A Mantova si è tenuta la XVII edizione di Segni New Generations Festival. Il teatro per tutta la famiglia è il luogo per le narrazioni complesse sulla realtà. Negli incontri degli Spuntini Critici, tenuti dai ragazzi di T.E.E.N., si discute di sistemi narrativi per il teatro e ideologie.
Capita, alle volte, di lasciarsi coinvolgere dalle emozioni di chi ci è seduto accanto. Succede, alle volte, che le sue opinioni ci entrino in bocca e diventino nostre. Accade, alle volte, di essere estremamente fiduciosi del giudizio altrui. A Mantova, lo spettatore adulto si ritrova ridimensionato nelle sue conoscenze e siede come i suoi piccoli accompagnatori. Piccoli, di variabili misure. Da diciassette anni Mantova, con il festival Segni d’Infanzia, si misura con gli occhi dei giovanissimi. Per l’occhio adulto non deve essere questo un momento di riposo, di gioiosa incoscienza; deve essere allenato a ricominciare a guardare daccapo. Ci si riferisce alla sospensione dell’incredulità come attitudine della comprensione, una categoria di lettura che non va assunta solo nei confronti della rappresentazione ma anche del reale. Vuol dire accettare come vera qualunque cosa venga proposta, non come atto passivo bensì come propensione all’ascolto. Quando tutto diventa vero perché non è compromesso dalle proprie convinzioni, diventa maggiormente intelligibile. Il reale trascende l’individualità, e ha così tante interpretazioni, molte più di quante le nostre singole categorie possano cogliere. Le riflessioni, i dubbi e le domande che ne conseguono sono l’espressione ultima di quell’alto grado di comprensione.
Durante il festival, le giornate di spettacoli e laboratori si sono concluse con incontri di riflessione, gli Spuntini Critici, tenuti dai ragazzi e dalle ragazze del progetto europeo T.E.E.N che sostiene pratiche di partecipazione giovanile alle proposte culturali del teatro. I ragazzi vengono stimolati a dire “sì, però…” o “non sarebbe meglio…?” col piglio critico di chi dovrebbe ancora prendere tutto per vero. Riparati sotto la Loggia del Grano tanti “sì, però…” si solo sollevati per un confronto generazionale tra l’idea e la funzione, il reale e la rappresentazione, (curiosamente) l’ideologia e la rappresentazione. Seguire gli occhi degli adolescenti, che nel teatro, come in qualunque aspetto della loro vita, cercano di ritrovare sé stessi, è stato complesso: bisognava sedere con loro non essendo ormai più loro, e pronunciare le loro aspettative. Vere. Paradossalmente (ma forse nemmeno così tanto) il teatro per i piccolissimi, con le immagini dal segno evidente e tese a comunicare all’intelligenza emotiva dello spettatore, è stato quello su cui hanno potuto attuare una lettura strutturata su di loro. Le Nid di Consuelo Ghiretti e Francesca Grisenti è la storia di due personalità distanti che riescono a imparare a convivere e a volersi bene; tra loro, un uovo cresce a dismisura fino alla schiusa influendo sulla loro relazione che diventa un dono reciproco di pazienza e accoglimento. Il grosso e peloso draghetto che ne verrà fuori è l’inconsueto ma grazioso risultato di una felice unione, di una felice crescita personale. “Noi abbiamo letto lo spettacolo come se fosse il racconto di una coppia omosessuale”, i ragazzi lo dicono sicuri e contenti. Se la loro affermazione è vera, sarebbe possibile? Potrebbe, e aspettiamo la risposta delle artiste: “Non abbiamo pensato a un rapporto amoroso di quel tipo, piuttosto a una semplice relazione tra due individui molto diversi tra loro. Per puro caso si tratta di due donne”. Ma la verità dei ragazzi resta, e la portano dentro.
