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Siamo qui per provare. Tra teatro e cinema, esercizi di sparizione

Siamo qui per provare è un film documentario di Greta De Lazzaris e Jacopo Quadri che riprende la lavorazione dello spettacolo Avremo ancora l’occasione di ballare insieme di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini. Ma è anche un nuovo modo di raccontare i processi creativi e la fragilità dell’arte. 

Siamo qui per provare. Fotogramma del film

È davvero un’avventura affascinante quella di cercare di capire i modi in cui il cinema e il teatro, come una coppia d’amanti, possano inseguirsi a vicenda, puntarsi contro il dito, giocare a nascondino, farsi sberleffi, lanciarsi anatemi e insulti, scambiarsi pegni d’amore e scagliarsi addosso piatti e pugnali nel gran fracasso delle discussioni definitive.
I film che portano in pellicola, omaggiandola o tradendola, la grande tradizione letteraria del teatro sono talmente numerosi che non avrebbe senso alcuno elencarli; ma si trova anche quel teatro che guarda, comprende, riusa o mette in crisi il cinema, che ne impara i linguaggi per parlarli con accenti marcatamente forbiti e calligrafici o invece superbamente maccheronici. E poi c’è un’arte di mezzo, che pone i due sistemi semantici uno accanto all’altro, cerca di interrogarne i presupposti e tastarne le pulsazioni creative per creare una terza via, un mare in cui naufragare può risultare estremamente dolce e, insieme, estremamente doloroso.

foto di Giulia Barini | Giornatedegliautori.com

È il caso di un oggetto come Siamo qui per provare, il film realizzato da Greta De Lazzaris e Jacopo Quadri, presentato in anteprima alle Giornate degli Autori durante la Mostra del Cinema di Venezia 2022 e poi non propriamente distribuito, e mostrato solo in proiezioni speciali nel nostro Paese e in altri.
Viene qui osservata una larga porzione di prove dello spettacolo Avremo ancora l’occasione di ballare insieme, firmato dal duo Daria Deflorian/Antonio Tagliarini (2021), captando con sorprendente nettezza le vibrazioni sottili di un processo creativo complesso come può esserlo quello del teatro di ricerca. Per farlo, la regia sembra creare innanzitutto i presupposti per una generale riconfigurazione dei piani di realtà. Il discorso narrativo della pellicola si posiziona su tre livelli che procedono paralleli e che sembrano non ammettere alcuna vera e propria dimensione finzionale: la vita privata, la sala prove, la drammaturgia dello spettacolo corrispondono di fatto a tre strati di realtà tra i quali di certo esiste un legame, ma che è un legame non gerarchico, su cui il mezzo cinematografico mantiene un controllo, comunque limitato, la cui chiave sta in un esercizio di sparizione.

Siamo qui per provare. Fotogramma del film

Nel testo che chiude il bel volume Tre Film (Luca Sossella editore, 2022, con «cinque drammaturgie dedicate al cinema» di Deflorian e Tagliarini), Attilio Scarpellini fa un breve cenno a Siamo qui per provare, presentando i suoi autori come «cineasti puri […] portatori di una decisa e provvidenziale alterità: occhio inesauribile che, sempre in agguato, non sbatte mai le ciglia».
Nelle prime sequenze del film, un montaggio della preparazione e della festa per il matrimonio di Daria raccoglie attorno a lei e al suo sposo un gruppo di persone, sorrisi, tagli di luce chiara, soprattutto i passi piccoli e decisi che riguardano il trucco, l’abbigliamento, gli accessori necessari a celebrare un giorno di festa. I preparativi, la cerimonia, gli applausi, ma non i commiati. Se ne L’Angelo Sterminatore di Buñuel le persone non avevano più modo di allontanarsi, qui non c’è nessuna porta da varcare. La postura assunta al matrimonio sarà la stessa in ogni sezione del film, che segue lo spettacolo fino alla sera del debutto: la cinepresa guarda e ascolta, si infila tra una spalla e l’altra, ruota attorno alle schiene, si ferma e osserva da lontano, sosta nel mezzo di radicali discussioni. Ma nessuno parlerà mai con lei, è un’invitata fantasma, un tramite muto tra una sorta di vita e una sorta di morte. Non importa se nascosta o visibile agli altri, si muove e sosta partecipando alla costruzione di una nuova, controversa, realtà.

Nel testo introduttivo al volume di Sossella, Rossella Menna (che lo cura insieme a Daria Deflorian) trova un modo sintetico e chiaro per definire un percorso di metodo interno al teatro di Deflorian e Tagliarini e proprio di tutti i loro lavori: «gli attori non si immedesimano mai nei personaggi, perché il senso di confrontarsi con figure altre è invece quello di entrare ogni volta, per ogni spettacolo, in una zona diversa di sé». A questa proposta poetica sembrano rispondere anche Greta De Lazzaris e Jacopo Quadri: solo all’apparenza il film si presenta come un documentario, in verità esso intrattiene un dialogo nuovo con la materia che osserva. Si tratta di una sottile operazione narrativa che assorbe i presupposti creativi degli artisti che ritrae e vi si rispecchia creando un’opera autonoma: una rispettosa e ingegnosa rimediazione di un sistema di relazioni molto complesso tra persone, biografie, scrittura scenica, drammaturgia delle azioni, regia.

