HomeArticoliClaudio Tolcachir. L'edificio delle nostre fragilità

Claudio Tolcachir. L’edificio delle nostre fragilità

Recensione. Claudio Tolcachir torna in scena con Edificio 3, spaccato della solitudine relazionale del mondo di oggi. Al Piccolo Teatro Melato di Milano. 

Foto Masiar Pasquali

Ci sono artisti, un po’ come accade a certe piante di attecchire sorprendentemente fuori dalla propria origine, capaci di diventare per un territorio diverso da quello di nascita dei punti di riferimento, acclamati da un pubblico diffuso e che sembra fatto apposta per le proprie creazioni. È accaduto già da tempo a Claudio Tolcachir, drammaturgo e regista argentino, che in Italia ha trovato una vera e propria seconda patria, al punto da rimettere in scena testi già eseguiti con la propria compagnia – Timbre4, dall’indirizzo del teatro casalingo a Buenos Aires – ma con un cast di attori italiani, come nel caso di questo Edificio 3 che aveva debuttato nel 2008 (ricordiamo altre fortunate produzioni come Il caso della famiglia Coleman nel 2012 ed Emilia nel 2015), in scena ora nella Sala Melato del Piccolo Teatro di Milano.

L’edificio di cui si parla è un ufficio con tre impiegati – Moni, Sandra ed Ettore – teatro dei loro rapporti di ogni giorno, dove ha inizio l’azione: circondati da scaffali pieni di oggetti che probabilmente non servono più, così come la loro attività quotidiana, parlano di ordine e armadietti, di scrivanie e minuti di ritardo, come in ogni altro ufficio; ma l’edificio è nello stesso tempo anche la casa di una giovane coppia, Manuel e Sofìa, che parla d’amore, di prospettiva, di scelte. Condivise. Oppure no.

Foto Masiar Pasquali

Quando un neon intermittente avvia il dialogo, la narrazione delle due vicende si svolge per piani compresenti sulla scena, simultanei al punto che, come annota Lorenzo Donati in un saggio (Claudio Tolcachir. Il teatro per cambiare le cose) apparso nel programma di sala, viene meno “il principio stesso del dramma moderno, basato sull’andamento conflittuale del dialogo: i personaggi continuano a dialogare ma il contesto e lo sfondo sono confusi”. Eccoli, dunque, questi personaggi: Moni (Valentina Picello) è un po’ svampita e pettegola, vuole sapere tutto dei propri colleghi, che a sua volta vorrebbe sapessero dei suoi naufragi i quali, tuttavia, non sembrano suscitare un grande interesse; è agitata da qualcosa che la rende talvolta insopportabile, non sa tenersi a freno e finisce per fare tanta confusione. Sandra (Giorgia Senesi) è più discreta, cerca di evitare si parli di lei, della sua vita privata, ma non può farne a meno in certi momenti in cui la collega si fa insistente; vorrebbe avere figli ma, non essendo più così giovane, non sembra una via facile. Ettore (Rosario Lisma), pur molto adulto, ha perso appena la mamma, cui era legatissimo; mite e intimorito, dalla vita e dalle colleghe, non sa bene cosa fare in questa nuova condizione di una libertà che si è sempre negato, invecchiando più della propria età; cerca allora compagnia, qualcuno, se non da amare, almeno che gli faccia recuperare il tempo andato.
La vicenda dei ragazzi è invece composta per apparizioni; pur restando in scena durante la narrazione principale, in ombra rispetto ai dialoghi d’ufficio, dal silenzio del fuori campo il loro battibecco si accende per la discrepanza tra l’amore indissolubile di Sofìa (Stella Piccioni) e la continua fuga di Manuel (Emanuele Turetta), instabile e tenuto a forza in una relazione da cui non sa staccarsi e che pure non accetta.

Foto Masiar Pasquali

Nell’atmosfera asfissiante dell’ufficio, in cui sembra risuonare la parola di alcuni grandi autori sudamericani – dall’enigma di Julio Cortazar all’ironia scanzonata di Osvaldo Soriano, ma vive sono anche le strutture drammaturgiche di Daniel Veronese e Rafael Spregelburd – la situazione è tenuta su da un ritmo costantemente elevato, in cui possono emergere le virtù attoriali che danno vita ai tre personaggi, dentro i quali Picello, Lisma e Senesi sembrano perfettamente a loro agio, come se la parte fosse stata scritta, oggi, per la loro interpretazione. L’estremizzazione del grottesco si stempera nel dialogo serrato della coppia che, talvolta, compare a frammentare l’altra vicenda, anche se la loro presenza mantiene qualcosa di accessorio che non permette quasi mai, finché le vicende non confluiscono, di percepirle allo stesso livello di complessità.

Foto Masiar Pasquali

Tolcachir è drammaturgo che non concepisce la parola se non all’interno di un’azione capace di scombinare un equilibrio, colta proprio nel punto esatto di una trasformazione che va a rompere uno schema in apparenza irriducibile. Tanto è ciò che accade in Edificio 3, in cui i personaggi vengono presentati in una cristallizzazione di esperienze introverse, mai davvero condivise, fuori dai brevi scambi che in ufficio fanno il conto delle ore e della noia, ma che proprio in questo momento si trovano ad affrontare un cambiamento decisivo. Ne nasce un racconto divertente e divertito in forma di commedia, velocizzato dal gioco dell’imbarazzo e dell’equivoco, lieve e puntuto allo stesso tempo, dai dialoghi brillanti e isterici entro i quali tuttavia si annida un discorso radicato sulla solitudine o, meglio, sulle solitudini diverse che rendono ogni vita così fragile, in cui anche un piccolo mistero diventa un velo oscuro sulla personalità di ognuno, negata agli occhi altrui. Quando i personaggi discorrono sulla vita, sul senso dell’essere al mondo, lo fanno come se la vita non li riguardasse poi del tutto, così che i dialoghi falliscono in farneticazioni e si perdono in rivoli di senso fino a non giungere mai a conclusione. Come a dire che in fondo, la vita, è più o meno in questa nebulosa dispersione di desideri, di aspirazioni, di tutto ciò in cui misuriamo quel che resta dell’identità.

Simone Nebbia

Ottobre 2021, Milano, Piccolo Teatro Melato

Leggi altri articoli e  recensioni su Claudio Tolcachir

Altre date in calendario tournée

11/04/2023 – 12/04/2023 | Reggio Emilia (RE) | Ariosto

05/05/2023 – 07/05/2023 | Pordenone (PN) | Comunale Giuseppe Verdi

EDIFICIO 3
Storia di un intento assurdo
scritto e diretto da Claudio Tolcachir
traduzione Rosaria Ruffini
luci Claudio De Pace
costumi Giada Masi
con (in ordine alfabetico) Rosario Lisma, Stella Piccioni, Valentina Picello, Giorgia Senesi, Emanuele Turetta
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Carnezzeria srls, Timbre4
in collaborazione con Aldo Miguel Grompone

In collaborazione con Consulado General y Centro de Promoción de la República Argentina en Milán

Durata 90′ senza intervallo

Telegram

Iscriviti gratuitamente al nostro canale Telegram per ricevere articoli come questo

Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Pubblica i tuoi comunicati

Il tuo comunicato su Teatro e Critica e sui nostri social

ULTIMI ARTICOLI

Nell’architettura di vetro di Williams/Latella

Lo zoo di vetro di Tennessee Williams diretto da Antonio Latella per la produzione greca di di Technichoros e Teatro d’arte Technis. Visto al teatro...