La discussione si intrica nel momento in cui ci si interfaccia alla complessità dello strumento dell’evocazione, nel teatro per i più grandi. Ne La Nave dolce di Daniela Nicosia gli eventi storici passano per la sola bocca di Massimiliano Di Corato, assumendo di volta in volta le caratteristiche peculiari del parlato di ogni personaggio: l’italiano si complica tra il dialetto pugliese e la cadenza slava del rifugiato albanese. “Ecco, trovo estremamente offensivo che vengano riproposti questi stereotipi”, fanno i ragazzi. Possibile? Sì. “E se vi dicessimo che sono gli strumenti propri della rappresentazione? L’evocazione, veicolata dall’immedesimazione, è funzionale a una comprensione estesa del messaggio”, rispondono gli adulti, presi in contropiede. “Non è necessaria l’evocazione, basta la realtà. Potevano interpellare un attore albanese che parlasse per sé” rispondono subito. Possibile? Accidenti, sì. “Ma questo è il linguaggio del teatro. Ogni medium ha il suo, e non è mai oggettivo. Anche un approccio più documentaristico ha un taglio che esula dall’oggettività”. “Sì, però è possibile evitare lo stereotipo. Il linguaggio del teatro deve cambiare”. Possibile? Eh, sì. Impasse. L’enorme difficoltà nel trovare una quadra (che molto probabilmente non si troverà, perché non è possibile che esista una sola ideologica interpretazione del reale) è nell’equilibrio piuttosto instabile tra quello che è evidente e spesso unilaterale, e quella che è la componente più problematica della rappresentazione: il relativismo dell’azione.
Due casi ad hoc, sempre nel festival, sempre per i più grandi: Humana vergogna di Silvia Gribaudi e Matteo Maffesanti, e Gli Altri. Indagine sui nuovissimi mostri di Nicola Borghesi e Riccardo Tabilio. Da una parte la chiarezza dirompente e giusta dei corpi seminudi in libertà nello spazio, portavoce di istanze universali di amor proprio e autocelebrazione; un profluvio di racconti personali e provocazioni, uno sfogo gioioso sulla bellezza di essere “sbagliati”. Sicuramente accattivante e in linea con le narrazioni identitarie. Ma forse troppo semplice, troppo evidente, troppo egoriferito, e in realtà poco partecipativo perché chi ascolta non può far altro che accettare ciò che gli viene detto, forse troppo pacifico. Ma è possibile? Certamente, sì. Gli Altri, invece, segue la maniera del racconto sociale, una stratificazione complessa di fattori individuali e storici per narrare la crudeltà del linguaggio dei social. L’uno non è composto solo da sé stesso, ma anche dal contesto in cui vive, dai rapporti che formano la sua consapevolezza civile. Un’affermazione violenta e sessista può essere il prodotto di un malessere endemico di classe. Il male di questo mondo può riferirsi alle disparità di classe; il mondo è disparità di classe, e chi ne paga il prezzo sono le debolezze. Fastidioso, difficile, realistico. Possibile? Decisamente, sì. Tutto lo è, e i ragazzi lo sanno già.
Valentina V. Mancini
Mantova- ottobre2022
LE NID
Produzione Accademia Perduta/Romagna Teatri
Compagnia Progetto g.g.
Di e con Consuelo Ghiretti, Francesca Grisenti, Donatello Galloni
Voce Alberto Branca
Pupazzi Ilaria Comisso
LA NAVE DOLCE
Produzione Tib Teatro
Testo e regia Daniela Nicosia
Con Massimiliano Di Corato
GLI ALTI. INDAGINE SUI NUOVISSIMI MOSTRI
Produzione Kepler-452
Di e con Nicola Borghesi
Drammaturgia Riccardo Tabilio
Realizzato con il contributo di ERT/Teatro Nazionale
Con il patrocinio di Amesty International
HUMANA VERGOGNA
Produzione Compagnia Teatrale Petra
Co-produzione Associazione Zebra
Di Silvia Gribaudi e Matteo MAffesanti
Con Antonella Iallorenzi, Ema Tashiro, Mariagrazia Nacci, Mattia Giordano, Simona Spirovska