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Valle, Eliseo, Mattatoio. Roma tra promesse e chiusure

Cosa sta accadendo agli spazi culturali e teatrali romani? Dalla recente inaugurazione dei lavori di ristrutturazione del Teatro Valle “Franca Valeri”, passando per la chiusura del centro interdisciplinare dedicato ai diversi linguaggi delle arti performative, installative e di video art al Mattatoio, fino al Teatro Eliseo. Un approfondimento

Foto di Redazione

Da piazza della Repubblica, lungo via Nazionale – che poi diventa via Quattro Novembre, via Cesare Battisti, via del Plebiscito e Corso Vittorio Emanuele II – per raggiungere la piccola e stretta via del Teatro Valle, si cammina in una delle arterie turistiche maggiormente frequentate, distratti in quella Roma da cartolina più o meno patinata e, quindi, più o meno anonima. Dove i negozi strizzano l’occhio a un’esperienza internazionale e a basso costo, tra scarpe e maglieria rigorosamente Made in Italy e Italian breakfast di tutti i tipi. Percorrendo questa arteria, per arrivare al Teatro Valle “Franca Valeri” chiuso da 9 anni, da quando l’esperienza dell’occupazione terminava nell’estate del 2014, si passa anche di fronte a un altro storico teatro, l’Eliseo, qui la programmazione è ferma alla primavera del 2020, dalla prima chiusura per Covid. Se la questione del Teatro Valle sembra essere arrivata a una svolta con la presentazione del progetto definitivo di ristrutturazione, ancora tutto tace per la sala di via Nazionale. Ci sono invece novità per un altro luogo, la Pelanda, ovvero l’Ex-Mattatoio, determinante negli ultimi anni in merito alla residenzialità dedicata alle arti performative. Ma le notizie in questo caso non sono affatto delle migliori, anzi: stavolta non è lo spazio ad essere stato chiuso, ma uno dei più importanti progetti che lo animava, dedicato alle opere ibride, in grado di interrogare la divisione tra spazi teatrali e spazi museali, aprendo alla cittadinanza la visione e fruizione di creazioni frutto di innesti: miscellanee performative che hanno dato valore ai processi di ricerca e di formazione che dalla città si sono estesi a livello nazionale e internazionale.

Ma andiamo con ordine.

IL VALLE E IL TEATRO DI ROMA

foto www.facebook.com/teatrovalleoccupato

Cominciamo dalla notizia più recente e clamorosa: il Teatro Valle riapre, tra 18 mesi. Il Teatro di Roma ha convocato la stampa con l’evidente obiettivo di farne un momento a favore soprattutto di macchine fotografiche e microfoni. Missione riuscita, l’evento ha avuto copertura totale; forse si poteva pensare a una convocazione pubblica, almeno formale con prenotazione, per aprire democraticamente l’evento anche alla comunità artistica e alla cittadinanza. Il nodo centrale da comunicare è nella promessa fatta dalle istituzioni tutte, schierate e sorridenti: il sindaco Roberto Gualtieri e la commissaria straordinaria del Teatro di Roma, Giovanna Marinelli, hanno consegnato simbolicamente all’architetto Valerio Cerasi (rappresentante del raggruppamento temporaneo di imprese che si occuperà dei lavori) le chiavi del teatro per cominciare la ristrutturazione secondo il progetto dello Studio Berlucchi di Brescia, vincitore del bando pubblico, per un ammontare complessivo di spesa di 6.700.000 euro. Saranno poi – nella seconda parte della mattinata al Teatro Argentina in sala Squarzina durante la conferenza stampa e l’inaugurazione di una mostra sulla storia del Teatro Valle – a ribadire il punto fermo relativo ai 18 mesi. L’Assessore alla Cultura Miguel Gotor prevede l’apertura tra la fine dell’autunno 2024 e l’inizio del 2025, un’altra lunga attesa. D’altronde, quella che appare come una festa, in realtà è misura dell’inefficienza di chi in questi anni ha governato la città. Giusto per fare un esempio, il Teatro alla Scala di Milano bombardato nel ‘43 riaprì nel ‘46, in questo caso invece, dopo l’attivismo politico, sociale e culturale dell’esperienza dell’autogestione triennale portata avanti dal gruppo di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo si è dovuto attendere 9 anni solo per far partire i lavori, per un teatro di certo da ristrutturare e restaurare ma non bombardato, semmai sequestrato alla città. Quando abbiamo chiesto motivazioni ulteriori riguardo queste tempistiche, stimolando anche un parere, il nuovo sovrintendente capitolino ai Beni Culturali Claudio Parisi Presicce ha sciorinato, con grande precisione, uno dopo l’altro un lungo elenco di adempimenti burocratici, di passaggi amministrativi e politici. Ancora lei, la burocrazia, quindi, come fosse una sorta di predestinazione; la responsabilità non è di nessuno dunque e sembra che difficilmente si potesse arrivare prima allo stesso risultato.

