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Democracy is theatre Between lands

In collaborazione con ERT, presentiamo la tappa finale del progetto sulla mobilità degli artisti Between Lands con la versione italiana della mise en espace Running for Democracy, composta da sette testi europei e diretta in questo caso dalla catalana Judith Pujol. Contenuto in media partnership.

Foto Stefano Triggiani

L’idea di democrazia, nella sua pluralità di forme e manifestazioni, è una questione fondativa dell’Occidente, dall’affermazione in epoca classica alle sue messe in crisi moderne e contemporanee. Tuttavia, la riflessione attorno a questi temi rischia di essere relegata in ambiti specialistici o accademici, senza una presa di coscienza di quanto effettivamente impatti sul nostro modo di vivere e di agire. Sicuramente ciò trova possibile spiegazione nella complessità dei discorsi, nei contesti diversificati di ciascun paese, nel grado di coinvolgimento effettivo di ciascuno e ciascuna di noi. Ma lo Stato è qualcosa di distante, che prende decisioni a prescindere dalla volontà dei cittadini e cittadine oppure, citando De Gregori, La storia siamo noi?

Foto Stefano Triggiani

Proprio per rispondere a questa necessità di avvicinamento, per mettere in luce attraverso atti concreti ciò che la democrazia possa o meno essere, è nato il progetto Running for Democracy, tappa finale del network europeo per la mobilità degli artisti Between Lands, composto da sette partner: Onassis Foundation Atene (Grecia), Teatro Nacional de Catalunya Barcellona (Spagna), KVS Bruxelles (Belgio), ERT / Teatro Nazionale (Italia), Teatro Nacional São João Porto (Portogallo), La Comédie – CDN de Reims (Francia), Teatro Calderón Valladolid (Spagna).

In questa fase conclusiva, i sette brevi testi a opera dei drammaturghi individuati dai partner sono diventati la base di partenza per sette mise en espace presentate nei sette paesi partner, alla cui direzione interviene ogni volta un regista differente. Nel caso della tappa italiana che verrà presentata il 21 dicembre presso l’Arena del Sole, il compito è toccato alla catalana Judith Pujol, che abbiamo intervistato per l’occasione. In relazione alle sette proposte racconta come «ciascuno abbia preso uno spazio di riflessione diverso, diversi concetti», declinati secondo una propria prospettiva. Questi testi, spiega, «indagano i buchi o gli spazi di pensiero riguardanti un’aspetto della democrazia che, calati nel nostro presente, non funzionano o devono essere ripensati, ciascuno si interroga e porta il proprio sguardo su temi quali l’esclusione, la gestione del potere, la capacità di scelta, le differenze economiche o razziali, il concetto di massa e i suoi comportamenti».

Foto Stefano Triggiani

Allora per esempio, l’opera greca, Democrazia oppure Un’amichevole serata democratica (Lena Kitsopoulou), cala il tema in un contesto quotidiano dove protagonisti sono «quattro amici intenti a litigare perché incapaci di mettersi d’accordo, per cui c’è chi è solo in grado di alzare la voce e chi invece vede l’affermarsi dell’opinione dell’altro come un darla vinta». Nell’opera della belga Rachida Lamrabet La democrazia non è uno stato, invece, l’emblema della democrazia europea per eccellenza, la sede del Parlamento a Bruxelles, diventa lo sfondo per un dialogo tra quattro ragazze immigrate incaricate di effettuare le pulizie e nel farlo si interrogano sul senso che abbia quel luogo a loro interdetto se non che nelle vesti del momento. Ma c’è anche spazio a una ricerca più intimista, come nel testo dello spagnolo José Manuel Mora, Democrazia. Cinque frammenti e un epilogo per un’opera breve, all’interno del quale vengono affrontate questioni identitarie, di genere, familiari, mentre la risposta catalana di Silvia Navarro Perramon, forte anche di un’attenzione molto alta a livello nazionale nei confronti della pedagogia, mette in campo Sette istruzioni per l’educazione dei pargoli (nel Secolo XXI). Si parla ancora di regole e consigli nel testo portoghese, Istruzioni di sopravvivenza, che Mickaël De Oliveira  caratterizza «con un taglio molto radicale a tal punto da proporre strade estreme come il bruciare musei, o scuole…». La Francia (nel testo di Charlotte Lagrange) invece decide di dare spazio alla declinazione legata alla questione migranti: «in un quartiere ad alto tasso di immigrazione, viene raccontata la giornata irreale di una ragazza che ha vissuto tutta la vita in quella Piazza spopolata (da qui il titolo) e che da un giorno all’altro è costretta ad andarsene, destreggiandosi tra sentimenti di rabbia, impotenza e senso di appartenenza». infine, Gente di Pier Lorenzo Pisano, a detta della regista è «un testo molto ritmico, centrato su una continua descrizione con una lista di cose assurde, contraddittorie che la società compie continuamente».

Foto Stefano Triggiani

Tra le ricchezze del progetto, secondo Pujol, vi è innanzi tutto la possibilità di «riflettere l’idea di democrazia anche da un punto di vista formale», facendo sì che l’autonomia di ciascun testo possa realizzarsi in una serie di creazioni che – diverse per ogni paese sia nella disposizione drammaturgica sia nelle soluzioni registiche e interpretative – abbiano però un accordo, una base comune di dialogo. «C’è qualche testo che ha una scrittura più post-drammatica, altri sono molto diretti, ciascuno richiede energie e tonalità interpretative molto diverse agli attori»: per mantenere fedeltà a questa polisemia, dunque rispettando l’autonomia tra i diversi testi, Pujol ne evidenzia sì le specificità distinguendo ciascun quadro con scelte coloristiche ben precise, ma allo stesso modo sottolinea un’idea di collettività dove tutti gli attori sono in scena. A legare ulteriormente questa composizione sfrutta l’idea dell’acqua presente in diversi momenti che può assumere tanto valori positivi o negativi, tanto oggetti scenici concreti: «l’atto di pulire può essere metafora del salvarsi tanto quanto la possibilità di essere invisibili, o di nascondersi». Ci racconta come, per esempio, per la mise en espace avvenuta in Spagna, Nicola Borghesi ha scelto di far precedere i sei testi dai frammenti dell’opera greca, per cui il litigio tra i quattro amici, diventa ogni volta l’occasione per introdurre o per commentare quanto avvenuto nel testo precedente.

Foto Stefano Triggiani

Ne emerge un «riflesso generale classista e razzista», che ancora presenta problematiche irrisolte nei confronti di classi economiche, sociali e identitarie ancora considerate “deboli”, problemi «che facciamo finta che non ci siano, pensando di avere tutto senza curarci degli altri». L’atteggiamento con il quale allora affrontano questi temi e che «tratto costante, è una certa ironia che a volte è anche pieno cinismo», che fanno il paio, pur nella diversità delle diverse nazioni coinvolte, con una forte «disillusione generalizzata», che a volte sfocia «nella sfiducia nei confronti dello stato», oppure ancora in un «atteggiamento volutamente oppositivo». Proprio lo strumento dell’ironia permette di capire e indagare le dinamiche scorrette ma senza incorrere nell’autocensura “perbenista” che non contempla più la possibilità di poter parlare anche attraverso provocazioni, di compiere, attraverso la catarsi, un processo di crescita e di svelamento che siano collettivi e, si spera, democratici.

Redazione

Teatro Arena del Sole, Bologna 21 dicembre 2021

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