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Ecologia, alleanze e desideri. A Fies la prospettiva è femminista

Dal 14 al 16 luglio si è svolto a Centrale Fies FEMINIST FUTURES, secondo appuntamento del programma estivo dedicato alle arti performative, che attraverso spettacoli, incontri e workshop apre la ricerca e la pratica artistica alle prospettive intersezionali.

Centrale Fies, ph Alessandro Sala/CESURALAB

Per raggiungere Centrale Fies si deve percorrere un tracciato non convenzionale, che impone al visitatore curioso un viaggio attraverso i luoghi della valle del fiume Sarca. Le strade che ne accompagnano il corso sono strette, cingono i fianchi delle montagne e dividono gli spazi rocciosi occupati dalle frane delle Marocche. Centrale Fies abita qui, dove una stradina ciottolosa devia il percorso della statale che collega Trento a Riva del Garda, nascosta dalle ombreggiature delle montagne oltre il ponticello che attraversa il fiume. La sua posizione marginale innesca un peculiare moto migratorio – a diverse latitudini e longitudini – nel viaggiatore che vuole raggiungerla e che si ritrova a disegnare nel proprio tragitto quelli che lo scrittore Robert Macfarlane definisce desire paths, ovvero i sentieri del desiderio. Si tratta di percorsi autonomi, “vie del libero arbitrio” tracciate dagli esseri viventi nel tempo che pongono un’alternativa ai tradizionali progetti di pianificazione urbanistica. Frutto di un vero e proprio de-siderus, questi itinerari periferici conducono a Dro e ci richiedono di seguire percorsi diversi rispetto alle mete culturali del turismo estivo – si pensi ai festival di teatro, diventati centri gravitazionali dell’attenzione spettatoriale – riportando il focus alla programmazione ibrida dell’ex centrale idroelettrica.

Sara Marchesi, ph Alessandro Sala

Gli appuntamenti disseminati nelle zone di questo imponente prodotto di archeologia industriale, curati da Barbara Boninsegna e Filippo Andreatta, corrispondono alla volontà di attivare un rinnovato interesse per Centrale Fies come luogo di cura e accoglienza ma anche come centro laboratoriale di ricerca e sperimentazione nelle Arti Visive. La scelta è evidenziata già dal recente cambio di formato che intende fuggire la dimensione del festival, dopo oltre quarant’anni di Drodesera. Nelle parole della direttrice artistica e co-founder Barbara Boninsegna, a partire dal 2020 «Centrale Fies ha cambiato paradigma, la formula festival ha lasciato sempre più spazio a momenti di condivisione e aperture pubbliche degli esiti della ricerca. Attraverso public program, open call, free school, residenze artistiche, il centro ha innescato un movimento simbiotico, performante e profondamente legato al territorio e all’altrove. Un altrove inteso sia come “fuori” che come “alterità”». Il secondo appuntamento della programmazione estiva 2023 (dopo Live Works di giugno e che vedrà come ultima tappa Enduring Love a fine settembre) raccoglie quindi questi due concetti di altrove declinandoli nell’ottica di un femminismo mutevole, intersezionale, che indaga il corpo come latenza del conflitto. Su questa scia, il weekend di Feminist Futures – inserito nella rete europea apap dedicata alle performing art – richiama così artisti e artiste di diversa nazionalità per discutere insieme le modalità attraverso cui è possibile oggi costruire quell’altrove di futuri femministi.

Chiara Bersani, Sottobosco, ph Alessandro Sala

Matrice e agente di rivendicazione è il corpo, che in questo processo produttivo assume un compito essenziale, quello di scardinare gli immaginari prestabiliti per aprirsi a dinamiche fluide di cooperazione e alleanza. È quello che emerge dalla performance Sottobosco di Chiara Bersani: nella prima sala delle turbine, al piano terra, un tappeto di marshmallow, immerso in un ambiente buio e trafitto da una luce chiarissima ed intensa, è il luogo di possibilità di un incontro esploso tra corpi altri. Suddiviso in diversi momenti performativi che si sviluppano e amplificano attraverso l’accuratissima tempesta di suoni di Lemmo, sound designer, il lavoro di Bersani abita gli intrecci, le zone interstiziali, pratica la disabilità come metodo e applica quella tensione alla cura – distintiva della sua poetica – attraverso il coinvolgimento di un gruppo di persone con disabilità che si fa comunità. Il tempo, nutrito di distanze e riavvicinamenti tra Bersani e la performer Elena Sgarbossa, sembra dilatarsi in un moto eterno e l’alleanza tra corpi diviene l’unico suo orizzonte di compimento. Spiega l’artista nelle note di sala: «No, non c’è alleanza tra i corpi ora. È calato il silenzio nelle ossa, le pieghe delle articolazioni creano delle grotte cave. Toccarti è sovversivo (…). No, non c’è alleanza, non c’è conforto, ma se ti arrendi mi posso prendere cura di te».

