Intervista a Maurizio Lupinelli e a Elisa Pol, dopo la visione di Chi la fa l’aspetti, primo studio su Pinocchio del Laboratorio Permanente di Rosignano Marittimo.
A Rosignano Marittimo, nella parte alta del paese, dietro la foresteria di Armunia in cui vivono gli artisti ospiti di Inequilibrio, c’è un dislivello: è una salita se sei uno degli spettatori che devono guardare verso l’alto oppure è una discesa se sei uno degli attori. Maurizio Lupinelli ed Elisa Pol aprono qui il loro Chi la fa l’aspetti, primo studio su Pinocchio con l’ormai storico laboratorio/compagnia animato da attici e attori con disabilità psichiche e fisiche. Spettatori su tre lati, negli ultimi giorni della venticinquesima edizione di Inequibrio Festival, ci troviamo di fronte a frammenti di un racconto fiabesco ancora da comporre, in cui già spunta qualche epifania. C’è una barca con Maurizio Lupinelli in scena, ci sono dei giudici (poi capiremo che sono alcuni dei genitori dei partecipanti), c’è Elisa Pol che su una panca sembra una sorta di allenatrice pronta a fare entrare in scena un nuovo attore, ci sono fatine e bare minuscole. Il giorno dopo, in una delle stanze della foresteria, ci ritagliamo il tempo per entrare nel processo e nella storia di questo lavoro quasi decennale che dalla fiaba di Collodi riparte per un nuovo viaggio.
Torniamo alle origini: come è nato questo Laboratorio Permanente per attori e attrici diversamente abili?
Elisa Pol: Lavoriamo con una cooperativa sociale…il progetto è nato tra il 2006 e 2007, Massimo Paganelli vide uno studio del Marat Sade fatto a Lerici da Maurizio e chiese se fosse possibile portarlo anche a Castiglioncello mescolando le due esperienze. Paganelli, dunque , aprì un contatto con la cooperativa sociale Nuovo Futuro di Rosignano Marittimo, dalla quale vengono tutti i partecipanti che erano in scena ieri. Nel 2007 quel Marat Sade vide in scena più di 50 persone, attori disabili, professionisti, ragazzi della Non Scuola delle Albe, dal territorio spezzino e da Rosignano. Fu un grande evento, unico, molto coinvolgente, con tanta umanità in scena. Quel frangente segnò l’inizio della nostra esperienza qui, perché da quel momento abbiamo cominciato a lavorare, tutti i mesi, con un laboratorio di una settimana, per tutto l’anno. Lavoro che coinvolge 20 partecipanti, con diverse disabilità, sia psichiche che fisiche della cooperativa Nuovo Futuro. L’ultimo progetto, dal 2014 in poi è stato su Beckett, un lungo percorso, con diverse fasi di aperture al pubblico fino a quella finale, Sinfonia beckettiana che ha debuttato a Ravenna Festival, con 5 attori diversamente abili.
Gli utenti/partecipanti ai laboratori sono sempre gli stessi. Immagino che con il passare degli anni se ne aggiungano di nuovi…
Maurizio Lupinelli: ora stiamo lavorando con inserimenti nuovi, non solo provenienti dalla cooperativa Nuovo Futuro, il progetto ormai ha avuto una visibilità tale da far arrivare richieste anche da fuori; questo è un territorio difficile con un grande numero di disabili in proporzione alla popolazione. Massimo Paganelli, che è un uomo di teatro un po’ atipico (anche dirigente della regione) ha avuto la volontà di aprire il progetto e ha capito che questi percorsi avevano bisogno di un tempo lungo. Negli anni anche il nostro lavoro si è modificato: all’inizio agivo come artista che voleva avere una propria visione estetica anche su di loro (sui partecipanti ndr), fino al 2012, fino a Che cosa sono le nuvole, poi ho iniziato a chiedermi “perché lo faccio?”, in qualche modo era teatro di regia. Mi sono detto: devo fare davvero qualcosa per loro.
In cosa è cambiato il tuo approccio e dunque il tuo fare teatro?
