Per il secondo anno consecutivo torniamo dal Kunstfest di Weimar con una riflessione sul pubblico e sulla sua partecipazione alle questioni sociali più urgenti relative al clima e alla geopolitica
Percorrendo in macchina la A4 che da Weimar conduce a Friedrichroda, borgo appartenente al Land della Turingia – tra le pianure boschive che si estendono ai lati della strada rialzandosi poi in colline sulle quali troneggiano i ruderi dei vecchi castelli delle dinastie del regno – vediamo ergersi sulla sinistra di uno svincolo un cartello completamente ricoperto coi colori della bandiera ucraina. Gli stessi colori che ritroveremo in due appuntamenti nella centrale Theaterplatz di Weimar, sotto il monumento in bronzo a Goethe e Schiller che si trova davanti al Teatro di Corte, ora Deutsches Nationaltheater, che all’epoca fu diretto da Goethe stesso e che ha ospitato le prime e numerose rappresentazioni delle opere di Schiller. Weimar è una cittadina a dimensione d’uomo, accogliente, pulita e borghese, dalle aiuole ordinate e dai locali che chiudono prima di mezzanotte, di primo acchito e in pochi giorni di permanenza, ci restituisce subito l’impressione di una partecipazione comunitaria attiva rispetto alle questioni politiche e, lo vedremo, anche artistiche. Semmai queste ultime siano separate dalle prime.
È il secondo anno che siamo ospiti del Kunstfest Weimar, una rassegna storica di importanza internazionale che si svolge dal 1990 nel centro della Germania richiamando nella culla della tradizione letteraria, teatrale e filosofica tedesca artisti, operatori e spettatori da tutto il mondo. Dal 24 agosto al 10 settembre il cartellone è stato caratterizzato da circa 150 eventi disseminati tanto nel centro di Weimar che nelle frazioni limitrofe. Rispettando la multidisciplinarietà del Kunstfest, letteralmente festival d’arte intesa in tutte le sue forme, gli appuntamenti sono divisi in sezioni riguardanti l’arte, appunto, la danza, la performance, il teatro musicale, il teatro, i concerti, i talk e il cinema. Un lavoro sul territorio e con le persone, quello della direzione artistica di Rolf C. Hemke, che va avanti tutto l’anno in equilibrio tra la dimensione locale della cittadina e quella internazionale. Lo dimostra un’iniziativa aggiuntiva alla programmazione chiamata Meet the festival director che permette di prenotare un appuntamento con il direttore Rolf C. Hemke, il quale andrà in visita a casa dell’interessato/a o in un altro luogo concordato insieme a spiegare di persona l’edizione del festival: come è stata strutturata, la curatela, la scelta degli spettacoli e i loro temi. Sehnsucht nach morgen, nostalgia del domani, è il filo conduttore di quest’anno, una tensione che significa costruzione presente del futuro, mantenendo un legame con il tempo attuale per poterne modificare le storture e proiettarle verso una prospettiva migliore. Una nostalgia che implica quindi responsabilità e impegno da parte delle persone e delle istituzioni. Nelle note esplicative del catalogo si legge «Come possiamo rendere giustizia al significato di tematiche di grande attualità e continuare a offrire intrattenimento? Come possiamo risvegliare nelle persone il desiderio di uscire di casa, di andare a teatro, non solo per distrarsi dal mondo esterno ma per coinvolgerle? Per incontrarsi, scambiare idee e guardare con speranza al futuro?», interrogativi e pensieri tesi verso il domani che si pone la direzione artistica di Rolf C. Hemke e della responsabile di produzione, Marlies Kink.
La nostalgia romantica del passato ci accoglie il giorno del nostro arrivo, quando alla Redoute assistiamo alla visione di Phantom, film muto del 1922 diretto da Friedrich Wilhelm Murnau e considerato da critici e dagli esperti di cinema come un classico internazionale, nonché una delle prime versioni cinematografiche delle opere del romanziere e drammaturgo Gerhart Hauptmann. Nella sala da concerto del teatro, l’orchestra Staatskapelle Weimar diretta dal compositore e pianista americano Robert Israel ci guida nelle ambientazioni a tratti distorte e allucinatorie di Murnau, nella sua scrittura espressionista all’avanguardia che, attraverso sovrimpressioni, dissolvenze, primi piani, viraggi della pellicola, riusciva a restituire l’esasperazione della percezione soggettiva della realtà. Il pubblico è composto, attento, osservatore della scena e di ciò che succede intorno. Nello spettacolo successivo incontriamo le stesse persone, non solo operatori e operatrici, ma anche spettatori e spettatrici del festival che seguono gli eventi da un luogo all’altro. La disseminazione degli spettacoli nei vari luoghi della città è un altro tratto distintivo della direzione; ciascuna location è decisa congiuntamente con le istituzioni e basata su una scelta che rispetta, e interroga rivelandola, la natura stessa della performance.
