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Contro la guerra, le logiche del vero: George Balanchine e Alonzo King

Alla Scala di Milano e al Teatro Verdi di Pordenone, due fondamentali coreografi di ieri e di oggi indicano al presente l’evidenza di una via di uscita dall’orrore in corso: la riconsegna al vero dei corpi in danza come esperienza insieme di sovversione e rettitudine.

Foto RJ Muna, e Manny Crisostomo

È difficile oggi commemorare le morti in guerra che riguardano il mondo della danza, come ad esempio quella dell’ucraino Arte Datsishin, primo ballerino dell’Opera Nazionale, ferito a Kiev all’inizio del conflitto e poi deceduto in ospedale dopo una lunga agonia; o anche solo onorare il lavoro vitale svolto da molte istituzioni per accogliere studenti di danza o assumere ballerini ucraini sfollati in Europa e negli Stati Uniti. È difficile farlo quando il potere magnetico delle ideologie di guerra con i loro apparati di propaganda che modellano in anticipo ogni affermazione, ogni notizia, portano a declino ogni evidenza logica, e «la bugia ha il suono della verità, e la verità il suono della bugia». Come insegna Adorno, il carattere incredibile dell’orrore che è in corso ci permette di non credere a ciò che non vogliamo credere. Perché la riduzione della verità a problema di potere, cui nemmeno la verità può sottrarsi se non vuole essere annientata dal potere, investe direttamente «la disgiunzione logica del vero e del falso». Cosa è possibile riconoscere allora, sul palcoscenico, come resistenza? Per la danza, sono i corpi soltanto. In essi la verità si ricongiunge alla sua logica, per pura evidenza. Alonzo King chiama le sue opere coreografiche «strutture di pensiero» perché intimamente correlate a tutto ciò che esiste; così come George Balanchine esigeva «operazioni strutturali» per le sue creazioni coreografiche, paragonate alla progettazione addirittura di una casa. Dunque possiamo tornare a riconoscere e interrogare quella logica che nei corpi della danza si mostra mentre cresce, nascosta.

Foto Brescia e Amisano

LA VERITÀ DEI CORPI

Al Teatro alla Scala di Milano è stato possibile farlo grazie alla ripresa di Jewels, balletto glamour in tre parti che Balanchine creò nel 1967, sull’idea di tre pietre preziose, dopo l’incontro con Claude Arpels, il gioielliere. Conosciuto come «primo balletto astratto in tre atti», con i costumi così-così di Karinska, ogni sezione ha un corrispondente compositore: Gabriel Fauré per Esmeralds, Igor Stravinsky per Rubes, Tchaikovsky per Diamonds. Balanchine ipotizzò un quarto tempo (Sapphires, con musica di Arnold Schoenberg) che non realizzò. Si tratta comunque di un prodigioso métissage musicale. La scena verde di Esmeralds è in forte connessione con la partitura ispirata alla musica del Pelléas e Mélisande (e anche di Shylock).

Foto Brescia e Amisano

A partire dal primo passo a due (compiutamente elegiaco di Claudio Coviello e Vittoria Valerio) e poi dal secondo (non meno inquieto di Caterina Bianchi e Gabriele Corrado), tutto qui è enigmatico, e condizionato da una nostalgia che è però strategia di resistenza, risorsa compositiva, elemento creativo. Non si tratta in nessun caso di una tensione romantica e sognante verso un passato per sempre inattingibile, ma più propriamente di una meravigliosa macchina del tempo che agisce come argine alla modernità (guerrafondaia), criticandone i presupposti, le ingenuità e le menzogne che sono contenute in ogni modello narrativo (e propaganda). Con un aspetto anche sovversivo, perché Balanchine esplora potenzialità inespresse e vie non ancora percorse dal balletto astratto. La logica dei passi, qui senza alcun ricatto ideologico, espone così al vero i corpi dei suoi interpreti sotto il nostro sguardo.

Foto Brescia e Amisano

Nel rosso di Rubes (sul Capriccio per pianoforte e orchestra di Stravinsky) tutto è veloce, esplosivo e angolare: high jinks e jazzy mood, in forte debito col mondo di Broadway. I continui cambi delle posizioni delle mani, i passi da catwalk, le citazioni dello stile far west e il sorprendente Domenico Di Cristo, perfettamente sincronizzato con l’umore lunare della musica, ci mostrano come le gerarchie consuete possono essere contaminate e dunque rinegoziate. Nel bianco nitore di Diamonds (sulla 3a sinfonia di Tchaikovsky, tranne il primo movimento) esplode, infine, la complessità. In un’aria di grandezza senza contesto (se non vagamente quello perduto della San Pietroburgo di Petipa), sedici coppie più la principale (Maria Celeste Losa e Timofej Andrijashenko, elegantissimi) danno vita a uno spettacolo della veemenza e dello splendore. Comprende un lunghissimo pas de deux, un assolo di lei sotto dittatura di pirouettes continuate e bellissime, e pure numerosi virtuosismi di lui. Ma qui, più che mai, la politica della nostalgia di Balanchine, che ha sempre lo sguardo sul presente del passato, ci ricorda l’imperfezione del mondo attuale in un’ultima tensione morale: la dimensione utopico-libertaria nel sentimento doloroso del tempo.