Selma Selman, Superpositional Intersectionalism, ph Alessandro Sala

Resistenza e abbandono sono polarità che tornano in una prospettiva di collisione nel lavoro di Selma Selman. In Superpositional Intersectionalism l’artista mette in atto assieme al collega Chong-ha Peter Lee un combattimento in cui è il pubblico a modulare le spazialità del terreno di gioco; questo si sviluppa in dieci round e segue la velocità di movimento a cui è sottoposta ogni particella all’interno della galassia. Allo scontro fisico e pulsante tra carnalità corrisponde infatti una mutazione interna irreversibile dei performer, del loro ruolo, genere e specie, annunciata dallo speaker Leonardo Avesani che modera la contesa attraverso un cronometro. Dall’esterno sembra rimasto tutto uguale, eppure qualcosa è cambiato, il mutamento è avvenuto, sia a livello materico (se si pensa allo sfinimento dei corpi) sia concettuale (il trascorrere del tempo interno in relazione a quello esterno dell’universo, ci rende una variazione di ciò che siamo stati, una possibilità rispetto a ciò che saremo). Ecco che lo statuto dei corpi – di chi agisce ma anche inevitabilmente di esperisce – si trasforma, sviluppandosi in direzioni impreviste, in identità migranti che solo il divenire dell’universo comprende e restituisce. D’altra parte, la trasformazione messa in atto nell’intersezionalismo superposizionale di Selma Selman riecheggia le parole profetiche di Françoise D’Eaubonne, diffuse a Centrale Fies grazie all’incontro con Sara Marchesi, che ne ha tradotto per Prospero Editore lo scritto Il femminismo o la morte. Il manifesto dell’ecofemminismo (2022). Presentando le riflessioni dell’attivista francese, Marchesi riporta all’attenzione l’orizzontalità di un pensiero che intreccia la teoria ecologica a quella femminista. Che cosa comporta, allora, una visione ecofemminista della realtà? Per rispondere, D’Eaubonne propone la questione del femminile come un paradigma alternativo che supera il genere, in quanto abbraccia e include tutte le soggettività che non si riconoscono nei valori della cultura patriarcale. E alla rivoluzione, che per tanti anni ha fallito nel dar vita a un nuovo umanesimo, sostituisce la mutazione e l’intersezionalità come modelli per superare gli stessi fallimenti di alcune lotte femministe.

Thais Di Marco, Blood Shower, ph Alessandro Sala

Nella pungente visione performativa creata da Thais Di Marco queste lotte mostrano i loro lati più violenti e aggressivi: il corpo diviene il mezzo di rappresentazione della protesta, un segno che attraverso alcuni gesti, memori dell’Azionismo Viennese, indaga la nozione di potere e interroga i saperi dominanti. Servendosi di un impasto color magenta e di maschere che per tutto il tempo le coprono il viso, l’artista rivendica quindi il diritto alla lotta, rivendica lo spazio per l’affermazione femminista, rivendica il linguaggio per la libertà d’espressione della sua terra, il Brasile. Blood Shower pone in questo modo lo spettatore in una condizione di responsabilità, di vigilanza perenne: “Who killed Marielle Franco*?” Continua a chiederci ferocemente il volto mascherato di Thais Di Marco. L’appello rimane sospeso, ma l’eco risuona nella sala imbrattata di colore, ora vuota, ora silenziosa, in cerca di risposte.

Capita di sentirsi un po’ smarriti, adesso, nei territori di questa valle, osservatori di un mondo che si trasforma e che urla il proprio cambiamento. Lentamente, ci avviciniamo ai corpi che con noi condividono l’esperienza – chi memore delle edizioni passate, chi nascituro dell’edizione del nuovo anno –  respiriamo i profumi crespi dei luoghi e assaporiamo la varietà degli eventi. Le prospettive e i vissuti si intrecciano così nei momenti di intimità e condivisione offerti dalle free school, dal clubbing, workshop e lecture, creando una risonanza vibrante alle performance, di voci migranti, di carnalità mutate e idee fluttuanti. Ciò che colpisce di Centrale Fies è proprio la capacità di riappropriarsi di questa dimensione collettiva, seguendo una vocazione internazionale che travalica le Alpi e che di esse fa luogo di abbandono, votato all’ascolto e alla cura. La sua militanza è sincera: lavora per mettere in discussione i tracciati prestabiliti, ricostruendo la pratica di un luogo che rinegozia costantemente i termini del proprio “esserci” in un continuo slittamento dei significati, sempre pronti ad essere rimodulati. Tuttavia, la disattenzione che sembra soffrire da qualche anno da parte del pubblico più diffuso, è una dimenticanza che ne accentua la marginalità territoriale e ne cela il percorso tracciato come meta del desiderio. Per riscoprirlo, Feminist Futures ripristina quell’alleanza teorizzata da Judith Butler, apre la norma alla sua negazione, immaginando possibili futuri femministi in cui i corpi fanno ora più che mai la loro apparizione insieme, uno accanto all’altro.

* Marielle Franco era un’attivista per i diritti umani. Aveva 38 anni quando è stata uccisa nel quartiere Estacio di Rio de Janeiro la notte tra il 14 e il 15 marzo 2018. La donna era sempre in prima linea nel denunciare gli abusi della polizia e le esecuzioni extragiudiziali, nel 2016 era stata eletta nel consiglio comunale di Rio de Janeiro. Come membro della Commissione statale per i diritti umani di Rio de Janeiro, Marielle ha lavorato instancabilmente per difendere i diritti delle donne nere, dei giovani nelle favelas, delle persone LGBTI e di altre comunità emarginate.

Andrea Gardenghi

Visto a Centrale Fies, Dro – 14 luglio 2023

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Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi, nata in Veneto nel 1999, è laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Conservazione e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali. Prosegue i suoi studi a Milano specializzandosi al biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali dell’Accademia di Brera. Dopo aver seguito nel 2020 il corso di giornalismo culturale tenuto dalla Giulio Perrone Editore, inizia il suo percorso nella critica teatrale. Collabora con la rivista online Teatro e Critica da gennaio 2021.

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