Questa recensione fa parte di Cordelia, marzo 2023
Il teatro popolare ha quella qualità di mescolarsi facilmente a un gran numero di spettatori, perché spesso le narrazioni affondano dentro le storie di chi vi assiste, che si chiamino in un modo o l’altro, provengano dall’una o l’altra origine, le radici si somigliano tutte e svolgono la stessa funzione di vedersi – noi umani – ancorati alla storia, intrisi di passato affrontiamo il tempo presente. Agnese Fallongo (autrice della drammaturgia) e Tiziano Caputo (che cura le musiche originali) si firmano per nome proprio, senza cognome, come se volessero appunto dichiarare aderenza al contesto popolare, da cui trarre le tracce del loro teatro. Una storia di paese come tante diventa un giallo che solo verso la fine esplicita il proprio svelamento; il testo si articola per scene cronologiche narrate al passato dal figlio piccolo, ormai adulto (Adriano Evangelisti) e il cui sguardo è filtro per il pubblico. I Mezzalira, questo il titolo, sono una famiglia che da un errore a fin di bene sconta una condanna più grande, priva di una misura adeguata; la loro è una storia di preghiere, di sogni, di una ferrea volontà di affrancarsi dalla condizione di schiavitù, verso la città che sembra accoglierne i desideri. Ma una vendetta li attende e cambierà il destino di ognuno. Dietro questa storia, incastonata in una struttura in legno che sovrasta la scena, c’è però una riflessione più ampia, una filigrana politica in trasparenza che mette in luce la relazione tra potere e popolo, una goccia di lotta di classe caduta dalla spremitura d’olio nuovo. Al netto di qualche scivolata retorica, delle parti troppo spiegate e qualche ingenuità della regia (di Raffaele Latagliata), soprattutto in chiusura dei quadri, lo spettacolo vibra di una vigorosa tempra attoriale, la parola in dialetto del sud Italia si prende la libertà di caratterizzare i personaggi con precisione e andare dal tragico al comico senza alcun disagio, la musica e il canto filano con intensità le cuciture di questa trama, ne fanno un abito buono perché arrivi, prima o poi, un giorno di festa. (Simone Nebbia)
Visto al Teatro Manzoni di Roma. Crediti: di Agnese Fallongo; Con Agnese Fallongo, Tiziano Caputo e con Adriano Evangelisti; Scenografia Andrea Coppi; Costumi Daniele Gelsi; Regia Raffaele Latagliata
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