Recensione. Oscar De Summa affronta con L’ultima eredità il dolore della perdita di un padre. Dal Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma
Erede. È colui che resta e il più delle volte non sa, non immaginava il peso del lascito, la responsabilità dell’avvenire. Molto spesso è una notizia giunta di sorpresa, anche quando attesa da tempo, coglie chi la riceve in un punto qualsiasi della vita, proprio per paradosso a comunicare che un’altra, di vita, si è fermata. E dunque quel momento prima disperso tra milioni di altri, quel giorno anonimo tra mille calendari, diventa d’improvviso il giorno e l’ora esatti in cui è morto tuo padre. La vita non vissuto di colpo emerge come un’onda anomala dal passato a farci domandare se abbiamo fatto o detto tutto quanto necessario, se possiamo dirci pronti ora a camminare soli. È in questo sentimento che Oscar De Summa affronta L’ultima eredità, visto sul palco del Teatro Quarticciolo di Roma ma ascoltato battere nel cuore di una platea, senza i confini dello spazio fisico di un teatro.
È un giorno come gli altri a Bologna, quello in cui comprare le scarpe o pensare al traffico del centro città, alla differenza con Berlino o chissà quale città migliore, ma diventerà presto un giorno decisivo, da cui trarre ogni ricordo che sarà ripetuto in una formulazione incredula di fronte a tutti. Cosa stavo facendo? Quali pensieri avevo in mente? Quali erano le mie preoccupazioni quando all’improvviso la telefonata di mia madre mi ha stordito, per dirmi che papà non stava bene? Ecco come la vita si fa contenitore di un imprevisto immediatamente trasformato nell’unica cosa che davvero esiste, verso cui tutte le energie confluiscono: bisogna partire, raggiungere il luogo dell’origine, una forza innata ci conduce dove tutto ha avuto inizio, perché dobbiamo essere presenti, quando tutto avrà una fine.
Lungo il viaggio verso il Sud, verso la Puglia più nascosta, ci sono i pensieri che si affollano, qualcuno si accoglie, altri si respingono perché è troppo presto, perché non c’è da concedere ancora al dolore che si affaccia oltre la soglia della precedente, forse apparente, serenità. Quando si torna alla casa del padre, si rientra nella tana in cui siamo stati allevati, si recupera quella condizione primigenia a partire dall’unico elemento che la vita altrove non può cancellare: la lingua, lo spazio di relazione più immediato. E allora, accanto al letto di un padre moribondo, il ciclo si compie, sono i figli a riconsegnare indietro i padri che, a loro volta, alla nascita li avevano consegnati alla vita.
Nel racconto di Oscar De Summa emerge con sincera chiarezza, pur in un contesto di morte, la necessità che il proprio teatro sia una spiraglio di vita; è così nella purezza delle immagini che conducono i pensieri, nella rivelazione anche della parte più buia che si è meno pronti a portare fuori, nella digressione continua che all’inizio del monologo cerca di allontanare la notizia cui non si vuole cedere, nella scelta di farsi accompagnare dal suono dei grandi successi del rock, come linea di congiunzione anche con i precedenti racconti. Perché a trasparire è proprio la volontà che tutte queste fasi di una autobiografia siano tenute assieme da un filo invisibile ma concreto, capace di dirigerci come una guida di fronte agli occhi. Solo allora si può concedere al dolore lo spazio del racconto, al tempo di rinunciare ai confini del presente e innestarvi ciò che è memoria, si può prendere la strada già tracciata, condurla in avanti ma, con la certezza della direzione, compierla indietro.
Simone Nebbia
Aprile 2022, Teatro Biblioteca Quarticciolo, Roma
L’ULTIMA EREDITÀ
di e con Oscar De Summa
progetto luci Matteo Gozzi
ambiente sonoro e arrangiamenti Matteo Gozzi, Oscar De Summa
produzione La Corte Ospitale