Quale memoria abbiamo delle storie e dei personaggi delle nostre scene? Parliamo di Luigi Riccoboni e del lavoro di Stivalaccio Teatro, Arlecchino muto per spavento, in tournée.
Se nel nostro Paese avessimo un rapporto condiviso con la memoria delle arti sceniche dal vivo ricorderemmo quei personaggi che furono in grado di creare canoni estetici, influenzare percorsi e innovare i linguaggi della scena. La diatriba cinque-secentesca tra l’accademia e il mestiere dei comici non si è mai assorbita e nella grande Storia i personaggi della scena italiana – a parte le solite eccezioni come Gassman, Bene o Duse – ci sono finiti grazie alla pagina scritta. Chi non si occupa di teatro difficilmente conosce figure come Gustavo Modena e Adelaide Ristori ad esempio, eppure parliamo di protagonisti in grado di creare una poesia della scena al pari dei poeti letterati.
Nella composizione effimera della materia d’altronde sta il segreto del teatro, però le cronache e la storiografia aiuterebbero: uno sguardo al Settecento, ad esempio, lascerebbe emergere non solo le solite figure (la celeberrima triade Alfieri, Goldoni, Gozzi), ma anche una dalla caratura internazionale come Luigi Riccoboni. Personaggio unico, che nasce a Modena e muore a Parigi, si faceva chiamare Lelio.
A quarant’anni, si trasferisce a Parigi per cominciare un’altra vita nel teatro francese. Qui trova terreno fertile e pubblica, tra le altre cose, due volumi dedicati alla storia del teatro italiano e una storia comparata dei teatri d’Europa (Réflexions historiques et critiques sur les differents théâtres de l’Europe), dimostrando definitivamente di essere un moderno attore intellettuale. Il lavoro di Riccoboni va inserito nel filone dei riformatori del secolo dei lumi, ma nel suo caso il legame con le maschere della Commedia era ancora vitale. Saranno in tanti nel Settecento a voler seppellire Arlecchino – per usare un’immagine di Tessari che nel suo libro dedicava un capitolo all’attrice e capocomica tedesca Caroline Neuber, la quale, insieme a Johann Christoph Gottsched, tentò di far piazza pulita della maschera dello Hanswursth. Riccoboni nel 1716 debutta a Parigi, chiamato dal duca d’Orléans, in seguito ai successi avuti sui palcoscenici veneziani, per riaprire la tradizione dei comici italiani in Francia. Uno dei primi canovacci proposti da Lelio fu Arlecchino muto per spavento (Arlequin muet par crainte), scritto con l’escamotage del mutismo della maschera principale per agevolare la performance pantomimica di Tommaso Vicentini, arlecchino italiano che non parlava francese.
E qui arriviamo al presente: perché c’è una compagnia veneta che si sta facendo portatrice della tradizione riccoboniana e, nel tentativo di un più generale recupero del teatro popolare delle maschere, ha prodotto una versione di Arlecchino muto per spavento che è un grande omaggio al teatro di Riccoboni ma anche una macchina spettacolare di primissimo livello. Il gruppo di attori e attrici si chiama Stivalaccio Teatro, fondato nel 2007 da Michele Mori e Marco Zoppello.
Se nel nome vorrebbe battezzare una vocazione nazionale, nella pratica poi il lavoro della compagnia è compresso tra due regioni e lo spettacolo di cui parliamo conta decine e decine di repliche tra Lombardia e Veneto (qualcosa in Friuli Venezia Giulia) mettendo in evidenza un circuito territoriale in cui la tradizione della Commedia dell’Arte è ancora viva e ricca. Eppure questo Arlecchino muto per spavento meriterebbe platee attente anche altrove. Stivalaccio ha trovato una propria via per parlare agli spettatori indossando maschere e personaggi della Commedia dell’Arte, maneggiando e rinnovando la tradizione ad altissimi livelli sia dal punto di vista culturale e teorico che nella fase di messinscena.