M: Mi sono reso conto che avevo bisogno di fare un passo indietro. Ero andato in crisi, stavo per mollare tutto, non mi interessava quella modalità che mette l’artista al centro: vedevo che a loro non rimaneva niente. Ho cominciato a chiedermi: c’è un modo per renderli autonomi? Per renderli coscienti di quello che fanno? Anche solo minimamente? Allora abbiamo azzerato tutto e abbiamo ripreso a fare laboratori, solo laboratori, anche solo per confrontarci, per essere in ascolto, io verso di loro e loro verso di me; alcuni dei partecipanti non sanno leggere dunque dovevamo trovare un modo per raccontare loro delle storie. Potevamo passare delle ore solo a parlare, a chiederci cosa fosse uno spazio vuoto, mettendo poi in relazione tutto con Beckett…
E: Ti racconto l’aneddoto che ha fatto accendere questo lumino del cambio direzione. Stavamo facendo le prove di Che cosa sono le nuvole e ci siamo trovati in un incarto registico, non riuscivamo a trovare la soluzione per passare alla scena successiva. Anche all’epoca Maurizio condivideva le difficoltà, dunque fermava tutto e cercava di capire. Un’attrice disse: “Lupo, ti posso fare una proposta”, fece un’improvvisazione che piacque, funzionava e ci permise di uscire dal cul de sac. Allora è lì che abbiamo capito di poter puntare sull’autorialità dei partecipanti (e non sulla regia), dovevamo dunque sviluppare degli strumenti per improvvisare, essere liberi e trovare soluzioni in scena e qui è la ricchezza, anche perché sono loro i motori di tutto il meccanismo. E infatti il lavoro su Beckett era incentrato tutto su questo concetto: l’obiettivo era quello di riscrivere Beckett con delle battute emerse da questo processo, delle battute che andassero bene per loro e che in Beckett avessero una radice.
M: È un processo lunghissimo, in quel caso è durato 4 anni. Su questo Pinocchio lavoreremo minimo altri tre anni. La necessità è quella di farsi da parte e rimanere in ascolto, e poi si organizza quello che viene fuori. Ti faccio l’esempio della scena di ieri della barca, non tutto ha funzionato, ma ci sono state delle cose, delle battute giuste, e dei tempi, di cui sono contento.
Il tuo ruolo ieri era quello di una sorta di allenatore in scena, un punto fermo al quale loro possono aggrapparsi…
M: Il nostro è un cantiere, tutto può cambiare, non è detto che nelle prossime fasi del lavoro io avrò ancora quel ruolo, si potrà anche esaurire.
Parliamo di un lavoro al servizio delle vite di queste persone: negli anni che tipo di sviluppo avete visto nei loro percorsi? Ovvero, in che modo hanno giovato dell’attività teatrale?
Una delle attrici, Federica, quando iniziò, nel Marat, era assolutamente marginale nella coralità, ora ha fatto grandi progressi: un lavoro importante sulla voce, è arrivata anche ad essere in scena con noi in uno spettacolo, Le presidentesse, da Schwab. Nel tempo avevamo visto che ha acquisito una capacità di stare in scena, di gestire l’imprevisto e da quando fa teatro si esprime molto meglio. Poi purtroppo, con il blocco dato dal Covid, molti di loro hanno fatto dei passi indietro. Ora hanno bisogno di riprendere. Cesare non parlava prima, ora si è aperto, il teatro lo ha salvato. Ci sono state anche persone che ci hanno sorpreso: Roberto, durante i primi 7,8 anni, non entrava neanche nella stanza, stava fermo davanti alla macchinetta del caffè, non partecipava e ora invece è con noi nello spettacolo. È stato determinante aprire l’esperienza formativa ad altri artisti e studiosi (hanno partecipato Paola Bianchi, Roberto Latini, Simone Zambelli…), questo è stato un valore aggiunto, farli confrontare con altri è una ricchezza ulteriore, una possibilità di trasmissione altra.
Come avete spiegato, è un percorso lungo e difficile, ora in Italia ci sono anche corsi e master dedicati ai vari approcci di teatro sociale e alla teatro terapia, ma voi come vi siete formati?
M: È la pratica che ci ha formato, gli stessi ragazzi… L’unico modo è stato quello di fare un percorso insieme a loro, senza sapere mai dove saremmo potuti arrivare.