Welcome to paradise lost diretto da Andrea Moses e Jörne Arnecke su libretto di Falk Richter è una composita produzione di teatro musicale ispirata alla Conferenza degli uccelli di Farid ud-Din Attar. Nella vecchia centrale elettrica e-werk, il pubblico si muove all’interno degli scenografici ex locali macchine e caldaia, lì, assisi sulle poltrone, sgabelli, chaise longue, divani di un salotto allestito, veniamo a contatto con il gruppo di ragazzi e ragazze, 14 in totale, che rappresentano lo stormo degli uccelli, i quali simbolicamente planano nella sala mentre suona l’orchestra diretta da Andreas Wolf. Nonostante intravediamo nella scrittura una discendenza dall’opera musicale brechtiana, tanto nell’utilizzo delle canzoni, quanto nel loro impianto didattico, questo lavoro collettivo che riunisce un ingente numero di interpreti, musicisti e maestranze, tra costumisti, scenografi e tecnici, sembra soffrire la retorica del dibattito intorno al climate change, non aggiungendo un’argomentazione ulteriore al ragionamento politico e civile e rischiando, inoltre, di presentare la caricatura dei movimenti Fridays for Future. Una drammaturgia poco agile, mancante di organicità nella relazione degli/delle interpreti con l’inserimento di alcuni frammenti video e nella successione dei quadri legati insieme dal refrain «A cosa siamo disposti a rinunciare?». Gli uccelli, rappresentanti le nuove generazioni, denunciano l’inerzia menefreghista dei governi e degli adulti, ma lo fanno con ridondanza esponendo tematiche urgenti come fossero vuoti slogan. Mentre una donna con mantello, bastone e occhiali neri predice le inevitabili sventure che verranno: Tiresia è davanti Greta Thunberg e cantano insieme per scongiurare il collasso ambientale.
Più coinvolgente, non solo per la forma scelta ma anche per la trasposizione in chiave finzionale dell’emergenza climatica affrontata in questo caso con maggiore sensibilità e lirismo, è Animate, performance in realtà aumentata diretta da Chris Salter, coprodotta anche dal Campania Teatro Festival e presentata al Kunstfest in prima mondiale. Nei suggestivi e immensi spazi industriali di KET-Halle, diventiamo testimoni della storia di Daniel e Laurie (empatici e rigorosi gli interpreti Judith Rosmair e Steve Karier); come loro siamo viaggiatori nelle terre desolate e postapocalittiche di Terranova e, grazie alla tecnologia avveniristica della realtà aumentata senza gli effetti disturbanti della cybersickness, riusciamo a vivere un’esperienza multisensoriale che unisce il mondo fisico a quello virtuale.
Nonostante la mancanza di pubblico giovane sia un aspetto rilevante osservato in questi pochi giorni di permanenza, non possiamo non notare, invece, come accennato precedentemente, la partecipazione del pubblico senior. In particolar modo per il monologo Der Tribun, Il Tribuno, di Mauricio Kagel interpretato da Dominique Horwitz, in cui ci si sofferma sulle tecniche manipolatorie del linguaggio politico, tanto di destra che di sinistra, che se da un lato sembra conferire potere al popolo dall’altro lo soggioga nel controllo demagogico. Il focus si concentra proprio sulla costruzione oratoria, sul lessico, l’accentazione accurata delle parole e la gestualità annessa. Indubbiamente avvezzi a questo tipo di teatro politico, basti pensare al recente La mia battaglia di Elio Germano e Chiara Lagani, a suscitare il nostro interesse, svilito purtroppo dalla mancanza della traduzione dal tedesco, è il dibattito che nasce alla fine dello spettacolo nel bosco di Friedrichroda, una domenica mattina. Quasi tutti gli spettatori e spettatrici intervengono con una domanda e/o una riflessione nel pieno rispetto del ciclo di incontri dal titolo Dirty Talking – Thuringian Temptations di cui fa parte questo spettacolo portato in tournée in luoghi familiari e insoliti di tutta la Turingia.
Un pubblico consapevole anche nel dissenso dimostrato nei primi venti minuti di Terebrante di Angélica Liddell, presentato in prima nazionale. Un incubo lucidissimo a occhi aperti, viscerale, sanguigno, in cui si amplifica struggente il suono dello zapateado del flamenco, a rivendicare una resistenza gitana in una dimensione ancestrale e mistica in cui la performer si immerge come fosse un rito battesimale, bagnato però di vino, birra e gin. Non riusciamo a distogliere lo sguardo dalla scena, la visione ci incatena a qualcosa che sentiamo incredibilmente familiare, intimo, tanto da terrorizzarci. A causa della crudezza di un video proiettato, circa una decina di persone si sono alzate scegliendo di abbandonare la sala e rifiutandosi di continuare ad assistere allo spettacolo. Tra questi abbiamo riconosciuto i volti di persone che già avevano seguito gli appuntamenti precedenti, mentre alcuni e alcune di loro sono rimasti/e fino alla fine applaudendo a lungo l’artista spagnola. Tanto nel rifiuto che nell’accettazione dell’offerta culturale, l’incontro tra la direzione del Kunstfest e la comunità di persone è vitale e virtuoso. E se dopo due anni di pandemia il festival è tornato finalmente ad accogliere artisti provenienti non solo dall’Europa ma anche da Israele, India, Canada, Uruguay e Sud Africa, oggi deve fare i conti con la circostanza dell’invasione russa in Ucraina, «in the shadow of war» come riportato nella lettera rivolta al pubblico. Una condizione politica di vicinanza che determina inevitabilmente una maggiore predisposizione della collettività alla riflessione e all’attivism. La volontà di prendere parte alla crisi attuale per poter ripensare un domani diverso, per e grazie all’arte.
Lucia Medri
Kunstfest, Weimar – settembre 2022