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Il teatro in Russia. La condanna di Putin

Il teatro in Russia resiste. Ma a che prezzo? Alessandra Giuntini è attrice, regista e drammaturga, diplomata all’Accademia Teatrale di San Pietroburgo, città in cui ha vissuto prima di tornare in Italia; le abbiamo chiesto un racconto delle maggiori esperienze artistiche che negli ultimi vent’anni hanno dovuto vedersela con la repressione del regime e che hanno lasciato pochissime tracce sui i grandi mezzi di informazione italiani. Ne è nata una mappa necessaria per approfondire cosa voglia dire la parola libertà durante una dittatura. 

Alessandra Giuntini

Ho studiato e vissuto in Russia per 16 anni, ho lavorato come regista, attrice e pedagoga. Ho più di 20 spettacoli alle spalle, in teatri nazionali ed indipendenti, molti di questi spettacoli vanno tutt’ora in scena. Con i miei compagni di Accademia abbiamo fondato un teatro indipendente che cerchiamo di tenere vivo tutt’oggi, per noi questo è molto importante: sono rimaste poche isole di pace artistica, ci sembra fondamentale riuscire a mantenere un dialogo con gli spettatori, non abbandonarli nell’oblio della follia. Ad aprile dell’anno scorso, io e la mia famiglia abbiamo preso la decisione di lasciare la Russia, all’inizio temporaneamente, ma dopo la prima mobilitazione abbiamo capito che tornare sarebbe stato pericoloso per mio marito, perché Russo. Per me comunque è importante rimanere in contatto con il pubblico in Russia, avendo una figlia con doppia cittadinanza, mi sento responsabile come madre di impegnarmi in modo che lei, appartenente a due nazioni, non si vergogni di nessuna delle due.

Gaudeamus, di Lev Dodin Photo © Viktor Vassiliev

Ho un compito difficile: spiegarvi dal mio punto di vista e secondo la mia esperienza personale cosa fosse il teatro in Russia prima della guerra e cosa sta succedendo adesso, quando ormai nel paese si è apertamente instaurato un regime dittatoriale. Sono già due sere che ci provo, scrivo citazioni di Stanislavskij, ricordi di spettacoli, masterclass, festival… ma sembra tutto troppo poco, misero, freddo e lontano. Ma ci devo almeno provare.

Cominciamo dal passato. Il teatro russo degli ultimi vent’anni si muoveva alla velocità della luce: dopo i rivoluzionari anni ‘90 – quando finalmente la censura cadde insieme all’Unione Sovietica – la Russia diventò un posto nel quale finalmente potevi dire tutto quello che volevi: per strada, nelle canzoni, nei film e nei teatri. Sono proprio quegli anni ad averci donato Gaudeamus di Lev Dodin, simbolo del teatro del dissenso e ormai parte della storia teatrale mondiale. 

Kirill Serebrennikov

Purtroppo, però, quel teatro che aveva appena assaporato la libertà se la vedeva già negare agli inizi del nuovo millennio. Sarà forse un caso, ma proprio nel 2000 Putin venne ufficialmente eletto presidente della Federazione Russa. Ma gli artisti russi – e con loro gli spettatori – dopo anni di claustrofobia ideologica avevano respirato a pieni polmoni e ora non potevano più tornare indietro. Perché il teatro, con la forza del qui e ora è in grado di divenire lo spazio del contatto, l’adrenalina del live e la possibilità di non ripetersi uguale a se stesso rendono più complicata la censura, quella censura che già stava prendendo piede nella televisione e nella stampa. 

Le moine noir di Kirill Serebrennikov presentato ad Avignone 2022 mentre il regista era agli arresti

Il regista Kirill Serebrennikov debuttò agli inizi del 2000 al Teatro d’Arte di Mosca determinando da subito una svolta nel linguaggio teatrale: crudo e vero nella tematica, il teatro si faceva specchio dell’esigenza collettiva di guardarsi in tutta la sofferenza accumulata durante il regime sovietico. Il focus del lavoro di Serebrinikov era quello di far riflettere sulla capacità del potere – incarnato dal bullo di quartiere, dal mafioso di zona o dal religioso corrotto – di distruggere ciò che è bello, candido e puro. Questa sarà una delle tematiche principali dei suoi spettacoli, una profonda analisi sul processo perverso di distruzione dell’uomo sull’uomo. Kirill diventa un personaggio scomodo, la sua estetica affascina i giovani e l’élite russa, rapidamente ha successo anche all’estero portando fuori dalla Russia i cosiddetti “panni sporchi”. 

