Con Fuga in Egitto, la compagnia catanese Retablo si è confrontata per la prima volta con l’impiego della realtà aumentata. In questo modo, la loro decennale ricerca sul digitale si è arricchita di nuove coinvolgenti possibilità. Ma ciò che viene proposto non è soltanto una innovativa forma di intrattenimento.
Catania, via del Principe, pomeriggio di giugno: un gruppo di persone che si incontra, davanti a un edificio dalla facciata piuttosto anonima. Quasi sconcertante la facilità con la quale i fatti umani possono essere ridotti, in fondo, a poche coordinate spaziali e temporali. Entro queste, tuttavia, avviene qualcosa che trasforma lo spazio in luogo, e il tempo in momento. Sensazioni e percezioni consentono la metamorfosi dell’astratto in realtà vissuta, e dunque umana. La loro condivisione, poi, è già fondativa di un nucleo sociale. Il gruppetto di persone che attende di entrare nella sala di via del Principe si chiede coralmente cosa sia questo Fuga in Egitto che sta per vedere, e ne discute. La curiosità collettiva cresce, mentre si accede all’interno e ci si siede in circolo, ora in silenzio, indossando pesanti visori. Adesso ciascuno è isolato, e guarda dentro una scatola buia aggrappata al cranio per mezzo di stringhe. Non si vedono più la capriate lignee dell’ambiente, ma alcuni segnali luminosi: all’improvviso, si è in un’altra dimensione. Eppure non è del tutto vero che il presente ne sia rimasto fuori.
L’episodio evangelico della fuga in Egitto è tramandato da una lunga tradizione iconografica. Da Giotto a Caravaggio, il viaggio di Maria e Giuseppe in cerca di salvezza dal re Erode è parte di un immaginario consolidato. La traduzione di questo motivo in forma virtuale non poteva limitarsi a una semplice e coinvolgente trasposizione multimediale. La scelta del tema e le nuove modalità di fruizione imponevano una riflessione che superasse il facile intrattenimento da realtà aumentata. Così è stato: la vicenda biblica viene interpretata da Turi Zinna, Lina Prosa e Tino Caspanello come espressione di un’umanità in lotta contro il potere. Un’umanità femminile: Maria (Barbara Giordano) è una giovane intraprendente, in conflitto con un compagno passivo e inerte (Marcello Montalto). Il percorso è guidato da una presenza luciferina (Chiaraluce Fiorito): il diavolo è una donna condannata per essersi ribellata al sistema, e trascina con sé anche la sua controparte, un candido e inconsapevole angelo (Giovanni Arezzo).
Il racconto di questo pellegrinaggio non è una narrazione lineare. Lo sviluppo drammaturgico procede per scorci e repentini cambi di scena: interni domestici evocati da pochi elementi di arredo, spazi astratti, ma soprattutto ampi orizzonti naturali, che lo spettatore può indagare in tutte le direzioni muovendo il capo. È paradossale come i dialoghi e i gesti dei personaggi, privi delle coordinate dell’hic et nunc, sembrano svolgersi sul momento, in una sorta di disturbante happening. Il dramma è esploso, e la finzione è restituita al fruitore sotto forma di frammenti virtuali, dunque del tutto inesistenti. In fondo, non c’è più nemmeno azione, ma soltanto la sua ombra riprodotta. Ciò implica un ripensamento dello stesso concetto di mimesi scenica: il riferimento a Platone è scoperto e direttamente richiamato dall’immagine di un Turi Zinna dotato di lungo naso. Quella che si svolge all’interno del visore è insomma una bugia, un’illusione assoluta e impalpabile. Il problema che adesso si pone è comprendere chi racconta questa menzogna, o meglio, chi ne rende possibile il racconto, e a quale fine.
La tecnologia del visore è stata brevettata da Meta, l’azienda a cui appartengono Facebook e Instagram: come confermato dal regista, per poter usare il dispositivo è necessario un account. Fuga in Egitto denuncia il potere con i mezzi che quest’ultimo gli mette a disposizione: uno scenario inquietante, che rimanda alle distopie di Black Mirror. Esemplare la vicenda della donna interpretata da Valentina Ferrante, che si inserisce in brevi ma importanti cammei nel corso della Fuga. All’interno di un rettangolo simile al monitor di uno smartphone, la donna pubblicizza un prodotto di bellezza: il flacone miracoloso appare subito dopo, invitante e incredibilmente a portata di mano. Eppure, le dita dello spettatore lo attraversano come fossero fantasmi, nel tentativo di carpirlo; per essere reale, il prodotto deve essere prima acquistato. È quasi assurdo come però sia il corpo concreto dell’individuo a dissolversi in un ectoplasma, oltre il filtro virtuale imposto dalla propaganda. Altrettanto evanescente appare Ferrante che, in carne e ossa, irrompe tra i presenti. Al di là della sua immagine sorridente, una donna, vera e disperata, denuncia il controllo esercitato sulla sua persona e sulla sua fecondità. Ridotta all’ombra di se stessa, e non in senso figurato, viene trascinata via dalla scena fisica mentre si ribella. Intanto, all’interno del visore, appaiono manifesti inneggianti alla rivolta proletaria: in una prospettiva intersezionale, suscettibile di considerazioni marxiste, lotta femminista e lotta di classe coincidono nella gestazione di un mondo migliore. Ma se, come in The Matrix dei Wachowsky, il virtuale si vende come unica realtà possibile, in che modo può divenire attuale la rivoluzione storica?
La lettura del fatto biblico proposta da Retablo è di considerevole, lucido e necessario impegno politico – ce ne fossero, di impostazioni simili: odioso il generale disimpegno. La chiave di volta è nella potenza generatrice della donna, la cui fuga non può e non deve essere ritirata, ma rifiuto delle parvenze allettanti con le quali il patriarcato si manifesta alle masse. Intanto, e per fortuna, anche nella sala di via del Principe il mondo reale si afferma su quello virtuale: il peso del visore grava sul capo, imponendovi una continua sensazione di fastidio, mentre il suono dei fuochi di artificio, in lontananza, disturba per un tratto la fruizione. Oltre la scatola buia, oltre le mura, un gruppo di devoti condivide il vero rito di una festa rionale; qualcuno tra gli spettatori della Fuga ridacchia, subito dopo il primo boato. È come se vi prendesse parte. La percezione delle cose può ancora riportare l’uomo alle sue coordinate effettive, salvandolo.
Tiziana Bonsignore
Visto a Catania nel giugno 2022
UNA FUGA IN EGITTO. ROTTA VIRTUALE PER L’ESILIO
di Lina Prosa, Tino Caspanello, Turi Zinna
progetto drammaturgico, montaggio e regia Turi Zinna
attori in video 360° stereoscopico Barbara Giordano, Marcello Montalto, Chiaraluce Fiorito, Giovanni Arezzo, Valentina Ferrante; attori in scena Valentina Ferrante, Turi Zinna
musiche originali e ingegneria del suono Giancarlo Trimarchi
regista assistente Federico Magnano San Lio
costumi Vincenzo La Mendola
D.O.P. Antonio Parrinello
collaboratore compositing Rocco Minore
post produzione esecutiva Retablo Dreamaturgy Zone
di Retablo Dreamaturgy Zone
organizzato da Zo Centro Culture
Inserito nel Circuito di Latitudini