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La natura delle idee. Il teatro, oltre la scena

In occasione del Tavolo delle idee organizzato da C.Re.S.Co. coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea, una discussione attorno alle poetiche e alle politiche con le artiste e gli artisti Teodoro Bonci Del Bene, Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi (AtelierSì), Francesca Pennini (CollettivO CineticO) e Marco Valerio Amico (gruppo nanou)

Foto di Redazione

Prendendoci del tempo, abbandoniamo per un attimo il fermento dei festival di fine estate, l’inizio di questa stagione che segna, speriamo, il ritorno tanto atteso alla partecipazione culturale, e torniamo indietro a due giornate nel mese di luglio a L’Arboreto Teatro Dimora di Mondaino. Coloro i quali lo conoscono già sapranno come il luogo consacrato alle residenze artistiche diretto da Fabio Biondi ha come principio costitutivo un «tempo generoso» dedicato allo studio e alle domande, al contrario, chi non ha avuto modo di conoscerlo, avrà la possibilità di tracciare una linea, se non altro di congiunzione progettuale, tra alcuni lavori che andranno in scena nei prossimi mesi i quali hanno avuto una fase di pensiero durante il primo appuntamento de Lo stato dell’arte, progetto di C.Re.S.Co.Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea – «che vuole far dialogare tra loro le voci più significative della creazione contemporanea italiana negli ambiti del teatro e della danza». Immersi nel verde di questo che è anche un Centro di Educazione Ambientale facente parte della rete Provinciale INFEA (Informazione formazione Educazione Ambientale), sono stati chiamati a partecipare le artiste e gli artisti Teodoro Bonci Del Bene, Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi (AtelierSì), Francesca Pennini (CollettivO CineticO) e Marco Valerio Amico (gruppo nanou) i cui ragionamenti sono stati sollecitati a dispiegarsi dalla testimone Laura Gemini e dall’osservazione partecipata di Fabio Biondi e Francesca Giuliani. Questo Tavolo delle idee strutturato dalla coordinatrice per C.Re.S.Co. Ester Tatangelo ha perseguito due obiettivi: un obiettivo poetico, dedicato alle modalità tramite cui si pensa un progetto figurandosi la sua declinazione scenica intesa non come finalizzazione del prodotto spettacolare ma come apertura allo sguardo altrui e all’esperienza della fruizione, e un obiettivo politico, per il quale discutere attorno alla dignità lavorativa e legale di lavori ancora in nuce.

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«Le nostre parole sono perturbazioni, matrioske di vuoti stropicciate nelle vite di un Paradiso temporaneo. Donne con la frangetta, uomini che guardano azzurro, sciamani cirillici, pachidermi centometristi, angeli in prestito che fanno amicizia con le ortiche. Una drammaturgia autostradale per firme senza padrone e per cannibali accidentali con calzini seriali e gonne senza mutande». Questo un estratto – surreale, autentico e dosato – delle parole chiave di un logòs che si espande dal fresco estivo della mattina, passa per l’afa del mezzodì, scivola nell’oro pomeridiano e si riposa nel buio della notte, quella senza le luci artificiali della città. Attorno a un tavolo, nei sentieri del bosco circostante, tra le tavolate del pranzo e della cena, le artiste e gli artisti gli artisti coinvolti sono stati capaci di rispondere alla domanda essenziale: cosa condividere? Perché alla base di questi momenti laterali e desituati rispetto alla scena, vissuti anche nell’esiguità del tempo e delle persone, la sfida sta proprio nel saper rispondere a un simile interrogativo, cercando di restituire a chi ascolta, a chi è solo di passaggio all’interno di una lunga durata creativa che non ha nulla di certo e non offre sicurezze, quello che Francesca Pennini, durante la restituzione al pubblico della seconda e ultima giornata, ha definito «lavoro sulla stagionatura con gli accidenti del reale».