La scuola d’estate. Fotogramma del film

Jacopo Quadri ha avuto, in passato, la possibilità di filmare lunghe sessioni di lavoro con giovani attrici e attori al Centro Teatrale Santacristina fondato da Luca Ronconi: nel film La scuola d’estate, attraverso scampoli di lavoro a tavolino e alcuni dialoghi con le giovani leve, quel luogo isolato, immerso nelle campagne umbre era presentato come un tempio della creazione in cui, attraverso esercizi minuti e una totalizzante condivisione degli spazi da parte degli allievi, la dimensione tempo sembrava veder sacrificata la propria linearità. Quando l’arte si fa laboratorio, l’arco cronologico di una giornata è in grado di aprire squarci alla durata convenzionale delle ore, entro cui la ricerca di una singola reazione tra gli elementi discreti messi in campo può occupare un intero pomeriggio o invece rivelarsi come il più elementare dei processi. Già quel film disegnava prudenti cerchi di avvicinamento alla possibile comprensione di un viaggio complesso come l’emergere del senso di una frase, di uno scambio di battute, infine di una scena.

foto di Andrea Pizzalis

Compiendo uno scatto in avanti, Siamo qui per provare dà forma a una precisa (e altra) autorialità: la cinepresa (nel suo transitare e fermarsi) e il montaggio (nel suo raccogliere le inquadrature in un punta-onda di dinamismo tecnico e però emotivo), diventano partecipi di quel lavoro di scavo, messa in crisi, dubbio che – nell’arte di ricerca – sempre precede la messa in voce di singoli monologhi, dialoghi, scene.
Il film coglie i due artisti e i loro collaboratori (Francesco Alberici, Martina Badiluzzi, Monica Demuru, Andrea Pizzalis, Emanuele Valenti) sulla delicata strada dello sviluppo di un’idea, della raccolta di stimoli autobiografici, del lavoro di scrittura scenica che da lunghe conversazioni sbobinate prende la forma di scampoli di dialogo e monologo. Del riferimento al Ginger e Fred di Fellini il montaggio conserva qualche cenno, eppure (e qui sta un tratto affascinante) a chi guarda non vengono forniti elementi sufficienti per immaginare il risultato scenico di Avremo ancora l’occasione di ballare insieme. Quello è compito del teatro in sé, mentre qui si guarda al suo farsi, che non ammette nozioni di chiarezza o compiutezza. Senza interrogarne le ragioni ma ritraendole mentre si fanno visibili, il montato osserva momenti di profonda crisi creativa e metodologica, registra lo sconforto e l’attrito, rende concreto e palpabile il rischio che uno spettacolo davvero non riesca ad arrivare al debutto.

Siamo qui per provare. Fotogramma del film

Forse ancor più che parteciparvi, assistere alle fasi di ideazione di uno spettacolo (anche se sostenuto da istituzioni riconosciute) è un’esperienza che mostra in maniera evidente come le fragilità produttive del nostro teatro di oggi ne stiano modificando i presupposti creativi. Il film di Greta De Lazzaris e Jacopo Quadri ha il coraggio di proporre la specifica drammaturgia delle immagini e il peculiare sistema ritmico del cinema non come strumenti al servizio della semplice documentazione di un fenomeno, ma piuttosto precisandone il ruolo di necessario complemento di linguaggio. Avremo ancora l’occasione di ballare insieme è l’approdo di una complessa impresa di interrogazione intellettuale e iconografica rivolta al cinema come mezzo e come contenitore di segni che, nel produrre e far sedimentare frammenti di immaginario, li distribuisce nella coscienza collettiva come metastasi creative a tratti incontrollabili, a tratti estremamente autoritarie.

Qui, la macchina da presa e il suo personale percorso narrativo sono integrati a tutto tondo all’universo creativo del teatro, a cui di certo offrono un omaggio amorevole, militante e dunque prezioso. Soprattutto evidenziano la straordinaria tenacia con cui un’opera d’arte, oggi, tenti di proteggere la propria “aura”, che Benjamin descriveva come «lontananza per quanto vicina». Rendendo giustizia al lavoro svolto da questo duo artistico (come da molti gruppi della ricerca contemporanea), anche grazie a quell’esercizio di sparizione compiuto dalla cinepresa possiamo guardare il teatro nel suo realizzare un processo sempre in lotta per rendersi visibile e per inglobare, mettendolo in crisi, ogni risultato pacificato, recuperando così una dolente e necessaria funzione politica dell’arte.

Sergio Lo Gatto

SIAMO QUI PER PROVARE (2022)
di Greta De Lazzaris e Jacopo Quadri
con Martina Badiluzzi, Daria Deflorian, Monica Demuru, Giulia Pastore, Andrea Pizzalis, Attilio Scarpellini, Antonio Tagliarini, Emanuele Valenti
fotografia Greta De Lazzaris
montaggio Jacopo Quadri
produzione Ubulibri, RAI Cinema
durata 88′

LA SCUOLA D’ESTATE (2014)
di Jacopo Quadri
con Luca Ronconi
e gli allievi del Centro Teatrale Santacristina
fotografia Maura Morales Bergmann
musiche Valerio Vigliar
suono Antonio Barba
produzione Ubulibri e Rai Cinema in associazione con Okta Film
in collaborazione con il Centro Teatrale Santacristina e l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”
durata 87’
Film vincitore del Premio Speciale ai Nastri d’Argento Doc 2015

 

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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