stessa donna che prenderà la porta della piscina comunale passando davanti un homeless che in seguito scopriremo essere suo padre. Il momento in cui la bambina (Occhiuzzi) entra in scena, la decisione del passo, il silenzio che determina facendo il suo ingresso dalla fessura nel fondo è forse la sua presa di parola più imponente, tanto da riecheggiare nel mutismo. Il padre – un De Summa da contemplare perché nonostante la compostezza riesce comunque, e come gli appartiene, a dare un’aura di profonda imprevedibilità alle sue parole e gesti – scherza con lei, le prepara da mangiare e anche lei farà altrettanto, prendendosene cura, ma gli unici momenti familiari, quelli in cui i due si divertono e prendono in giro, sono sussurrati, un linguaggio che al pubblico non è dato sentire. Per questo, in fondo, non capiremo mai cosa sia successo tra loro, non faremo esperienza del dramma di Marianne. A differenza invece delle spiegazioni tecniche sulla spedizione di Cameron e l’osservazione del fondale a 10.908 metri sotto la superficie dell’oceano che invece saranno tanto descrittive. La fruizione dello spettacolo sviluppa allora il senso uditivo: l’accadimento non è agito dai corpi in scena, è nella parola ascoltata o letta e nell’immagine visiva. Tra ciò che vediamo e proviamo, il pathos, c’è una sovrapposizione di livelli di scrittura, a tutti gli effetti una stratificazione di filtri che limitano l’empatia.

Foto di Andrea Avezzù

Liberatorio e estatico, per l’attrice Farcomeni ma anche per il pubblico, sarà quindi il monologo finale di Marianne che è pura scossa viscerale, un brivido che dall’interno corre, si snoda nella carne, fa palpitare il petto, tendere le braccia, e arriva alla gola per poi venir fuori, perché non ce la fa più a rimanere contratto, esaltandosi pur nelle difficili parole da dire, per la composizione e giustapposizione dei termini. Una scrittura che diventa canto poetico e trabocca come acqua da una vasca stracolma – sbalorditiva e inattesa immagine che squarcia il fondale – inarrestabile, strabordante e umana, a sovrastare qualsiasi didascalia, perché l’unico viaggio davvero impossibile è lei. Eccola Marianne, finalmente, in tutta la sua dolorosa bellezza, cruda di verità, il teatro è lì, nella sua figura minuta ma gigantesca e totalizzante, nei suoi occhi dritti verso il pubblico, nella bocca che si apre e sillaba la sua beatitudine.

Lucia Medri

Visto a Biennale Teatro, giugno 2023

EN ABYME

di Tolja Djoković
regia Fabiana Iacozzilli
con Simone Barraco, Oscar De Summa, Francesca Farcomeni, Evelina Rosselli
e con Aurora Occhiuzzi
spazio scenico Giuseppe Stellato
costumi Chiara Aversano
disegno luci Omar Scala
musica e disegno sonoro Tommy Grieco
regista assistente Cesare Del Beato
assistenti ai costumi Valentina Cerasuolo, Fabiana Amato
regia video Raffaele Rossi, Nicolas Spatarella e Fabiana Iacozzilli
crediti del video direttore della fotografia Francesco Savaglia
fonico video Alberto Mancini
assistente operatore Fiamma Olivieri
assistenti scene set Francesco Pepe, Fabio Cosimo
attrezzeria set Maria Esposito, Maria Pia Esposito Papa
trucco Cristina Correra
con Oscar De Summa, Francesca Farcomeni, Aurora Occhiuzzi e con Rino De Martino, Sofia Rumolo, Annachiara Salzano, Virginia Puzo
produzione La Biennale di Venezia, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Lac – Lugano Arte e Cultura, Cranpi, Elsinor
produzione esecutiva Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini con il supporto di carrozzerie n.o.t.; Fivizzano27
si ringrazia A. S. D. Scuola Nuoto Vomero; Casa Donelli
Vincitrice del Bando Biennale College Teatro Drammaturgia Under 40 (2021-2022)

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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