Un frame di Limonov The Ballad of Eddie, ultimo film di Kirill Serebrennikov dal romanzo Limonv di Emmanuel Carrère

Nel 2017 ebbe inizio un processo penale contro Kirill, che venne accusato di aver rubato allo Stato 2 milioni di rubli e da subito fu costretto agli arresti domiciliari. Gli vennero persino negati i permessi per andare a trovare la madre malata, che morì proprio durante la sua detenzione. Non ci sono vere e proprie prove di colpevolezza, l’accusa ha presentato ipotesi che non si basano su fatti, ma solo su opinioni (di persone tra l’altro non esperte in campo teatrale). Da allora, chi criticava il governo veniva perseguito, controllo che rendeva così il teatro un’arma ancora più pericolosa nei confronti dello Stato stesso: il teatro, il posto dove si vive di finzione e di menzogne diventa così il luogo di rivendicazione, in cui viene rappresentata la più tagliente verità. Ho preso l’esempio di Kirill perché è stato un caso eclatante e molto kafkiano, che ha unito tutto il mondo teatrale e ci ha resi compatti perché solo così potevamo vincere. O almeno così credevamo. 

BerlusPutin rehearsals, photo by Polina Korolyova. Nel 2012, Teatr.doc ha prodotto la satira politica BerlusPutin, diretta da Varvara Vaer. BerlusPutin è un adattamento del  testo di Dario Fo, L’Anomalo Bicefalo). Nella versione di Teatr.doc gli scienziati creano un mostruoso ibrido tra l’ex primo ministro italiano Silvio Berlusconi e il presidente russo Putin.

Dobbiamo citare anche Teatr.doc, fondato da Elena Gremina e Mikhail Ugarov, al quale dobbiamo l’introduzione del Verbatim in Russia. Il teatro-attivista che nacque da quelle esperienze creò una scuola, con molti allievi e allieve, e portò il Teatr.doc anche nelle province più sperdute. Mikhail Ugarov si è trovato più volte la polizia alle porte del teatro; ha ricevuto telefonate minatorie dove si parlava di bombe nascoste nello stabile che lo costringevano ad annullare gli spettacoli, considerati scomodi, dissidenti, pericolosi.

Ma nessuno mollava, la comunità teatrale si univa sempre di più, e l’unione diventava forza contro coloro che volevano zittire le voci degli artisti. Una vera catena di solidarietà: se qualche teatrante era in difficoltà – che fosse una denuncia o problemi famigliari non importava – tutti si schieravano per offrire supporto. Ormai i meccanismi erano talmente ben strutturati che bastavano pochi minuti ed ognuno di noi sapeva già cosa fare: post, video, chiamate, lettere, petizioni. Nel 2019 la polizia durante una manifestazione arrestò ingiustamente un attore e nel giro di pochi giorni tutti i teatranti si attivarono tramite appelli, lettere e richieste, anche da personaggi famosi, e il ragazzo fu alla fine liberato. 

Elena Kovalskaya

Così vivevamo noi registi, drammaturghi e attori, ognuno di noi sapeva che se fosse diventato scomodo avrebbero trovato il pretesto per costringerlo al silenzio, ma non ci sentivamo mai soli, ci proteggevamo a vicenda.

Lo scorso anno, con lo scoppio della guerra (parola letteralmente proibita nel territorio della Federazione Russa), molti direttori artistici, professori, personaggi famosi e persone influenti del teatro si sono mossi con annunci ufficiali chiedendo lo stop del conflitto. Forse qualcuno ricorda Elena Kovalskaya che subito si licenziò dal Centro Meyerhold di Mosca e scrisse una lettera ufficiale di dissenso nei confronti delle azioni militari in atto. 

La protesta di Artur Shuvalov. Foto da Radio Free Europe

Tutti hanno provato a farsi sentire, urlare, a far risvegliare il buon senso… ma era troppo tardi. Iniziarono i licenziamenti, le denunce amministrative decise da decreti emanati e attuati in poche ore. Verso la fine di marzo iniziarono ad annullare i primi spettacoli, a chiudere temporaneamente i teatri, a bandire i drammaturghi e a mandare gli attori in ferie forzate. Chi poteva lasciava il paese, chi non ne ha avuto la possibilità continua tutt’oggi come può ad essere dissidente, a volte anche in solitaria. 

È passata in sordina la storia di Artur Shuvalov, attore nella città di Ulan-Ude, che alla fine di uno spettacolo, dopo i ringraziamenti, si è tagliato le vene in scena, perché stremato dalla persecuzione messa in atto dall’amministrazione del teatro per la sua posizione anti-guerra.