Altra notizia molto attesa emersa in conferenza stampa riguarda la creazione della Fondazione del Teatro di Roma. L’inizio dei lavori al Valle avviene durante l’incarico di Giovanna Marinelli, seconda commissaria (dopo Gianluca Sole) che sta traghettando il Teatro Nazionale verso la nuova forma giuridica e che, secondo gli accordi, dovrebbe rimanere in carica fino a quando non sarà costituito il CDA e i rispettivi organi statutari. Gotor spiega che la Fondazione sarà attiva dal 18 marzo e che ci sarà un bando pubblico internazionale per scegliere la direzione. Ricordiamo che la maggiore istituzione teatrale pubblica della città non ha un vera e propria direzione artistica dal 2020, tanto che se si digita su Google “Teatro di Roma direttore” il primo risultato indicizzato è una vecchia pagina del sito del TdR, in cui si dava notizia della riconferma di Antonio Calbi per il secondo mandato nel 2018. Insomma, anche gli algoritmi si perdono tra gli interstizi della politica culturale romana.

IL TEATRO ELISEO

Teatro Eliseo – foto wikicommons

Passando davanti alla grande entrata di Via Nazionale del Teatro Eliseo, proprio il 9 marzo, il giorno della conferenza stampa per il Valle, si poteva notare un cartello sistemato alla base delle scale, indicava un evento politico promosso da Azione e Italia Viva sul Servizio Sanitario Nazionale. Perché in realtà il Teatro Eliseo non ha mai chiuso, ha dismesso la propria funzione di programmazione e produzione artistica per diventare definitivamente luogo da affittare per grandi eventi, non solo politici; la stessa Eliseo Entertainment lo ha utilizzato per presentare le produzioni cinematografiche e televisive. Il proprietario Luca Barbareschi ha sempre scaricato le colpe sul sistema pubblico dei finanziamenti che, a suo dire, con l’esiguo contributo assegnato (qui trovate tutta la cronaca relativa) non permetteva di gestire l’impresa; da qui i vari appelli e i fortunati finanziamenti extra-Fus milionari di cui abbiamo parlato più volte. Ma ora, dopo quasi tre anni di chiusura, dopo la sceneggiata della messa in vendita a 24 milioni di euro, dopo la perdita del titolo di Tric (ovvero Teatro di Rilevante Interesse Culturale, di cui ora la Capitale è priva) e la richiesta del Ministero di restituire parte dei contributi, Roma ancora non vede un progetto di recupero culturale di quella sala teatrale. Non è la prima volta che la città perde l’accesso a un bene storico e culturale, ma la domanda è d’obbligo: accettiamo senza tacere, come collettività, che un teatro di questa importanza rimanga chiuso al pubblico? Un teatro in affitto, un teatro senza teatro. Abbiamo chiesto all’assessore se ci fosse un piano del Comune, o almeno un tavolo con la gestione dell’Eliseo, la risposta è diretta e senza giri di parole e fa comprendere come ci sia poco da aspettarsi su questo fronte: «All’inizio del mandato ho avuto un’interlocuzione con il suo proprietario. Ѐ un importante teatro privato di Roma. In questo momento non c ‘è un tavolo in corso per un recupero. L’interlocuzione con Barbareschi c’è stata all’inizio, poi si è interrotta, naturalmente noi siamo disponibili ad affrontare il tema, ma di certo il nostro dovere è nell’affrontare il funzionamento del teatro in comune (i teatri comunali ndr.)». Non possiamo non fare una specifica doverosa: un teatro di rilevante interesse culturale come l’Eliseo non riceve soltanto finanziamenti privati ma anche proventi pubblici, dallo Stato e dagli enti locali, e così è stato per l’Eliseo fin quando era sostenuto dal Fus.