In Arlecchino muto per spavento (in questo caso visto nel teatro ristrutturato di Schio) Stivalaccio fa un salto in avanti proponendo un allestimento con 9 interpreti, un impianto scenico importante ma moderno nella sua modularità, il canto, la musica dal vivo e i duelli. La storia, in costume, ambientata a Milano contiene tutti i temi e gli stilemi della Commedia: lo schema dell’amore tra i giovani, contrastato, i vecchi in maschera incapaci di farsi da parte, e poi il vitalismo istrionico dei servi con le furberie napoletane di Trappola (Pierdomenico Simone è un oste sempre pronto a riempirsi le tasche di quattrini), la Violetta romanesca di Sara Allevi e naturalmente l’occhio del ciclone, quell’Arlecchino recitato con vigore, precisione e talento da Marco Zoppello. Stivalaccio non concede nulla a facili trasposizioni contemporanee eppure nulla appare invecchiato, non c’è niente di impolverato in questa Commedia dell’Arte perché c’è un sentimento e una passione che sono nostri. A Zoppello e al suo ensemble basta calibrare la relazione con il pubblico per entrare in risonanza: è una questione di postura, ritmo e immediatezza, ma anche di una visione teatrale in grado di mettersi in ascolto con un gusto moderno. Si guardi l’eleganza dello spazio scenico ben organizzato nel minimalismo, grazie al disegno luci cangiante di Matteo Pozzobon e Paolo Pollo Rodighiero e alla scenografia funzionale e non didascalica di Alberto Nonnato, sulla quale si stagliano i costumi di Licia Lucchese e le maschere di Stefano Perocco di Meduna.
E poi un lavoro attorale di rigore e fantasia in cui emergono i singoli e straordinari talenti ma sempre a servizio di un obiettivo alto e organico. Uno dei momenti più suggestivi è proprio nei primi minuti: gli interpreti appaiono a mezzo busto in un tenue controluce dietro la parte alta della scenografia, guardano in lontananza intonando una canzone piccolissima fatta di poche sillabe che si ripetono, lentamente la melodia si carica di una sorridente malinconia: “si canti, sempre si canti, di vanagloria, di nuovi amori, vecchi onori”. C’è qualcosa di commovente in quella fila di comici schierati non per difendere una tradizione ma per restituire ad essa un senso contemporaneo di arte popolare – ché forse non era necessario seppellire Arlecchino ma farlo vivere con energia nuova – e lo fanno con uno spettacolo totale, in grado di intrattenere con grazia ed assolvere a quella missione culturale da cui siamo partiti: il ricordo, anzi, il confronto con artisti come Luigi Riccoboni, protagonisti della storia culturale europea, intellettuali scavalcamontagne, geniali poeti dell’effimero.
Andrea Pocosgnich
Arlecchino muto per spavento
Tournée date in calendario tournée
qui tutte le date: https://www.stivalaccioteatro.it/produzioni/arlecchino-muto-per-spavento/
con (in ordine alfabetico)
interpreti / personaggi
Sara Allevi / Violetta
Marie Coutance / Flamminia
Matteo Cremon / Lelio
Anna De Franceschi, Francesca Botti / Stramonia Lanternani
Michele Mori / Mario Lanternani
Stefano Rota / Pantalone de’ Bisognosi, Bargello
Pierdomenico Simone / Trappola
Maria Luisa Zaltron / Silvia
Marco Zoppello / Arlecchino
soggetto originale e regia Marco Zoppello
scenografia Alberto Nonnato
costumi Licia Lucchese
disegno luci Matteo Pozzobon e Paolo Pollo Rodighiero
maschere Stefano Perocco di Meduna
duelli Massimiliano Cutrera
consulenza musicale Ilaria Fantin
trucco e parrucco Carolina Cubria
assistente alla regia Francesca Botti
assistente mascheraia Tullia Dalle Carbonare
costumi realizzati da Francesca Parisi, Sonia Marianni e Caterina Volpato con particolare attenzione al riutilizzo di stoffe e materiali a basso impatto ambientale
scene realizzate nella bottega di Stivalaccio Teatro da Roberto Maria Macchi e Matteo Pozzobon
direttore di scena Roberto Maria Macchi
foto e video Serena Pea | progetto grafico Massimo Penzo – renovatio design
responsabile di produzione e distribuzione Federico Corona | amministrazione Ludovica De Luca organizzazione Andrea Contarin
produzione Stivalaccio Teatro / Teatro Stabile del Veneto / Teatro Stabile di Bolzano / Teatro Stabile di Verona con il sostegno della Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza e della Fondazione Teatro Civico di Schio
si ringraziano Francesca, Bruna e Tamara