E: Poi bisogna dire che è sempre stato un lavoro mediato dalla presenza degli operatori socio-sanitari, il laboratorio era all’interno degli orari della cooperativa, sin da subito c’è stato un dialogo e una grande collaborazione con loro, rispetto alle reazioni, alle crisi… ci hanno molto aiutato. Da due anni, invece, stiamo realizzando il laboratorio fuori dall’orario perché la Asl ancora non ha autorizzato gli esterni ad entrare in cooperativa (per le normativa anti Covid ndr) e infatti in questo caso sono intervenuti i genitori, che come avete visto sono andati anche in scena. Sono i genitori a portare i ragazzi al laboratorio, prima era una delle attività della cooperativa.
M: Per noi questo è stato un aspetto importante: per anni i genitori venivano a vedere solo lo spettacolo, il prodotto finito, ora partecipando hanno capito l’importanza del lavoro che facciamo. E questo esperimento di mescolare il lavoro con i genitori vorrei portarlo avanti, per capire quali possibilità potrà avere. Pensa che rovesciamento può determinarsi nel momento in cui uno dei genitori impersona uno dei giudici e nella vita reale è anche il padre di Pinocchio (che appunto subisce in scena una sorta di processo ndr), è un valore aggiunto; senza però che diventi un discorso sociale. Il nostro è un artigianato che parte da loro senza una verità artistica già pronta.
E: Così si può consegnare qualcosa ai partecipanti, fornire degli strumenti, non solo teatrali, ma anche qualcosa che possa aiutarli a migliorare la loro vita.
In questo senso: che ruolo ha la creazione finale rispetto al percorso? Mi sembra sempre che nelle esperienze come la vostra i processi siano più importanti del prodotto artistico finale, ma è complicato aprirli all’esterno.
M: È proprio quello che stiamo cercando di fare: per questo facciamo attraversare il laboratorio anche da intellettuali e studiosi. Cerchiamo di comporre una memoria (si veda anche Memorandum, il progetto di ricerca e racconto di Nerval Teatro, ndr). Per questo mi interessa arrivare a mostrare un lavoro dove sia visibile il percorso fatto, la consapevolezza acquisita dai ragazzi e che sia anche un lavoro però con una sua bellezza.
E: Questa domanda ce la siamo fatta diverse volte… per questo ci siamo chiesti come aprire al territorio il percorso: ecco la collaborazione con gli artisti in residenza ad Armunia. Facendo venire Simone Zambelli ci siamo accorti delle potenzialità di Francesco Mastrocinque e da lì è nato il progetto di Doppelgänger con Abbondanza Bertoni.
M: La diversità deve diventare anche un’esperienza lavorativa, è una cosa che all’estero già accade di più, ma lentamente è un’idea che si fa spazio anche da noi, per fare rete e creare sinergie.
Forse questo lavoro così denso, complesso e duraturo negli anni è anche uno degli antidoti alle problematiche etiche sempre presenti nel lavoro artistico che coinvolge persone diversamente abili?
E: Sì… c’è sempre un rischio, ma l’intenzione è quella di includere. Secondo noi queste persone hanno tanto da mostrare, ma anche tanto da insegnare. Bisogna riuscire a far passare il messaggio che anche loro sono in grado di fare alcune cose, a modo loro; nello sguardo del pubblico invece c’è spesso quel pregiudizio legato alla disabilità. È difficile accettare che il loro sia un talento vero e autonomo.
Andrea Pocosgnich
Rosignano Marittimo, Luglio 2022, Inequilibrio festival
Corte del Vescovo – Rosignano Marittimo
Nerval Teatro
CHI LA FA L’ASPETTI
Primo studio su Pinocchio
uno spettacolo di Maurizio Lupinelli e Elisa Pol
drammaturgia e regia Maurizio Lupinelli
con Fabio Capaldi, Roberto Capaldi, Mirko Fabbri, Paolo Faccenda, Elsa Francesconi, Gianluca Mannari, Francesco Mastrocinque, Barbara Osmani, Federica Rinaldi, Virginia Rodero, Valentina Scarpellini, Cesare Tedesco, Mirco Tuveri, Matteo Salza
con la partecipazione straordinaria di Franco Marcheselli, Luciana Righini, Anna Tocchi, Nicola Mauro Salza
con il sostegno di Regione Toscana, Fondazione Armunia Festival Inequilibrio
durata 50’
PRIMA NAZIONALE