IL MATTATOIO

https://www.facebook.com/mattatoioroma/posts/pfbid033DSC2EKMBeeicZKp4xqks6Zqq8Q7HvmxYih8k3h8iHoJYV5UPYLwaB3k84Za7BHLl

Facciamo un passo indietro, torniamo allo scorso giugno quando avviene il passaggio di incarico dall’artista Cesare Pietroiusti – da luglio 2018 a giugno 2022 presidente dell’Azienda speciale Palaexpo che gestisce, per conto di Roma Capitale, il Palazzo delle Esposizioni, il Macro Museo d’arte contemporanea di Roma, alcuni ambienti all’Ex Mattatoio e il Museo delle periferie – al fotografo, editore e curatore di mostre Marco Delogu. Ripercorrendo i progetti promossi, Pietroiusti, in un’intervista rilasciata al termine dell’incarico, affermava che «Il progetto di residenze di ricerca e produzione Prender-si cura ha finalmente dato alla Pelanda un’identità che il pubblico, soprattutto giovanile, sta evidentemente riconoscendo, in una sinergia fra laboratori di formazione, periodi di lavoro intensivo degli artisti, collaborazioni e co-produzioni con altre istituzioni e, ovviamente, presentazioni al pubblico di performance». E poi «Le numerosissime, e crescenti, presenze alle presentazioni dei progetti di re-creatures degli ultimi mesi […] sono per me l’indice di un esperimento pienamente riuscito». Sono passati circa 9 mesi e a fine febbraio 2023, il 27, viene ufficialmente comunicata attraverso una lettera aperta la chiusura di questa attività di progettazione sincretica a più dimensioni, cittadina, nazionale e internazionale che per tre anni, da fine 2019 a settembre 2022, ha avuto luogo, appunto, alla Pelanda. «Oggi con preoccupazione rileviamo che questa progettualità si è bruscamente e inspiegabilmente arrestata, privando la Città e la comunità artistica di un prezioso spazio dedicato alla sperimentazione e alla creazione artistica e culturale interdisciplinare». L’appello rivolto alla cittadinanza è stato sottoscritto ad oggi da oltre 900 persone che richiedono all’Amministrazione Comunale e a Palaexpo «un confronto chiaro, esaustivo e costruttivo». Sono passati oltre dieci giorni dalla pubblicazione della lettera e, non solo le istituzioni non hanno preso parola, ma il già citato Marco Delogu e neo presidente di PalaExpo su La Repubblica Roma di martedì 28 febbraio, facendo un confronto con un evento programmato al Mattatoio, ha affermato che questo «ha avuto un successo clamoroso, con un rapporto virtuoso di spesa. Invece il rapporto tra il costo dell’attività del Centro e il numero di presenze è stato ritenuto fortemente insufficiente». Marco Delogu, a giugno al momento della nomina, affermava che «E ho un piccolo sogno: che al «Palazzo», così come al Mattatoio, al Macro e al Museo delle periferie, si venga senza bisogno di consultare il programma, solo perché si è certi che oltre alla bellezza dei luoghi si troverà sicuramente una mostra, un talk, un film, e una serie di servizi di grandissima qualità». Anche in questo caso occorre una specifica doverosa. Il modello di attivazione culturale e cittadina portato avanti dal Centro ha visto il coinvolgimento di artiste/i nazionali e internazionali che sono stati ospitati nelle residenze di ricerca e produzione e i cui lavori sono stati poi presentati in contesti museali o performativi; moltissimi giovani artisti e studiosi hanno presentato domanda per la partecipazione al Master in Arti Per formative (163 richieste pervenute nel 2022 per 21 posti disponibili di cui 11 con borsa di studio); numerose persone (adulti e bambini) hanno partecipato ai laboratori gratuiti sempre con posti esauriti; un folto pubblico, soprattutto di nuove generazioni, ha preso parte alle presentazioni pubbliche, basti pensare che per gli eventi live di re-creatures 2022 sono state oltre 6.000 le presenze e capienze degli spazi sempre complete. Ilaria Mancia, dal 2019 a settembre 2022 curatrice e ideatrice, responsabile dei progetti formativi, delle residenze produttive e delle presentazioni al pubblico, presso Pelanda/Mattatoio di Roma, ci conferma che «le residenze artistiche avevano come base proprio questo, non veniva richiesto alle e agli artist* un “prodotto” finale; il supporto e l’accompagnamento drammaturgico alle loro sperimentazioni e ricerche creava un terreno di lavoro libero da vincoli. Ѐ successo poi che siano emerse possibilità di presentazione dei lavori al pubblico grazie a un desiderio reciproco e al riconoscimento che le caratteristiche del Mattatoio e del progetto curatoriale potevano potenziare alcuni elementi delle opere e viceversa. Molte altre produzioni invece hanno trovato altrove, anche in contesti internazionali, i luoghi giusti per essere proposte al pubblico, grazie anche a una rete di collaborazioni che si è basata su un sostegno plurale e non di “appartenenza” a questo o quel museo o festival».

