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Latitudini della performance a Milano. Una mappa della cura

Recensione. Nei mesi di settembre e ottobre, a Milano si sono svolti NAO Performing Festival e Alleanze dei Corpi, festival che focalizzano la propria ricerca sul linguaggio performativo e le arti visive, nei concetti di cura, di sostenibilità e di recupero delle topografie identitarie del corpo.

Soul Space – foto di Marina Alessi
Attraversare Milano da fuorisede è attraversare da esule un organismo pulsante e materico. Lo sforzo del corpo è quello di non farsi assorbire dai bordi delle tensioni periferiche e dalle marginalità disgreganti, ma anche quello di non farsi inghiottire dal vorticoso turbinio del centro urbano. Solo percorrerne le frammentate latitudini sembra richiederci un atto partecipativo e di scambio, per disegnare una trama fatta di legami: tra corpi, tra spazi, tra pratiche collettive e gesti identitari. La cura è il coefficiente umano in grado di mettere in discussione queste topografie dell’abitare e del vivere, e ne rivisita i codici attraverso il linguaggio dei corpi. Nella città lombarda queste riflessioni sono sviluppate da due festival, NAO Performing Festival e Alleanze dei Corpi, che tra settembre e ottobre – con nuovi appuntamenti a dicembre 2022 – hanno arricchito la proposta milanese portando avanti una ricerca trasversale che unisce alla performance e alla sperimentazione della danza l’installazione e le arti visive.
Soul Space – foto di Marina Alessi

Dopo aver costeggiato via Luigi Nono, strada che cinge il fianco del cimitero Monumentale di Milano, si attraversa la strada e ci si lascia alle spalle il complesso architettonico concepito da Carlo Maciachini nel 1864, sontuoso ed eclettico nei suoi richiami all’arte bizantina, gotica e romana, giungendo infine in un ampio spazio urbano che prende il nome dalla sua funzione originaria. La Fabbrica del Vapore, riqualificata negli anni Duemila, era infatti un’industria metalmeccanica di costruzione e riparazione di materiale per le tranvie, poi trasformata in un luogo di incontro culturale gestito dal comune della città. Qui, DiDstudio ha organizzato la XIII edizione del NAO Performing Festival, appuntamento a cura di Claudio Prati e Maria Paola Zedda che integra i linguaggi della performance ai linguaggi digitali, promuovendo nuove generazioni di artisti. È la sperimentazione artistica a innestare i primi fili del discorso: Dance TAZ -Temporary Autonomous Zone è un progetto che rientra nella storia del festival, un momento di ricerca libera che ruota attorno alla piazza della fabbrica e che vede giovani artisti indagare come i movimenti del proprio corpo dialoghino con un ambiente aperto e collettivo. La musica, gli elementi scenici, i gesti fluidi ne plasmano l’attraversamento e l’esperienza performativa si fa immediata, seguendo un ritmo germinale a cui lo spettatore accede nel silenzio ammantato delle prime ore della sera. Nella rarefazione dei gesti, le brevi coreografie conducono un’esplorazione per fasi delle dinamiche dell’equilibrio e della liberazione, lasciando che il pubblico venga colpito dalla materia viva ma evanescente della loro ricerca in fieri.

Non c’è possibilità di sperimentazione senza l’esplorazione della complessità: per questo il festival presenta anche i lavori elaborati di artisti emergenti o affermati che cercano di porre l’attenzione sulle logiche ecosostenibili e sulle relazioni tra umano e non umano, in una prospettiva di decentramento dalle narrazioni egemoniche: nella rassegna, che richiama queste tematiche nello stesso titolo The Garden, troviamo i nomi di Jérôme Bel, di Barbara Berti, Rossella Delvecchio, Francesca Sproccati, Pablo Ezequiel Rizzo, Michele Ifigenia Colturi / Collettivo Tyche, Cosetta Titta Raccagni e Barbara Stimoli. La cura è la matrice identitaria di queste ricerche e assume il senso di un’urgenza intima in Soul Space di Rossella Delvecchio, in cui due performer si trovano ad abitare un limbo, tra l’esterno spoglio di una casa dalle pareti azzurre e il suo interno domestico. Su questo sdoppiamento spaziale e metaforico insiste anche la sintassi del momento performativo: da una parte assistiamo ai movimenti live materici che creano un contatto vibrante con lo spettatore, dall’altra osserviamo una danza preregistrata che viene videoproiettata sul fondo della sala, mostrando come la distanza imposta dal medium si riduca nell’indagine di uno spazio interno, quello dell’inconscio, un soul space per l’appunto.

