Recensione. Al debutto nazionale Gli Anni di Marco D’Agostin, con il corpo e la vita di Marta Ciappina. Ispirato al romanzo omonimo di Annie Ernaux e l’omonima canzone degli 883. All’Arena del Sole di Bologna per VIE Festival.
In questo spettacolo c’è un problema di crediti: non si sa come inserirli, si va avanti a scrivere ma poi interviene qualcosa a cancellare e ricominciare; Gli Anni è uno spettacolo con cui Marco D’Agostin ha debuttato all’Arena del Sole di Bologna per Vie Festival, fin qui nulla di strano, ma Gli Anni è contemporaneamente uno spettacolo sulla protagonista, la danzatrice Marta Ciappina, senza la quale proprio lo spettacolo non sarebbe. E dunque: è lei stessa autrice? La sua biografia, che passa per un autore, è un materiale di ispirazione o l’intero corpo della messa in scena? Muove da questo assunto, probabilmente, da questo nodo irrisolto, la ricerca con cui D’Agostin ha accettato di indagare la realtà, quando essa si definisce attraverso una memoria mediata dalla psiche, certo, ma anche quella più immediata, tattile, talvolta scomposta nella contraddizione. Sullo sfondo, neanche troppo in trasparenza, due opere di riferimento dichiarate già in esergo allo spettacolo, con cui esso condivide il titolo: un romanzo della scrittrice Premio Nobel 2022 Annie Ernaux (edito in Italia da L’Orma, 2015), una canzone degli anni Novanta firmata dagli 883.
Lo spettacolo si apre e chiude formalmente come un romanzo – quel romanzo a cui si associa per l’indagine memoriale – ma all’interno vi sono le più famose canzoni pop e rock dei decenni scorsi che si susseguono a fortificare di elementi condivisi alcuni nuclei biografici appartenenti alla danzatrice o – in certi punti se ne ha il dubbio – all’autore. La danzatrice entra in scena con uno zaino sulle spalle, conta i limoni comprati al mercato a voce alta, è un gioco di bambina in cui non doversi inceppare, altrimenti si torna da capo; in sottofondo si avverte come i brani musicali vengano fuori da un suono disturbato di audiocassetta (firmato LSKA), mescolato di voci della strada, chiacchiere, dialoghi di film. Tutto si articola come un grande zapping sotterraneo, isterico, fluttuante: ma è poi tanto diverso l’emergere dei nostri ricordi dalla palude di memoria in cui sono immersi? Questa frammentarietà, che da un lato difetta la comprensione per deliberata scelta di “non essere”, davvero, un romanzo o una canzone ma una coreografia con tratti di testo, è così il velo protettivo in cui far accadere nello stesso spazio, talvolta mescolati, il comico e il tragico.
Dichiara lo stesso D’Agostin, artista divenuto presto solido e maturo come già si annotava in First Love e BEST REGARDS, come questo lavoro sia il “tentativo di sottrarre all’oblio quante più immagini possibili”; questa intenzione affiora limpida nel contrasto coreografico con cui Marta Ciappina, danzatrice di livello assoluto e con un tratto di interpretazione tra i più originali della danza italiana, tradisce l’ineccepibile virtuosismo tecnico con una composizione ironica, marcatamente goffa, ossia con l’atteggiamento che presiede alla nostra relazione con i ricordi, con i racconti della nostra piccola epica, del nostro personale eroismo smaterializzato dalla derisione autoinflitta per imbarazzo. L’oblio in cui le immagini sono riposte è la memoria recondita che si evoca con difficoltà, con il disagio dello svelamento attraverso cui ammettere la scomodità irrequieta del vero.
“Solo l’indispensabile”, dirà la ‘danzattrice’ che cerca di capire dove siano finiti gli anni, dispersi lungo un tempo che non fa, non concede, pause; infanzia e adolescenza si fanno allora veicolo di una biografia collettiva, in cui permettere riconoscibilità a ogni spettatore, con il quale scambiare battute, intermezzi, e così il peso oscillante, impossibile della memoria. Ma chi decide, dunque, cosa e quanto sia l’indispensabile di una vita? L’audio disturbato di un supporto che via via cede al tempo somiglia molto al suono che si avverte nella testa, pian piano che il tempo scorre e non lascia in noi che tracce dimesse, canzoni smozzicate di cui appena rammentiamo la melodia; procede il conto dei limoni, attraversa le epoche di una vita fin da quella prima volta in video – Marta bambina – tra i sorrisi di una festa di famiglia, eppure quel conto prima o poi conclude, si blocca e inizia a fare il percorso inverso, come a dire che le immagini, sottratte all’oblio, come i limoni hanno sequenza ben precisa, della memoria fanno parte e ad essa devono tornare, emergono fino a trovare un limite oltre il quale, di nuovo, si perderanno ancora in noi, che siamo oblio.
Simone Nebbia
Arena del Sole, Bologna. VIE Festival – Ottobre 2022
GLI ANNI
di Marco D’Agostin
con Marta Ciappina
suono LSKA
luci Paolo Tizianel
conversazioni Lisa Ferlazzo Natoli, Paolo Ruffini, Claudio Cirri
costume Lucia Gallone
costruzione elementi scenici Piccolo Teatro di Milano- Teatro d’Europa
promozione, cura Damien Modolo
organizzazione Eleonora Cavallo
amministrazione Federica Giuliano
produzione VAN
coproduzione Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni e Fondazione CR Firenze, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Festival Aperto – Fondazione I Teatri, Tanzhaus nrw Düsseldorf, Snaporazverein,
sostegni L’arboreto – Teatro Dimora, La Corte Ospitale Centro di Residenza Emilia-Romagna, CSC/OperaEstate Festival Veneto
con il supporto di Istituto Italiano di Cultura di Colonia/MiC-Direzione Generale Spettacolo e Tanzhaus nrw Düsseldorf, nell’ambito di NID international residencies programme