Foto web

Sia chiaro, gli spazi fisici resteranno aperti, a essere chiuso è un progetto che permetteva di ripensare il Mattatoio come luogo in cui sperimentare la creazione estetica attraverso approcci artistico-performativi non convenzionali, interattivi e partecipati in cui formarsi attraverso nuove modalità di esperienza, ne parla anche Graziano Graziani in un articolo apparso su chefare.com. E invece, da quanto si apprende sul sito del Mattatoio, nei mesi di marzo e aprile saranno ospitati due progetti di didattica e spettacolo guidati rispettivamente da Giorgio Barberio Corsetti, ex consulente artistico del Teatro di Roma, e Antonio Latella, nati dalla collaborazione tra Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico e l’Azienda Speciale Palaexpo. Indubbiamente una scelta “conservativa”, un’idea di cartellone teatrale e di formazione definita e circoscritta, affidata oltretutto a figure già riconosciute e sicure di appoggio istituzionale, che si concluderà poi nella rappresentazione di uno spettacolo itinerante aperto al pubblico. Parallelamente a questo tipo di proposta, le istituzioni dovrebbero quindi assumersi la responsabilità – come fatto in passato al Teatro India durante il periodo di consulenza di Francesca Corona – di dare luogo alle relazioni, al tempo, alla stabilità di processi intesi come isole di pensiero non determinate, potenziali energie da accogliere e sostenere, che non diventino necessariamente prodotti spettacolari da sbigliettare ma liberi e gratuiti momenti di aggregazione, di confronto e formazione, di visione, aperti e attraversabili, appunto, dalla collettività. Come affermato da Paola Granato, dal 2020 al 2022 responsabile dei contenuti editoriali e dramaturg per il progetto di residenze di ricerca e produzione artistica Prender-si cura presso Pelanda/Mattatoio di Roma, «La presenza di luoghi per la ricerca è, come sappiamo, un punto cruciale perché le produzioni artistiche possano avere il tempo, la cura e il sostegno economico necessario per poter avere possibilità di essere. L’inizio di un progetto di questa natura ha significato mettere le basi per la costruzione, da una parte, di una rete di realtà, come accennava Ilaria Mancia, che si occupano di sostegno alla ricerca artistica contemporanea il cui dialogo è fondamentale. Ma, anche, di un modo che ripensasse le modalità dell’attraversare il periodo di residenza artistica, ad esempio, la già citata assenza di vincoli ma, anche, con l’idea di tenere sempre attivo il dialogo tra le diverse entità presenti nella struttura e attraverso incontri con figure importanti del panorama teorico e artistico nazionale». E non è più il momento di cadere nella retorica dell’assunzione del rischio: non c’è nessun rischio, la risposta della cittadinanza al progetto Prender-si cura e le sue ramificazioni a livello internazionale lo dimostrano, come anche il fatto che tra i primi firmatari della lettera vi siano artisti insigniti con il Leone d’Oro alla Biennale Danza come Alessandro Sciarroni, di calibro internazionale come Agrupación Señor Serrano, Mariangela Gualtieri, Claudia e Romeo Castellucci, Stefan Kaegi e Helgard Haug dei Rimini Protokoll, filosofi, giornaliste/i ma anche studentesse/i, ricercatrici/ricercatori, insegnanti, commercianti, pensionate/i… Roma sta così scegliendo di non sostenere delle pratiche residenziali che implicavano una riconfigurazione dell’idea convenzionale di offerta culturale, processi che hanno creato degli innesti proficui tra la fruizione museale e quella teatrale, che hanno coinvolto le persone in ambienti multidisciplinari, stimolandone la curiosità, la percezione e quindi la partecipazione politica volta alla crescita e al cambiamento.

Lucia Medri e Andrea Pocosgnich

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