«Confessioni nude» relative al progetto Manifesto Cannibale di CollettivO CineticO (in scena a Roma a novembre durante Romaeuropa Festival) che sono state registrate in una sequenza di note vocali poi condivise in un gruppo WhatsApp durante la stasi passata in macchina nel traffico per raggiungere Mondaino. Il gruppo li ha poi successivamente ascoltati camminando nei sentieri verdi attorno a L’Arboreto e trascendendo quel momento di studio in uno scambio sessile, con la natura, con le piante, i cui rami si impigliavano nei vestiti o intralciavano la camminata, e anche cannibale, la pelle reagiva alle piante, alle spore delle foglie, arrossendosi o irritandosi. Il permanere delle parole addosso, nella carne, scriverle su pagine che saranno poi cucite su di un lungo cappotto, è l’atto di riflessione creativa che ci hanno donato Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi quando hanno parlato del loro lavoro attorno alla poetessa Marina Cvetaeva, ancora sospeso nella «fase del dubbio» ma che ha condotto loro, e noi astanti, a una riflessione relativa all’«arte come sostegno esistenziale» che legava indissolubilmente la vita dell’autrice, fatta di stenti e povertà, alla pratica artistica.

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Siamo entrati poi nel Paradiso di gruppo nanou – di cui abbiamo fatto esperienza le scorse settimane in un’apertura romana allo Spazio Rossellini, in una dimensione accogliente, un tempo lunghissimo in cui si sono succedute molte visioni – per il quale si stratificano i concetti di luogo, tempo, rischio, alea, privilegio e comunità all’interno di una scrittura coreografica che prevede quindici assoli suddivisi in un sistema, che seppur variabile, rispetta la numerologia dantesca. Il progetto di gruppo nanou vuole infatti creare un luogo di riferimento, possibilmente alle Artificerie Almagià di Ravenna, in cui convergano i segni artistico visivi di Alfredo Pirri e quelli del musicista Bruno Dorella, fruibile sia come dispositivo musicale che come dispositivo di visione, all’interno del quale sperimentare la durata di un’arte conviviale, non esportabile, stabile in un posto dove si può parlare e mangiare. Di natura politica è il testo dell’autore russo Ivan Vyrypaev, censurato in patria, che indaga la relazione tra regimi totalitari e emissioni di CO2, di cui Teodoro Bonci del Bene ci ha dato una restituzione performativa leggendolo ad alta voce, interrogando lo spettatore e attivandolo affinché decida o meno di premere un pulsante rosso: «E poiché la maggior parte degli abitanti del pianeta si trova ad un livello di sviluppo piuttosto basso e questo sviluppo è molto lento, non c’è più tempo per salvare il pianeta. Dobbiamo capire che l’omofobia, il nazionalismo, il razzismo, il sessismo, influiscono direttamente sul problema dell’anidride carbonica nell’aria».

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Tale generosità di cura e protezione vissuta in questa due giorni ha permesso che con la dovuta attenzione e tranquillità, gli artisti e le artiste facessero emergere delle questioni politiche nodali, sostenenti e trainanti le pratiche artistiche. «Il teatro è diventato un luogo inospitale adesso, ci hanno buttato fuori dai luoghi e tutto si è reso distante». Non passa inosservata questa affermazione, sofferta, di Marco Valerio Amico alla quale si uniscono anche i dubbi espressi da Francesca Pennini riguardo a «Cosa significa debuttare con un lavoro che è rimasto in un tempo sospeso? Cosa significa raccontarlo, farlo vivere, confessarlo? Quale il senso, il problema, il valore della verità in teatro?» Si fa largo allora, e non potremmo non accorgercene, un’urgenza strutturale, una spinta verso un cambiamento delle normative dedicate allo spettacolo dal vivo, alla stanzialità dei progetti in senso opposto e contrario alle logiche bulimiche di produzione e distribuzione. Gli autori e le autrici intervenuti stanno proprio in queste settimane intentando soluzioni per la sopravvivenza di queste idee, di traduzione di pensieri che dalla teoria aspettano di passare alla pratica. Che questo Tavolo delle idee possa trovare quindi, nei prossimi mesi, una sponda di concretezza pratica e politica, di confronto fattivo e di lavoro congiunto in prospettiva di stimoli e istanze imprevedibili ma contingenti, per poter uscire dalla solitudine appartata ma preziosa di queste due giornate e potersi consegnare a quei “lettori ideali”, destinatari delle opere e della ricchezza autentica di una fase della creazione artistica che può e deve essere foriera di nuove energiche rivoluzioni.

Lucia Medri

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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