Foto RJ Muna, e Manny Crisostomo

SOVVERSIONE E RETTITUDINE

È più che una coincidenza, aver intercettato la compagnia di Alonzo King | Lines Ballet al Teatro Verdi di Pordenone, con un imperdibile doppio programma. Il coreografo californiano è infatti più che un erede del credo balanchiniano: non certo epigono, ma devoto agitatore. In The Personal Element, per otto interpreti sul travolgente pianoforte di Jason Moran, corpi senza baricentro, estensioni sovrumane, posizioni alte e cassa toracica sempre aperta nel respiro della colonna, piedi flessi e on pointe ma fra mille equilibri e fluenti port de bras, quello che si è visto sta tutto in ciò che è possibile soltanto vedere. Il ‘personale’ del titolo è l’elemento confidenziale e soggettivo che non può essere detto (o scritto) senza che venga in qualche modo compromesso.

Foto RJ Muna, e Manny Crisostomo

Tutto qui accade inatteso e comunque presagito perché immaginato, e le parole possono poco. Come d’improvviso un arabesque dove non ti aspetteresti, nel tempo lungo di una epifania capace di renderlo plausibile. E lo è. Cambiare sistema è possibile, questo è il mantra dell’attivista pacifista Alonzo King, e non resta a chi guarda di consegnarsi a tanto sapere d’invenzione. Così nascono nuovi mondi, e nuovi modi di governare il mondo.

Il secondo, Azoth, per dieci interpreti, è il frutto di una collaborazione con l’iconico sassofonista Charles Lloyd e il pianista Moran. Si ispira alla natura imprendibile del mercurio, sostanza capace di trasformazione fisica e spirituale (i colori sono tutte sfumature del nero e dell’oro): ho ancora negli occhi lo straordinario assolo del newyorkese Shuaib Elhassan, dal corpo esteso e flessibile, stratificato in molteplici piani nei quali l’anatomia non è che un flusso di coscienza.

Foto RJ Muna, e Manny Crisostomo

Ma ora ho l’impressione che ciò che accade sul palcoscenico richieda un sapere che ancora non ho: qui il vocabolario di movimento a base accademica è prima di tutto una categoria morale capace di interrogare le regole di trasformazione del mondo. Di fronte a questo nuovo sapere, che fa a meno della coercizione di ogni potere, posso soltanto arrendermi, per ora, felice. È anche un’ipotesi politica, quella della pace come resa all’altro affinché il piacere della rettitudine, che nella verità di questi corpi si palesa finalmente in tutta la sua necessità, possa riprendere il suo corso.

Stefano Tomassini

marzo 2022, Teatro alla Scala di Milano e Teatro Verdi di Pordenone

JEWELS
Corpo di Ballo e Orchestra del Teatro alla Scala
Produzione Teatro alla Scala
Coreografia George Balanchine © The George Balanchine Trust
Direttore Paul Connelly
Scene Peter Harvey
Costumi Karinska
PROGRAMMA
Emeralds Gabriel Fauré, musica
Rubies
Igor’ Stravinskij, musica
Roberto Cominati, pianoforte
Diamonds Pëtr Il’ič Čajkovskij, musica

ALONZO KING LINES BALLET: THE PERSONAL ELEMENT – AZOTH

THE PERSONAL ELEMENT
Coreografia Alonzo King
Musica Jason Moran
Design suono Philip Perkins
Luci Jim French
Costumi Robert Rosenwasser

AZOTH
Coreografia Alonzo King
Musica Charles Lloyd e Jason Moran
Design suono Philip Perkins
Luci e immagini Jim Campbell
Costumi Robert Rosenwasser

Fondatore e Direttore Artistico Alonzo King
Fondatore e Direttore Creativo Robert Rosenwasser

Dal 2011 Alonzo King LINES Ballet beneficia per lo sviluppo dei suoi progetti del supportodi Bank of the West e BNP Paribas Foundation. La Compagnia riceve parziale supporto dal fondo delNational Endowment for the Arts.Si ringrazia The William and Flora Hewlett Foundation.

Le foto di scena sono di: RJ Muna, e Manny Crisostomo.

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Stefano Tomassini
Stefano Tomassini
Insegna studi di danza e coreografici presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2008-2009 è stato Fulbright-Schuman Research Scholar (NYC); nel 2010 Scholar-in-Residence presso l’Archivio del Jacob’s Pillow Dance Festival (Lee, Mass.) e nel 2011, Associate Research Scholar presso l’Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University (NYC). Dal 2021 è membro onorario dell’Associazione Danzare Cecchetti ANCEC Italia. Nel 2018 ha pubblicato la monografia Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile (Scalpendi) e, più di recente, con lo stesso editore, Tempo perso. Danza e coreografia dello stare fermi.

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