Inteatro Festival giunge nel 2022 alla sua 43sima edizione. Fra Polverigi e Ancona, quattro giornate densissime con prime assolute e nazionali, fra 15 e 18 giugno. Una proposta artistica irriducibile ad una sigla estetica, senza parole chiave, attenta come sempre alla scrittura dei corpi. Ne abbiamo parlato con la direttrice artistica Velia Papa. Articolo in Media Partnership
Quattro giorni di festival gravitanti intorno ad un comune, Polverigi, che conta poco più di 4000 anime, con un’escursione nel vicino capoluogo per una prima assoluta. A Inteatro non difetta certo una qualità fondamentale per generare incontro: la densità. Densità di luoghi e di linguaggi, declinata in un programma che fa della danza e della performance un asse portante della proposta estetica, secondo una direzione connaturata alla kermesse. Qui ne parlava già Lucia Medri nel vicino, lontano 2018 – ed è questo lasso di tempo indefinito una cartina al tornasole eloquentissima per testare, o tastare nei corpi le mutate politiche dell’agire scenico e delle pose dei nostri stessi corpi nello spazio pubblico. Le storie dei festival, tanto più di quelli a lunga retrospettiva come Inteatro, giunto alla 43sima edizione, sono frammenti vivi di una storia non solo artistica, i loro archivi patrimoni comuni e necessari che ci regalano, e regaleranno, la possibilità di scrivere del tempo passato e presente attraverso le lenti efficacissime della festa e delle scritture del corpo. Modalità storiografiche complesse e aperte, oggetto attualmente di indagini epistemologiche anche entusiasmanti, che aprono a modelli di lettura (e dunque costruzione) della realtà non convenzionali.
Ecco dunque di nuovo l’archivio digitale di Inteatro, scrollare per credere. Alla lunga sequenza storica si aggiungono quest’anno protagonisti e protagoniste della scena italiana e internazionale, da Jaha Koo (prima nazionale con Lolling and Rolling, parte dell’acclamata trilogia di cui l’artista coreano porta a Polverigi anche Cuckoo) a Sotterraneo (prima assoluta con L’Angelo della Storia), da Olivier de Sagazan con l’ormai classico Transfiguration a Liv Ferracchiati con Andrea Cosentino e Petra Valentini (con Uno spettacolo di fantascienza. Quante ne sanno i trichechi), da Bert and Nasi a Salvo Lombardo/Chiasma (Let my body be). Come accennato, però, la direzione è fortemente indirizzata alle drammaturgie corporee, presentate attraverso approcci multiformi fra site-specific, performance-concerto, dispositivi partecipativi e urbani, focus pittorici e scultorei, ecc… Molte le prime assolute o nazionali, come nel caso di Dewey Dell (Teodora, Agata e Demetrio Castellucci, Eugenio Resta) con I’ll do, I’ll do, I’ll do, o di Ludovico Paladini con Tredicesima generazione. Rito di passaggio per gente di passaggio, in collaborazione con il collettivo Hardchitepture, oppure acora PayPer Play di Andrea Costanzo Martini, Piano Solo Corpo Solo di Claudia Caldarano e Simone Graziano, Under the influence di Gianmaria Borzillo. Densità unica di voci, corpi e linguaggi, a proseguire una storia multiforme di cui abbiamo parlato con Velia Papa, manager culturale e direttrice artistica del festival.
Qual è il filo rosso che racconta l’identità storica di Inteatro?
Se penso alle trascorse edizioni devo riconoscere che il Festival non ha mai tradito sé stesso, anzi nel tempo le ragioni della manifestazione sono state approfondite ed affinate. Proprio ieri mi è capitato di visionare una registrazione del 1980 che riportava un’intervista a Domenico Mancia, allora Sindaco di Polverigi, poi Presidente del Festival, che aveva fortemente voluto la manifestazione. Nelle sue parole c’era la profonda convinzione che anche un piccolo borgo, allora prevalentemente rurale, potesse aspirare a confrontarsi con iniziative culturali che fino a quel momento erano appannaggio dei grandi centri urbani. Mancia, uomo di scienza, esprimeva il desiderio di fare di Polverigi il centro del teatro delle nuove generazioni cercando di spingere la cittadinanza ad aderire a questo obiettivo. Credo che questo sogno si sia realizzato anche grazie al sempre rinnovato coinvolgimento del pubblico locale, un obiettivo perseguito anche attraverso forme partecipative specifiche. Certo, negli anni abbiamo assistito a mutazioni sociali e culturali profonde che hanno cambiato le modalità con cui il pubblico si rapporta al teatro. Ma in generale direi che il rapporto con il tessuto locale è solido anche se, a volte, si notano, come in ogni grande famiglia, sentimenti di odio e amore.
Nell’impronta comunicativa del Festival è da sempre centrale l’”innovazione artistica”. Cos’è innovazione oggi?
Sicuramente l’innovazione non è un genere, ma si riconosce piuttosto come una qualità, una tensione, un’aspirazione che hanno cert* artist* nel cercare chiavi ancora inedite di rappresentazione del reale. Per quanto mi riguarda le scelte artistiche non sono mai dettate dall’argomento trattato, anzi direi che diffido di un’eccessiva aderenza ai temi del momento. Al tempo stesso sono convinta che gli\le artist* più interessanti intercettino sempre lo “spirito del tempo” ed anzi, in genere, siano in grado di spingersi più lontano nel farci intravedere squarci di futuro. Faccio molta attenzione alla ricerca formale, convinta che nuovi contenuti non possano essere espressi con linguaggi convenzionali.
Se dovesse esprimere la direzione di questa edizione con tre keywords, quali sceglierebbe?
Di solito non attribuisco titoli al Festival proprio perché non parto mai da un tema specifico, ma piuttosto da incontri, folgorazioni, intuizioni. Per questo preferisco che sia lo spettatore a ricomporre una personale mappa emotiva ed estetica lasciandosi guidare dai lavori presentati senza farsi influenzare da parole chiave o slogan.
Tante le produzioni di Marche Teatro in cartellone, oltre ai lavori sviluppati in residenza a Villa Nappi – quale il rapporto con gli\le artist* che lavorano e creano in prossimità con il vostro ecosistema produttivo?
Il Festival è sempre di più il momento di visibilità di un’attività permanente che accoglie, sostiene e promuove i progetti di artist* di nuova generazione. Attraverso le attività di residenza, di produzione e di accompagnamento cerchiamo di essere vicini al lavoro degli\delle artist*, italian* e non, più interessanti. Anche in questa edizione ci sono debutti a seguito di periodi di residenza e coproduzioni, anche grazie al fatto che oggi il Festival è parte di Marche Teatro, organismo riconosciuto dal MIC come Teatro di Rilevante Interesse Culturale (TRIC).
Redazione