Recensione. Sullo sfondo di una relazione conturbante tra due musicisti, il genio Mozart e l’ammiratore Salieri, Scarpellini-Garbuggino-Ventriglia esprimono un fondamentale contributo sull’arte e sulla bellezza. Al Teatro India di Roma per Teatri di Vetro 15
Wolfgang Amadeus, per tutti Mozart, è il genio e dal genio non si pretende altro che lo esprima, fuori da una logica, fuori in apparenza dalla sudata concretezza che per altri è un lavorio lento di acquisizione. E poi c’è Salieri, Antonio per le enciclopedie, che dalla storia è offerto come “l’altro”, colui che del genio è innamorato, al punto da volerlo quasi assimilare, come fosse un cibo, come potersene nutrire e diventare tale. E sullo sfondo appare l’Aleksandr Sergeevič Puškin di Piccoli atti drammatici, poeta che brama paradigmi, modelli esistenziali lugubri e luminosi al tempo stesso, autore implicato che non può eludere le tracce del suo Mozart e Salieri, ma offrirle può allo sguardo di chi ne cerca il solco, come accaduto ad Attilio Scarpellini, Silvia Garbuggino, Gaetano Ventriglia, creatori dell’omonimo spettacolo che al Teatro India di Roma ha raccolto frammenti dai Teatri di Vetro 15. E basterebbe appena raccontare, per dire, di essere tornati a casa con l’idea di riascoltare Mozart, di avvicinare anche Salieri, di incunearsi fino alle note impreviste, appena accennate, di Franz Joseph Haydn, gioire per averne ricordato un suono che non si sapeva di possedere, soltanto per il gusto di aver ballato, da fermi ad occhi chiusi, lungo qualche melodia.
Un rettangolo appare nell’estensione dello spazio, come un ring di luce (felice visione di Gianni Staropoli) si interseca al buio, senza che si possa dire se esista ancora o non più; lo spazio dunque si fa altro da sé, si fa luogo di racconto. L’armonia geometrica delle forme – linee rette in cui stanno parole ora lunghe, ora brevi, ora profonde, ora leggere – sembra richiamare note lungo un pentagramma; la chitarra elettrica iridescente di Gabrio Baldacci, suonata o pizzicata, con le dita o con l’archetto, campionata in loop station, percorre le melodie mozartiane e definisce un ambiente via via sempre più dissonante, sinistro sconcerto di una relazione che cerca un equilibrio senza raggiungerlo mai.
Al centro dello spazio si muovono Mozart e Salieri. Il primo sopravviene a piedi nudi e in abito angelico, come il cielo di un giorno sereno, sembra ospite di un discorso a cui è incapace di partecipare con malizia, pertanto la sua levità lo mostra senza volerlo superiore a ogni altro; il secondo, con il peso degli scarponi ai piedi e l’abito nero che richiama il più fosco buio, è un narratore interno che si libra sul crinale tra invidia e ammirazione, matura la consapevolezza che il genio non solo è inarrivabile, ma pone un limite che nessuno potrà raggiungere, quindi rende visibile, concretizza nello sguardo il confine tra la propria mediocrità e l’infinito.
Il Mozart di Silvia Garbuggino sembra sul palco come in sospensione, con i piedi nudi, con la leggerezza che è la stessa del tocco delle dita sulla seta, come sfiorasse quel particolare tessuto bianco e nero, i tasti di un pianoforte; il Salieri di Gaetano Ventriglia cerca la misura in ogni gesto, indugiando tra la propria e quella di una convenzione formale, muove le dita nell’aria a richiamare a sé la musica, come un rituale propiziatorio, cerca di afferrarla, forse rivendicarla verso di sé, verso il proprio cuore come atto di amore puro.
Se la storia, ma meglio una commistione tra la leggenda e il cinema (celebre l’Amadeus di Milos Forman), ci consegna l’idea di un Salieri uccisore della bellezza e, dunque, dell’inaccessibilità del genio, il testo di Puškin nella riduzione drammaturgica di Scarpellini rivela tutta la potente umanità che invece sembra più aderente al vero, perché non è ammissibile, in virtù del proprio amore, che Salieri abbia compiuto un gesto omicida; si può detestare il brutto e amare il bello, eppure nella coesistenza degli opposti è possibile anche il contrario: l’invidia è ciò che cambia il segno positivo in negativo, è proprio Mozart che ne intuisce il senso, indugiando in un pensiero che lo sfiora appena: «Genio e delitto sono incompatibili, vero?», ma esita una risposta Salieri, assicurando solo molto dopo che «Noi – probabilmente i molti che corteggiano la gloria dei pochi – siamo destinati a servire la bellezza», delineando così in un solo verso l’andatura del passo che segue, nell’impossibile tracciato del passo che precede.
Simone Nebbia
Dicembre 2021, Teatro India, Roma – Teatri di Vetro 15
MOZART E SALIERI
Puškin Suite
di Attilio Scarpellini – Silvia Garbuggino – Gaetano Ventriglia
dai testi di Aleksandr Sergeevič Puškin
con Silvia Garbuggino e Gaetano Ventriglia
drammaturgia Attilio Scarpellini
alla Danelectro baritono Gabrio Baldacci
musiche di W.A. Mozart
luci e spazio scenico Gianni Staropoli
costumi Francesca Lombardi
management e distribuzione Theatron 2.0
una co-produzione di Armunia Inequilibrio Festival – Pilar Ternera/NTC