Divine Cyphere – foto di Daniel Nicoalevsky Mari

La stessa dimensione di cura di uno spazio personale acquista un sospiro antropologico e comunitario nel lavoro di un’artista giovanissima e internazionale: Ana Pi, coreografa e danzatrice brasiliana, è anche ricercatrice nelle declinazioni della danza urbana. Nel suo Divine Cypher il rituale è una tradizione, un gesto anche politico, un ritmo, un cammino di iniziazione all’interno delle pratiche messe in atto da una specifica cultura, quella haitiana; la danzatrice la sviscera e vi si cala con gesti sacrali ipnotici, trasfigurando le sue azioni in un’atmosfera metafisica (dal gr. tà metà tà physiká, oltre), sospesa ed eterea nei costumi luccicanti e nelle luci vaporose, immaginifica nel repertorio di riferimenti accumulati come oggetti feticcio a lato della stanza. L’eredità nel presente di questa memoria, in un’ottica decoloniale, avviene a partire dallo studio dettagliato di Maya Deren, regista che si è occupata negli anni Quaranta di raccogliere un archivio sulle danze haitiane e sui riti della comunità. La persistenza del ricordo e la sua reintepretazione vengono agiti da una danza convulsa, luogo di riemersione delle tradizioni di un popolo e motivo per un gesto politico di cui la performer si fa sensibile interprete. Il progetto, che ha ricevuto una borsa di studio dal MOMA di New York, ha trovato a Milano la collaborazione di un progetto annuale diventato festival, Alleanze dei CorpiWalk the (Red) Line, che nel mese di dicembre prosegue con altri appuntamenti. La rassegna prende le mosse dal noto libro della filosofa Judith Butler L’alleanza dei corpi, edizione Nottetempo, e ne adotta i presupposti: di precarietà dei corpi, della loro apparizione in una dimensione politica e di un legame collettivo che attiva un’economia dello scambio e un’ecologia della cura. Organizzato sempre da Maria Paola Zedda, assieme a Emanuele Braga, il festival utilizza il tessuto urbano, ne interroga gli spazi attraverso delle prospettive intersezionali e li trasforma attraverso un’azione condivisa.

Sei ancora tu – foto ufficio stampa

È quello che accade con Sei ancora tu di Chiara Caterina e Francesco Marilungo, cortometraggio che impone nelle inquadrature con pellicola uno sguardo oggettivizzante sul corpo femminile. Il montaggio connotativo crea un cortocircuito, facendo seguire alle prime sequenze con immagini di architetture decadenti di Motel (allusione di delicata ferocia al sex work), riprese di una performance di tre giovani ragazze e, infine, la visione del mare, luogo dove si possono finalmente liberare dallo statuto che il loro corpo assume da sempre, oggetto di consumo e del desiderio. Il contesto urbano e le relazioni umane che in esso si intersecano sono, invece, il motivo centrale di  Incondizionatamente – vita, reddito, amore, simposio che espande i margini entro i quali era solito svolgersi Alleanze dei Corpi, migrando in territori milanesi più a ovest e solcando geograficamente la Red Line (della metro rossa). Il quartiere che lo ospita, San Siro, è uno spazio multietnico “a due facce”, diviso tra zone residenziali e case popolari. Invece di presentare la performance con professionisti del settore, l’idea di Emanuele Braga, Anna Rispoli e Gabriella Ricci, è quella quindi di far parlare gli abitanti del quartiere attraverso una sovrapposizione di voci che riflette anche una stratificazione dei vissuti. Il dialogo parte proprio da questa riflessione, intrecciando alla questione dell’abitare dei corpi quella delle (im)possibilità economiche in una città come Milano: «Come sarebbe il mondo se tutt* avessero sufficiente denaro per condurre una vita degna? Se tutt* ricevessero un reddito di base universale e incondizionato?». Gli interrogativi rimangono aperti ma riescono fedelmente a restituire l’idea di una città escludente, elitaria che finisce per sopprimere i suoi abitanti; qui, fondamentale è reimparare a porsi in ascolto, per scatenare discussioni, dibattiti in cui i corpi che possediamo non siano solo espedienti politici, ma anche strumenti di rivendicazione di diritti, di riappropriazione identitaria, veri abitanti degli spazi pubblici, soggetti di cura e di apertura al bene comune.

Andrea Gardenghi

NAO Performing Festival e Alleanze dei Corpi – settembre, ottobre, dicembre 2022

Dance TAZ -Temporary Autonomous Zone

Soul Space di Rossella Delvecchio

Divine Cypher di Ana Pi

Sei ancora tu di Chiara Caterina e Francesco Marilungo

Incondizionatamente – vita, reddito, amore di Emanuele Braga, Anna Rispoli e Gabriella Ricci

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Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi, nata in Veneto nel 1999, è laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Conservazione e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali. Prosegue i suoi studi a Milano specializzandosi al biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali dell’Accademia di Brera. Dopo aver seguito nel 2020 il corso di giornalismo culturale tenuto dalla Giulio Perrone Editore, inizia il suo percorso nella critica teatrale. Collabora con la rivista online Teatro e Critica da gennaio 2021.

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