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Il presente è immobile. Andò dirige Piazza degli Eroi

Recensione. Roberto Andò, per la prima volta in Italia, cura la regia di Piazza degli Eroi, opera testamento di Thomas Bernhard, scritta nel 1988, cinquant’anni dopo l’Anschluss dell’Austria alla Germania  nazista.

Foto Lia Pasqualino

Quando Thomas Bernhard scrive (e porta in scena con la regia di Claus Peymann) Piazza degli Eroi  pochi mesi prima della sua morte, sono appena passati 50 anni dal marzo 1938, ovvero dall’annessione dell’Austria alla Germania nazista. L’evento dell’Anschluss, che Hitler dichiarò proprio nell’omonima piazza del titolo, divenne per l’autore austriaco lo specchio di una società che, nella contemporaneità del 1988 stava pericolosamente riavvicinandosi a frange nazionaliste e xenofobe, forse mai sopite del tutto. Fu così che, a differenza di tutti gli altri suoi drammi, in questo caso  le coordinate socio-spazio-temporali non solo appaiono in esergo (siamo a “Vienna, marzo 1988” recita la didascalia iniziale), ma determinarono anche una serie di attacchi furiosi nei confronti di Bernhard, al punto da portarlo a impedirne la rappresentazione o la pubblicazione di quest’opera in patria.

Tale veto ce lo siamo portato appresso anche noi, se è vero che questa regia di Roberto Andò che abbiamo visto in replica al Teatro Argentina, prodotta dal Teatro  di Napoli, dallo Stabile del Friuli Venezia Giulia e dal Teatro della Toscana, rappresenta la prima assoluta in Italia (fanno eccezione qualche lettura pubblica e la messa in onda lo scorso anno su Rai3 dello stesso spettacolo con la regia video di Barbara Napolitano, il cui debutto era stato interrotto causa lockdown).

Preme dire quanto non sia tanto il nazismo bensì il suo spettro a pervadere l’opera, popolata da figure che sono, anche loro a proprio modo spettrali, intrappolate in un passato dal quale non sono in grado di liberarsi. Andò indossa il giogo di questo carro, e coerentemente con lo spirito del testo (o forse troppo), presenta un dramma immobile in cui il cuore è l’assenza, il rimpianto: protagonista è un professore di filosofia, Josef Schuster, appena suicidato gettandosi da una finestra (della casa che al momento del dramma sta per essere venduta) che affaccia proprio nella storica piazza da cui Hitler proclamò l’Annessione. A parlare continuamente di lui sono “coloro che sono rimasti”, tra cui la signora Zittel, governante di casa (come sempre puntuale, diretta, pulita la recitazione di Imma Villa), il fratello Robert, anche lui professore ma di matematica (splendidamente flemmatico e testardo Renato Carpentieri), le figlie Anna e Olga (Silvia Ajelli e Francesca Cutolo, al servizio dei loro ruoli, dunque schiacciati dal peso della perdita, razionale l’una e più introversa l’altra). Parlano, questi personaggi (citiamo anche Paolo Cresta, Stefano Jotti, Valeria Luchetti, Betti Pedrazzi, Enzo Salomone), ma non all’altro; l’alternanza delle battute non lasci pensare a dialoghi propriamente intesi, non vi è quasi mai corrispondenza tra una battuta e l’altra, ciascuno è perso nel proprio mondo. Perso forse perché troppo forte il legame col morto, che perdura perché si continua a stirarne camicie, lucidando scarpe, lo si rievoca, lo si maledice.

Foto Lia Pasqualino

Robert, sul quale la morte del fratello piomba come desiderio e come condanna nella maniera più lampante, si trova sul ciglio dell’andare via (entrambi i fratelli, un po’ come il loro autore, sono emigrati in Inghilterra per un lungo periodo, adesso lui vive nella casa di campagna rifiutando la città, morto a proprio modo) e il costante e obbligatorio interfacciarsi con la società del suo tempo. Ma la risultante di queste due forze opposte e contrarie è, sul piano drammaturgico, la stasi: egli continua a evidenziare il rischio della rinnovata salita al potere nazista, eppure non fa nulla per contrastarla, come non fa nulla per contrastare il rischio che la tenuta di campagna venga tagliata da una strada in costruzione. Così il contesto che, nelle intenzioni del regista e di Gianni Carluccio (sue le scene e il light design, mentre i costumi sono di Daniela Cernigliaro) non appare legato all’indicazione del testo – marzo 1988 – ma si avvicina più a un’atmosfera primo novecentesca, congelata tra i fasti di un passato glorioso che però non porta più a niente e il vuoto del presente inagibile. Lo è l’interno della casa del primo e del terzo atto, sontuosa ma ammuffita; lo è l’esterno del secondo atto, appena più astratto nella presenza di decorativi tronchi sospesi, monchi; lo sono le musiche suonate dal vivo al pianoforte da Vincenzo Pasquariello. Lo è la presenza finale, l’unica, della signora Schuster, la sola che quel vociare schierato non ha mai smesso di sentirlo; proprio in chiusura quel terrore ritornerà concretamente, dando visione dell’inattuabile, del paradosso possibile, del ritorno insperabile, nell’urlo silenzioso che mostra (il passato ha le voci inneggianti curate da Hubert Wesetkemper).

“Coloro che sono rimasti”, ripiegati, annichiliti, incapaci di azioni: se sul piano filosofico ciò rappresenta una dirompente chiave di lettura, aderente al testo e alla volontà del suo drammaturgo, su quello scenico paga lo scotto di una rappresentazione appesantita, statica, che sì, manifesta quello stato di impotenza nei confronti di una società che si stava nuovamente ripiegando verso una tragedia già annunciata, ma che non è in grado di portare altro che parole per difendersi da essa.

Viviana Raciti

visto al Teatro Argentina, Roma – gennaio 2022

PIAZZA DEGLI EROI

Date tournée in calendario

Torino, Teatro Carignano, 25 – 30 gennaio 2022
Genova, Teatro della Corte, 1 – 5 febbraio 2022
Palermo, Teatro Biondo, 8 – 13 febbraio 2022
Brescia, Teatro Sociale, 16 – 20 febbraio 2022
Firenze, Teatro della Pergola, 22 – 27 febbraio 2022
Salerno, Teatro Verdi, 3 – 6 marzo 2022

di Thomas Bernhard
traduzione Roberto Menin
regia Roberto Andò
con Renato Carpentieri, Imma Villa, Betti Pedrazzi,
Silvia Ajelli, Paolo Cresta, Francesca Cutolo, Stefano Jotti, Valeria Luchetti, Vincenzo Pasquariello, Enzo Salomone
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Daniela Cernigliaro
suono Hubert Westkemper
aiuto regia Luca Bargagna
assistente alle scene Sebastiana Di Gesù
assistente ai costumi Pina Sorrentino
amministratrice di compagnia Angela Carrano
foto di scena Lia Pasqualino
diritti di rappresentazione Suhrkamp Verlag – Berlino rappresentata in Italia da Zachar International – Milano

produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Fondazione Teatro della Toscana – Teatro Nazionale

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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