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Dalla Comédie Française di Parigi per i 400 anni di Molière

In occasione dei 400 anni dalla nascita di Molière, un affondo su due produzioni presentate dalla Comédie Française di Parigi, L’avare e Le Misanthrope.

L’Avare. Foto Comédie Française

Il 2022 segna i 400 anni dalla nascita di Jean-Baptiste Poquelin, più noto al pubblico come Molière. La Comédie Française di Parigi – fondata dalla sua troupe e nata sette anni dopo la sua morte – ha organizzato per l’occasione, a partire dal 15 gennaio fino al 25 luglio, la messa in scena della quasi totalità dei suoi lavori. In un ambiente – quello parigino – in piena ripresa culturale dopo la fine delle restrizioni legate alla pandemia, la forte affluenza ha mostrato come quella per Molière non sia una passione banale, ma incastonata nelle abitudini di ogni francese. L’organizzazione di un tale evento è stata evidentemente preceduta da alcuni interrogativi che possiamo provare a intercettare: come ripensare i personaggi molieriani? Quale approccio adottare per il testo? Recitarlo nella versione originale o cedere al compromesso della modernità? Privilegiare la ricerca di una scenografia che omaggi le ambientazioni originali, o lasciare tutto in mano ai personaggi?

Le Misanthrope. Foto Comédie Française

In particolare, abbiamo assistito a due rappresentazioni del corpus molieriano, L’avare (regia di Lilo Baur) e Le Misanthrope (regia di Clément Hervieu-Léger). Due spettacoli che si situano in direzioni opposte nelle intenzioni, nella scenografia, nella gestualità, e che rivelano in tal modo la duttilità della partitura molieriana. Lo spazio della Salle Richelieu della Comédie Française, in grado di accogliere quasi 900 spettatori, era in entrambe le occasioni gremito di giovani e meno giovani, profani ed esperti, ma è interessante notare come le reazioni in sala riflettano i due stili differenti: se per L’Avare si è scelto un approccio satirico totale, che spinge all’estremo il testo e i caratteri molieriani, il Misanthrope – complice anche il fatto di aver mantenuto il testo originale – è parso uno spettacolo più denso e anche, di conseguenza, meno immediato. Senza contare che, per quest’ultimo, è stata preferita anche un’ambientazione classicheggiante. Una scelta che va approfondita.

L’Avare. Foto Comédie Française

Come afferma la regista Lilo Baur nell’intervista con Laurent Muhleisen (inserita nel programma di sala), con L’avare si esplora un mondo di sconcertante modernità. La commedia è infatti basata sul ruolo del paterfamilias Arpagone, un uomo ricchissimo che concede prestiti a dei tassi proibitivi: un banchiere dei nostri giorni, afferma. Uomo senza scrupoli, al quale Baur aggiunge tutta una serie di tic e gestualità nevrotiche – il sussultare ogni volta alla parola dépenser, per esempio – che contribuiscono a colorarne la figura in maniera carnevalesca. Inoltre, per accentuarne l’attualità, la scena è ambientata in Svizzera – e non a Parigi, come scritto da Molière – nella villa di Arpagone che si affaccia su un lago. I costumi sono appartenenti al Dopoguerra. Vincent Bouquet, (in questo articolo su Sceneweb.fr») riserva all’adattamento di Baur delle severe critiche per aver imposto una visione che contribuisce a “amputare il potere drammatico, brillante e crudele al contempo” del testo, mentre Manuel Piolat Soleymat afferma su «La Terrasse» che la regista “asfissia il dramma di Molière con un’esortazione quasi permanente alla risata”. Eppure, lo spettacolo possiede degli elementi che lo rendono irresistibile.

