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EXISTENZ (di Wihad Suleiman)

Questa recensione fa parte di Cordelia, luglio 2023

Ph Giusva Cennamo

Quando si pronuncia il termine “esistenza” si intende generalmente un sinonimo di “vita”, ossia la precondizione necessaria dell’essere al mondo. Tuttavia – la realtà è sempre più complessa – sembrerebbe più completo raffinare la definizione attraverso i riferimenti al contesto entro cui essa si manifesta: è la stessa esistenza quella in tempo di pace o in tempo di guerra? Ha la stessa qualità l’esistenza agiata rispetto a quella al limite della sopravvivenza? La drammaturga araba-tedesca Wihad Suleiman porta luce su questa Existenz, in prima mondiale alla Sala Assoli per la regia di Lydia Ziemke, intesa come condizione esistenziale di quattro personaggi (Mohamad Al Rashi, Corinne Jaber, Amal Omran, Alois Reinhardt) immersi in una dimensione spaziale ridotta, un quadrato di terra suddiviso in rettangoli sequenziali, fosse da cui ognuno fa emergere la propria storia; appeso al centro è un enorme orecchio azzurro nella penombra, come se l’udito sostituisse la vista, indagata con una torcia che viola di ognuno l’intimità. La guerra ha ridotto in memoria la loro vicenda, nel passato qualcosa si è incagliato prima di diventare presente: ogni personaggio lamenta ciò che ha perduto, o non accetta di perdere, trascinato via dalla guerra come un grande tsunami. Ostinati suoni di chitarra elettrica rendono cupa l’atmosfera, i monologhi intrecciati – prima tradotti in cuffia assieme a dei suoni ambientali, poi con sovratitoli – cercano una pace che non c’è, un motivo tra le deliranti paure e il tradimento della speranza, finché l’uscita dalle fosse crea un’interazione imprevista, un sostegno, un senso profondo di solidarietà. La scena acquista un’aria post-apocalittica, il testo, ora restituito in una lettura a leggio, entra via via in una dimensione poetica più eterea e meno concreta, frutto di una frammentazione drammaturgica che non aiuta la comprensione unitaria della vicenda; ma, viene da dire, non sono che gli effetti della violenza efferata, il delirio frammentato di chi è costretto a chiamare “esistenza” ciò che, forse, non lo è più. (Simone Nebbia)

Visto al Campania Teatro Festival, Napoli. Crediti: Con Mohamad Al Rashi, Corinne Jaber, Amal Omran E Alois Reinhardt; Regia Lydia Ziemke; Testo Wihad Suleiman; Scene E Costumi Claire Schirck; Co-Creazione Palcoscenico E Costumi Raffaëlle Bloch; Drammaturgia E Traduzione Christopher-Fares Köhler; Sound Design E Direzione Tecnica Nils Lauterbach; Musica Nils Lauterbach & Mohamad Al Rashi; Live Translation Sandra Hetzl; Produzione Tammo Walter; Direzione Di Tournée E Palcoscenico Rania Shahin; Assistenti Hannes Maar, Alice Faucher, Omar Hamshou, Hazem Saleh, Abeer Mohamed; Produzione Suite42; In Coproduzione Con Kunstfest Weimar, Campania Teatro Festival – Fondazione Campania Dei Festival, Theater An Der Ruhr – Mülheim E Tak Theater Aufbau Kreuzberg – Berlino; Con Il Sostegno Dei Fonds Darstellende Künste Con Fondi Del Commissario Del Governo Federale Per La Cultura E I Media (In Germania) Nell’ambito Del Programma Neustart Kultur

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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