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RELIC (di Euripides Laskaridis)

Questa recensione fa parte di Cordelia, giugno 2023

Euripides Laskaridis, Relic © Miltos Athanasiou

Straordinario e travolgente, il greco Euripides Laskaridis ha presentato, allo Studio 3 del CN D di Pantin, il suo famoso assolo Relic (2015). Una figura trasfigurata nell’anatomia da gommapiuma e larghe protesi, interamente fasciata di collant, abita la scena non come l’utopia di un corpo futuro, ma come reliquia, relitto, retaggio, se non addirittura cimelio, di qualcosa che sopravvive e resiste dal passato: «A thing left behind, be it memory, object, language or being». Questa cosa ‘lasciata indietro’, che come la morte livella ogni gerarchia di valori fra parole, cose ed esseri viventi, torna neo-zombie in un processo trasformativo di resistenza al tempo della cancellazione e dell’indifferenza. E sembra non dover rispondere a nessuno, talmente alto è il mimetismo con il circostante, la presa sulla forza del passato. È un lavoro generato come risposta alla crisi greca di quegli anni, e mette alla prova i confini di ogni norma contro le ideologie rassicuranti sulle sorti progressive del futuro. L’atmosfera domestica di una casa (con tanto di pianta salottiera e wc neoclassico) qui viene letteralmente fatta saltare. Con i mezzi del cabaret e del vaudeville, in una fisicità sfrontata piena anche di humor nonmeno che di (finti) pudori, tutti da primo piano, come una sacerdotessa acrobata, una fattucchiera arcaica o una pitonessa da speculative fiction. Tutto è ribaltato, e riscattato, financo il tempo della vita. La performance di Laskaridis è piena di bizzarrie e anche di chincaglierie, di trovate in sequenza a disposizione di un immaginario domestico, da ‘teatro fatto in casa’, pure selvaggio, artificiale, per accumulo. Alla fine, l’impressione è che non manchi proprio niente. Quel che resta è già tutto quel che serve per destabilizzare dogmi e norme. Come nella retrotopia descritta da Bauman, andare a ritroso con il passato può trasformarsi in un itinerario di purificazione dai danni che il futuro ha prodotto ogni qual volta si è fatto presente. (Stefano Tomassini)

Visto al CN D (Pantin/Parigi). Director, choreographer, set designer and performer, Euripides Laskaridis; Artistic collaboration, Tatiana Bre; Dramaturgy consultant, Alexandros Mistriotis; Costumes, Angelos Mentis; Sound design, Kostas Michopoulos; Sound installation & live operation, Kostas Michopoulos, Giorgos Chanos, Nikos Kollias, Kostis Pavlopoulos.

 

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Stefano Tomassini
Stefano Tomassini
Insegna studi di danza e coreografici presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2008-2009 è stato Fulbright-Schuman Research Scholar (NYC); nel 2010 Scholar-in-Residence presso l’Archivio del Jacob’s Pillow Dance Festival (Lee, Mass.) e nel 2011, Associate Research Scholar presso l’Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University (NYC). Dal 2021 è membro onorario dell’Associazione Danzare Cecchetti ANCEC Italia. Nel 2018 ha pubblicato la monografia Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile (Scalpendi) e, più di recente, con lo stesso editore, Tempo perso. Danza e coreografia dello stare fermi.

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