Questa recensione fa parte di Cordelia, gennaio 2023
Entra in scena un baldanzoso Giuseppe Burgarella nelle sembianze di Ninetto Davoli, subito pronto a occupare il suo posto al pianoforte. La scena si apre su un paesaggio cedevole e incompleto, fatto di irte pendenze, sedute di fortuna e impalcature arrugginite; un cartellone pubblicitario si delinea come occhio sul mondo. Francesco Saponaro trasforma il palcoscenico in una delle vie polverose di borgata, stracci di città note e terribili in pellicole come Accattone e Mamma Roma. Sul palco, Mauro Gioia e Claudia Gerini riproducono l’esperienza poetica di Pier Paolo Pasolini accettando di assumerne alcune rappresentazioni: il poeta, i borgatari, la prostituta, la madre addolorata, la maschera, Otello, la critica. A muovere gli attori, un impianto da spettacolo musicale costruito attorno alla produzione meno nota di Pasolini, quello delle sue canzoni. Il pastiche di immagini, citazioni e cadenze romanesche restituiscono un’idea confusa di un percorso intellettuale complesso, di una visione problematica rispetto ai tempi e di una vasta produzione di scritti non sempre condivisibili; l’esperienza di una vita intellettuale non può essere compressa in formule più o meno appetibili, non può diventare un prodotto. Che straniamento sentir parlare di consumo, di lotta, di fascismo a un pubblico per lo più anziano di impelliciate e professionisti. I due interpreti non riescono a far altro che dar suono alla voce del poeta, senza che le parole abbiano un senso effettivo; ne escono slogan, frasi a effetto, affermazioni fuori contesto e fuori storia. Mauro Gioia, troppo didascalico e troppo impegnato in vuote declamazioni, non riesce a impersonare il poeta. Claudia Gerini, tra un vorticoso cambio d’abito e l’altro, non riesce a reggere il confronto di una grande interpellata: quel fugace richiamo ad Anna Magnani non è assolutamente un omaggio. La poesia si studia da quella giusta distanza che è anche amore, nel migliore dei casi la poesia si vive; non si sbiglietta. (Valentina V. Mancini)