La regista teatrale Zhenya Berkovich nella prigine del tribunale prima di un’udienza a Mosca, Russia, venerdì 5 maggio 2023. (AP Photo/Alexander Zemlianichenko

Tra chi è rimasto e continua a resistere, c’è Jena Berkovich, regista, allieva di Kirill Serebrennikov, poetessa e mamma di due figlie con invalidità psichiche, adottate pochi anni fa. Il 24 febbraio del 2022 la prima cosa che ha fatto è stata scendere per strada con un cartello “ NO alla Guerra”, dopo 20 minuti è stata arrestata. Non essendo ancora in vigore la legge che vieta di chiamare “guerra” il conflitto in Ucraina, fu arrestata per resistenza a pubblico ufficiale, anche se ovviamente non ci fu nessuna resistenza. Jena restò in carcere per undici giorni. Parliamo di un’artista che ha sempre fatto volontariato, il teatro per lei è il campo in cui praticare ed amplificare il bene e l’altruismo. Dopo essere uscita dal carcere a marzo, ha cercato di non essere esplicita sui social continuando però le sue azioni per aiutare i perseguitati e i prigionieri politici: basti pensare all’asta Premi ricevuti, per la quale è riuscita a convincere personaggi famosi a mettere all’asta alcuni dei loro premi alla carriera, ed il ricavato è stato donato al fondo OVD INFO per sostenere le spese legali dei prigionieri politici.

Il falco luminoso (The Brave Falcon), diretto da Directed by Zhenya Berkovich. Foto Alexander Andrievich

Nel 2021 Jena mise in scena uno spettacolo, Finist, il chiaro Falco, basato su storie vere di donne che venivano subdolamente arruolate nell’organizzazione estremista islamica, si sposavano online con i loro membri e partivano per la Siria. L’opera nel 2022 ha ricevuto molti premi e riconoscimenti. Il 5 maggio di quest’anno, un mese fa, a casa di Jena e di sua madre sono iniziate le perquisizioni, con l’accusa di “giustificazione del terrorismo”. In questo momento Jena è in carcere in attesa del processo, nonostante a casa la aspettino due minorenni con difficoltà psichiche.

Da adesso in Russia ti possono arrestare per uno spettacolo.

Il falco luminoso (The Brave Falcon), diretto da Directed by Zhenya Berkovich. Foto Alexander Andrievich

Sempre nei primi giorni di maggio è stato chiuso temporaneamente il Malyj Teatr, il teatro del leggendario Dodin, che non ha mai nascosto la sua posizione di dissenso. L’attore Danila Kazlovskij, suo allievo, è stato esplicitamente preso di mira. L’unico cavillo che sono riusciti a trovare per chiudere il teatro è relativo al mancato rispetto delle norme di profilassi pandemiche. Per fortuna il teatro ha già riaperto pagando una sanzione amministrativa, ma è ben chiaro che questo è stato solo l’inizio. 

Ogni giorno ti svegli e pensi: “quali altri nomi di amici vedrò nel notiziario?”

Allo scoppiare del conflitto, tanti artisti hanno lasciato la Russia, chi può cerca di ricominciare da qualche altra parte e molti sono stati costretti ad abbandonare la propria professione e a occuparsi di altro. Restiamo testimoni non solo del genocidio di un popolo, della perdita continua, incessante, di vite umane ma anche di un genocidio culturale che creerà un vuoto nelle coscienze incidendo sulla storia.

L’unica cosa che resta è testimoniare, come fa questo sito che riporta una sorta di diario, una cronaca del teatro durante i combattimenti. Non sono altro che parole le nostre, ma parlare è creare memoria per coltivare la speranza.

Alessandra Giuntini

Per scrivere a Jena Berkovich è possibile utilizzare questo portale, ci vuole una carta di credito russa, il costo è di 70 rubli (80 centesimi di euro) per ogni lettera.

https://f-pismo.ru/new/main/?fbclid=IwAR3YIcYOrQylwVB_bSSTeq4r7_0Ye7QfJjQ9Chb3lHNO32_lUlOK-HWO_CU&mibextid=Zxz2cZ

Per chi fosse interessato la redazione di teatroecritica può accogliere le lettere da inviare a Jena e inviarle tramite la traduzione di Alessandra Giuntini. Scrivi a redazione@teatroecritica.net

Guarda i video su Rainews: DOSSIER Una voce dalla Russia, con le  testimonianze di Alessandra Giuntini 

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