L’avare. Foto Comédie Française

Laurence Stocker, catalizzatore di tutto lo spettacolo, è un perfetto gentlemen pervertito dall’amore per il denaro, in stile Donald Trump. È lui il principale interlocutore del pubblico: come protagonista, ma anche come attore più carismatico. È una pièce dove, se non per l’inizio, i due amanti Elise e Valère non si concedono un momento di intimità, non c’è spazio per la riflessione. In nessun momento il pubblico è lasciato a se stesso, non si ha mai il tempo, cioè, di approfondire il rapporto tra Arpagone e i figli Elise e Cleante, trattati alla stregua di merci per poter infine arricchire il patrimonio del padre. Potremmo dire che Baur attui un’estremizzazione che è parallela agli sforzi di Arpagone di capitalizzare: lo spettacolo comincia senza eccessi, con un ritmo sostenibile, il protagonista stesso è presentato come un vecchio che, in preda ad un atteggiamento paranoico – ma ancora comprensibile – si preoccupa della sicurezza dei suoi averi; e pertanto, più si avanza, più le maschere crollano e gli innumerevoli tic, le scorrettezze e le immoralità si impadroniscono della scena. Così, le due facies dell’avaro – che vuole al contempo salvaguardare il suo tesoro e acquisirne dell’altro – si impongono come misura di tutti i personaggi, che non possono che reagire in maniera estrema per poter interagire con Arpagone. Nella duplicità, dunque, si muovono tutti i personaggi, e si potrebbe allora dire che forse lo spettacolo di Baur ponga l’accento sulla Commedia Umana più che sull’avaro in sé. Nella facile consumabilità di questo adattamento si situa ogni eventuale problematicità. Che forse Baur abbia troppo facilmente accettato, al fine di risaltarli, i codici comunicativi della contemporaneità? Che questa satira grottesca non sia, piuttosto, una rappresentazione coerente del nostro mondo?

Le Misanthrope. Foto Comédie Française

Di tutt’altro respiro è il lavoro di Hervieu-Léger. La scena comincia già quando il pubblico non si è ancora chetato, con Alceste (alias Loïc Corbery) che si aggira nervosamente – o, piuttosto, disperatamente – in questo salone abbastanza elegante, dai mobili avvolti da lenzuola, un pianoforte di cui il protagonista si servirà più tardi. Se lo spettacolo di Baur era “urlato”, e non consentiva soste tra un atto e l’altro, la pièce riadattata da Hervieu-Léger tenta piuttosto di creare un’atmosfera di raccoglimento – complice anche il fatto che i protagonisti recitano senza microfoni, per cui chi assiste è obbligato a mantenere un livello di concentrazione elevatissimo per poter seguire. Le Misanthrope è sempre stata considerata come una pièce “troppo seria”, nel catalogo molieriano. Del resto, nella versione originale del 1666, il sottotitolo – poi decaduto – era L’atrabilaire amoureux, con quel primo termine che si riferisce alla teoria degli umori e in particolare alla bile nera, la melancolia. Alceste vive di fatto non solo nel rifiuto perpetuo di ogni legame amicale, ma anche nel rifiuto del suo stesso amore per Celimène. La sua è una dialettica tra la volontà di una vera guerra al genere umano e il desiderio di isolarsi – come proporrà d’altronde a Celimène – nel deserto, in uno spirito anacoretico. Questa scissione non gli consente di guardare al reale per quello che è – che egli dunque è privo di quel “principio di realtà” che è parte integrante di ogni buona condotta civile. Nonostante le pretese di sincerità e di spontaneità, Alceste si rivela come un uomo capriccioso e abitato da una gelosia feroce, troppo borghese – lo stesso spirito borghese che pretende di demolire.

