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DEAR LAILA (Basel Zaara)

Questa recensione fa parte di Cordelia

Foto A.P

Lo spettacolo più emozionante nei tre giorni passati a Santarcangelo è forse anche il più piccolo. Non ci sono interpreti, non c’è altro pubblico, lo spettatore, nella propria solitudine, viene fatto entrare in una stanza delle ex carceri di Santarcangelo. Una vecchia scrivania è palcoscenico, non c’è altro tra lo spettatore e la storia di Basel Zaraa, eppure le parole e le immagini investono la nostra percezione con empatia. È stata Laila, la figlia di Zaara (ora residente in Inghilterra) ad innescare l’urgenza dell’opera quando all’età di 5 cinque anni ha cominciato a chiedere al padre da dove venisse e perché non potessero tornare nel luogo di origine. Di fronte a noi un tappeto rosso, a fantasia mediorientale, sulla scrivania delle piante, un’abat-jour, una piccola cornice con una foto di famiglia e un palazzo in miniatura, grigio, con le finestre e i panni appesi, dal quale svettano le antenne della tv. Quel palazzo si trova a Yarmouk, un campo profughi palestinese a Damasco che prima dell’esplosione del conflitto nel 2011 era abitato da 160 mila palestinesi, lì è nato e vissuto Zaara prima di fuggire in Europa a causa degli attacchi israeliani al campo. Il racconto autobiografico – ma sarebbe altrettanto suggestivo ed efficace anche se fosse completamente inventato – si dischiude attraverso la presenza e l’uso degli oggetti: un mazzo di carte colorate con le istruzioni da seguire, cassetti da aprire in cui trovare una lettera scritta a mano e alcune foto in bianco e nero. Entriamo in un’intimità che però da subito mostra anche un valore storico e politico. In un cassetto, un walkman con una voce da ascoltare. La famiglia di Zaara era già dovuta fuggire una volta, nel 1948, l’anno della Nakba: i nonni vivevano in un villaggio rurale vicino ad Haifa quando i gruppi armati israeliani massacrarono, rubarono la terra e bruciarono le case dei villaggi. Il nonno rimase a combattere, la nonna fuggì via. In una scatola troviamo i simboli di quella fuga, una collana e una chiave, rappresentano il testimone passato di generazione in generazione, Laila sarà la prossima a custodirli. (Andrea Pocosgnich)

Visto alla Biblioteca della Scuola Pascucci Santarcangelo Festival. Testi e traduzione Emily Churchill Zaraa suoni Pete Churchill doppiatore Stefano Piemontese su commissione di Good Chance Theatre con il supporto di Arts Council England

Recensioni su Cordelia, agosto 2023

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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