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MADRE (Teatro delle Albe)

Questa recensione fa parte di Cordelia, aprile 2023

Prima delle parole di Marco Martinelli c’è Nora, “non volevo diventare come lei: era vecchia, aveva mani grosse e dure[…], la gente diceva che era una strega”, scrive Ermanna Montanari nel curatissimo libro di sala di Madre. E poi c’era il pozzo dove la vecchia Nora portava la bambina, sollevandola per farla guardare in basso, nel vuoto, “nel gran buio, un’eco assordante del boato della nostra voce”. La voce appunto, suono interiore, cercato nei decenni passati, perché Ermanna Montanari è ancora qui, presente alla sua ricerca, intenta a cercare quei toni, quei colori scuri, striduli con i quali dare voce alle streghe. Questo amore, questa cura da parte dell’artista verso il proprio talento, la propria ricerca, dopo tanti anni è commovente. Siamo nella sala studio dell’Auditorium, qui il Teatro delle Albe ha portato un concerto scenico, un lavoro suggestivo fatto di suoni dal vivo, quelli del contrabbasso di Daniele Roccato, delle voci spaventevoli di Montanari e delle immagini create, anche queste dal vivo, da Stefano Ricci. E, dalla prima fila, di Ricci si posso sentire i respiri, gli affanni, la fatica tutta performativa che impiega in questo atto quasi mistico, nel quale abbandona se stesso a una sorta di trance artistica in cui elabora e poi cancella ciò che appare proiettato su un fondale circolare, il pozzo della nostra visione. La storia ribalta la consuetudine, non è il solito incubo genitoriale, non è il figlio a cadere nel buco. Nei primi attimi, mentre Ricci disegna un ragazzo di spalle, Montanari suona il proprio strumento vocale creando fruscii, respiri, fiati tra le canne. Il ragazzo corre verso il pozzo, ha saputo che la madre ci è caduta dentro. Eppure in questo dialogo tra il figlio e la madre non sembra esserci possibilità per la tenerezza, è la durezza della campagna a manifestarsi. E allora quel dialetto romagnolo quando arriva non ha nulla di sorridente e affabile, è lingua spietata, affilata, diventa una macchina che macina parole e suoni, dal buio di un pozzo. (Andrea Pocosgnich)

Visto al Teatro Studio, Auditorum. di e con Ermanna Montanari, Stefano Ricci, Daniele Roccato poemetto scenico di Marco Martinelli regia del suono Marco Olivieri tecnico luci Luca Pagliano direzione tecnica Enrico Isola, Fagio realizzazione elementi di scena squadra tecnica Teatro delle Albe Alessandro Pippo Bonoli, Fabio Ceroni, Fagio, Enrico Isola, Danilo Maniscalco, Dennis Masotti, Luca Pagliano produzione e promozione Silvia Pagliano organizzazione Francesca Venturi, Veronica Gennari relazioni con la stampa e consulenza Rosalba Ruggeri produzione Teatro delle Albe/Ravenna Teatro in collaborazione con Primavera dei Teatri, Associazione Officine Theatrikés Salénto

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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