Le Misanthrope. Foto Comédie Française

Questa commedia – che è in realtà si veste di gesti e atmosfere drammatiche – rischia di scivolare, nelle mani di Hervieu-Léger, in una trasposizione non abbastanza incisiva, non all’altezza cioè del potenziale del personaggio molieriano. Come scrive Marie-Céline Nivière su «L’Oeil d’Olivier», la sensazione che si ha con questo spettacolo è: ci “è piaciuto, pur rimanendo delusi”. Non è semplice identificare quali elementi non funzionino. In particolare, gli abiti e la scenografia, che si ispirano ai salotti degli intellettuali borghesi del XX secolo – esistenzialisti, scrive Nivière – stridono con la volontà di salvaguardare anacronisticamente il testo che – come abbiamo già rimarcato – è quasi sussurrato dai protagonisti e diviene in tal modo un virtuosismo. Come quando, con un’inutile coquetterie (così ne parla Armelle Héliot su «Le Figaro») Alceste strimpella il pianoforte evocando una melodia infantile. Era forse questo ensemble di elementi contrastanti a detenere la responsabilità del comico nello spettacolo? In tal modo, ciò che impressiona sono i singoli personaggi – come la fantastica Adeline d’Hermy (Celimene) – più che la dinamica d’insieme. Ma forse è la pregnanza del carattere misantropico, del suo questionarsi incessantemente su ogni cosa, che non può che lasciare interdetti, fragili, proprio perché ci si ricorda che tutto quello che sarebbe dovuto essere “commedia” è in realtà più serioso del previsto.

Artin Bassiri

LE MISANTHROPE – visto alla Comédie Française, febbraio-maggio 2022

Mise en scène : Clément Hervieu-Léger
Scénographie : Éric Ruf
Costumes : Caroline de Vivaise
Lumières : Bertrand Couderc
Musique originale : Pascal Sangla
Son : Jean-Luc Ristord
Coiffures : Fabrice Elineau
Assistanat à la mise en scène : Juliette Léger
Assistanat à la scénographie : Dominique Schmitt
avec:

Éric Génovèse (Philinte)
Alain Lenglet (Basque)
Florence Viala (Arsinoé)
Loïc Corbery (Alceste)
Serge Bagdassarian (Oronte)
Nicolas Lormeau* (Du Bois)
Gilles David* (Du Bois)
Adeline d’Hermy (Célimène)
Clément Hervieu-Léger (Acaste)
Jennifer Decker* (Éliante)
Claire de La Rüe du Can* (Éliante)
Yoann Gasiorowski (Clitandre)
et les comédiennes et comédiens de l’académie de la Comédie-Française
Jérémy Berthoud (un domestique)
Héloïse Cholley, Fanny Jouffroy, Emma Laristan (Domestiques)
Vianney Arcel, Robin Azéma (Gardes)
*en alternance

L’AVARE – visto alla Comédie Française, fino al 24 luglio 2022

Mise en scène : Lilo Baur
Scénographie : Bruno de Lavenère
Costumes : Agnès Falque
Lumières : Nathalie Perrier
Musiques originales et assistanat à la mise en scène : Mich Ochowiak
avec :
Alain Lenglet (Anselme)
Francoise Gillard (Frosine)
Jerome Pouly (La Fleche)
Laurent Stocker (Harpagon)
Serge Bagdassarian (Maitre Jacques)
Nicolas Lormeau (Maitre Simon)
Anna Cervinka (Mariane)
Jean Chevalier (Cleante)
Elise Lhomeau (Elise)
Clement Bresson (Valere)
Adrien Simion (La Merluche)
Jeremy Berthoud (Brindavoine)

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Artin Bassiri
Artin Bassiri
Artin Bassiri Tabrizi (1992) ha studiato filosofia all’EHESS di Parigi (Master in Arts et langages). Dal 2021 è iscritto in un Dottorato di ricerca presso l’ACCRA di Strasburgo sotto la tutela di Stefan Kristensen. È al contempo diplomato in pianoforte al Conservatorio di Perugia, e ha svolto un periodo di ricerca tramite il progetto Daedalus: l’artista da giovane a Firenze, sotto la tutela di Alexander Lonquich e Cristina Barbuti. È stato segretario artistico del pianista Roberto Prosseda. Ha tradotto il libro di Boris Berman, Notes from the pianist’s bench per Curci. Collabora con le riviste Quinte Parallele, Gli Spietati, Philosophy Kitchen. I suoi temi di ricerca intrecciano la psicanalisi, l’estetica musicale e visuale e la letteratura. Insegna attualmente filosofia in un liceo parigino.

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