Questa recensione fa parte di Cordelia, ottobre 2022
Sarà stato un sogno in cui si piomba mentre tutto è già iniziato: le pareti hanno dimensioni spropositate e si muovono a piacimento, senza mai incastrarsi perfettamente, liberando o occludendo; le anime che abitano questo luogo cangiante cambiano anch’esse, persone con i nomi reali, manager stressati e tecnici burberi, e poi dandy, donne in nero, mostri dorati, dame ottocentesche in attesa di vivere, nascosti o appena scovati dentro una scrivania, futuri artisti che attendono di essere provinati e cantanti consumati in abiti sgargianti. Room è lo spazio dell’immaginario dell’architetto-regista-sognatore James Thierrée, che lui stesso dall’interno vive e governa (anche tecnicamente, guardate i crediti) pianificando alla sua scrivania, volteggiando in aria, cadendo, guidando e divertendosi molto. Artista inclassificabile dentro un unico codice – danza, circo, musical, dramma… – ma che anzi, coerentemente spinge a squadernare spazi e mezzi per il fine ultimo del generare meraviglie. Il palco del Teatro Argentina ospita per Romaeuropa quest’ultima creazione che trova i pubblici delle serate estasiati, anche in quelle fasi centrali in cui il gioco circense diventa un po’ esercizio fine a se stesso. Ma forse è quel senso di libertà che può prendersi un artista che ha da sempre (anche in famiglia, vista la discendenza chapliniana) vissuto nel mondo onnisciente e spaventoso e fantastico del teatro. Un luogo in cui ci si può permettere di rallentare e velocizzare il tutto, trasformare una sala decadente in un musical agée, vivere mille vite, sbagliare anche, e riprendere di nuovo in una giostra senza fine. (Viviana Raciti)
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