Recensione e intervista sullo spettacolo Gianluca. Ci vediamo tra le nuvole di e con Daniele Turconi, visto al Teatro Fontana di Milano
Gianluca è nato il 30 maggio del 1986. Aveva trent’anni quando è morto. Aveva trent’anni e non sapeva chi era. Daniele Turconi eredita questa inveterata quanto atavica incapacità di definizione individuale e decide di metterla alla prova, ribaltandone la logica. Ad essere presentata, sul palco, è dunque l’alterità, ma raddoppiata perché al suo tentativo di omaggiare l’amico scomparso tramite il racconto privato si aggiungono le testimonianze dei compagni di una vita, proiettate tramite un video in soggettiva a grande schermo, sul fondo del palco. Chi è Gianluca? Un artista, un cantante, un poeta, un musicista. È uno generoso, uno sensibile. O forse, niente di tutto questo. Le confessioni di Daniele si compenetrano al reticolo drammaturgico, si fondono, si giustificano, lo interrompono con sarcastica empietà, pretendendo di trovare il proprio spazio all’interno di un racconto che non è più separato da sé, perché tanto individuale quanto inevitabilmente collettivo. Il senso di inadeguata incompletezza permea l’intera performance, talvolta languida quando ostentata nel rammarico su di una sedia, talvolta feroce, quando urlata al pubblico a luci spente. Allora vola una bestemmia, anche due, che restituiscono quel “senso di rancore all’opera”, attraverso un rito che rende tutti partecipi di una realtà da cui nessuno può veramente esimersi. La decostruzione dell’auratica, quanto infedele idea dell’alterità si trasforma così in amara beffa, e subisce un nuovo rovesciamento, perché alla fine si riduce tutto, sempre, alle due polarità: essere o non essere. Una condizione identitaria imposta, una questione sociale limitante, il compromesso di un’etichetta culturale che è anche collettiva.
(Andrea Gardenghi)
Chi è Gianluca?
Gianluca era un artista sconosciuto, un amico, ci siamo conosciuti nel 2001 e lui è venuto a mancare in seguito a un incidente nel 2017. In questo spettacolo prevalentemente mi pongo delle domande: tramite la sua figura e le sue opere mi chiedo cosa vuol dire essere un artista o non esserlo; come si fa e se abbiamo voglia di esserlo, se già lo siamo e se comporta delle responsabilità. A me piace pensare allo spettacolo come a una sorte di crisi d’identità irrisolta, Gianluca era un artista ma probabilmente non pensava a esserlo.
Che cosa rispondeva Gianluca, impiegato o artista?
Non si è mai definito, non gli interessava. Ha sempre fatto le sue cose con dedizione, suonato, scritto poesie e un libro. Era poliedrico, e purtroppo sconosciuto. Probabilmente ti avrebbe risposto “io sono Gianluca, e sareste andati a bere qualcosa e solo poi forse avreste parlato. Per questo, non uso solo le opere e la poetica trattati da Gianluca ma anche il suo modo di essere, il modo in cui abitava la vita e parlava.
Che cosa ne è di quello che non riusciamo a essere?
Le cose che non siamo rimangono da qualche parte. Ognuno le trova dove vanno a finire e a volte si dimenticano. C’è un’opera di Gianluca che si chiama “La consunzione dei ricordi”, una canzone che tratta di come i ricordi abbiano una vita breve, di come si consumino volenti o nolenti con l’età, uno si scorda delle cose e se ne ricorda altre ma non è che decidi tu i ricordi che ti tieni. Succede anche con le cose che non siamo. Con le aspettative che avevamo da bambini, sulla vita, sul lavoro, sulle amicizie e gli amori. Prima o poi ritornano e da qualche parte vanno a finire.
Tu hai detto, in controtendenza con qualsiasi tipo di comunicato stampa artistico, che l’arte non ci salva da noi stessi. Perché?
Sì, l’ho detto e ne sono convinto, perché credo che sia un grande equivoco di questi tempi che stiamo vivendo: deleghiamo all’arte troppa responsabilità. Anche in seguito alla ricerca che abbiamo fatto con Frigoproduzioni e i laboratori che abbiamo condotto, siamo certi che l’arte non debba essere educativa; può esserlo, ma se il suo scopo è educare e salvarci la vita le risposte saranno sempre negative e rimarremo sempre delusi, perché significa illuderci. È come una grande amica, che non risolve i tuoi problemi, ma è lì per starti vicino, aiutarti e farti ragionare per andare avanti.
E che momento è adesso per l’arte che non intende salvarci e sta lì per essere guardata, accettata oppure no?
Il momento in cui siamo è poco leggibile, sono successe davvero molte cose in questi ultimi due anni. Il teatro da quando lo faccio (ndr. dieci anni) è sempre stata una situazione confusa e di grande solitudine. Perché ci lamentiamo che il pubblico non c’è però noi non gli andiamo incontro, ci lamentiamo che la categoria dei lavoratori teatrali non è adeguatamente messa in conto dal ministero e dai movimenti politici ma non riusciamo a capire come trovarci tutti insieme per fare una categoria che sia forte e sentiamo che i sindacati ci hanno abbandonati. Gianluca nasce proprio da questo tipo di crisi: secondo l’Inps sono un artista perché ho fatto più di 7 giornate lavorative, e io mi chiedo se ne ho fatte meno di 7 in un anno vuol dire che ho un altro lavoro oppure sono ricco? E per mia madre che crede ancora che fare l’attore significhi imparare un testo a memoria, impararlo in sala prove e portarlo in scena. La verità è che le persone non sanno ancora cosa facciamo, figurarsi se non ho bisogno di interrogarmi anch’io.
(Francesca Pierri)
GIANLUCA. CI VEDIAMO TRA LE NUVOLE
Un progetto di Daniele Turconi
Regia e drammaturgia Daniele Turconi
Collaborazione alla drammaturgia Alice Provenghi
In scena Daniele Turconi
Disegno luci e tecnica Daniele Passeri
Con il supporto di FrigoProduzioni, Gli Scarti la Spezia, Officine Papage, Residenza Qui e Ora, Strabismi Festival