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Francesca Corona: «È necessario un ripensamento radicale delle categorie che governano il nostro lavoro»

Teatro di Roma: ancora in attesa di nuovi aggiornamenti riguardo la nomina della futura, e urgente, direzione; abbiamo dialogato con Francesca Corona, attuale consulente artistica per il Teatro India, da poco nominata Direttrice artistica del Festival d’Automne di Parigi. Intervista

È di pochi giorni fa la notizia della tua nomina come direttrice del Festival d’Automne e di quella di Tiago Rodrigues alla direzione del Festival d’Avignone. In Francia stanno puntando su una nuova generazione?

Due notizie emozionanti e importanti, e la sincronicità delle nostre due nomine regala l’occasione di riflettere non solo sul riconoscimento di due percorsi individuali, ma anche su un valore e un’indicazione generazionale, oltre a un elemento – che credo vada raccolto – che entrambi non siamo francesi ed entrambi proveniamo dal Sud dell’Europa. Un artista portoghese e una curatrice italiana vengono accolti in Francia, nazione tra le più centrali in Europa nell’identificazione di nuove strade dal punto di vista artistico e curatoriale, cardine nella geografia artistica europea e non solo. Non me lo aspettavo, sono sincera, ed è una svolta che mi emoziona. Tiago Rodrigues è un artista che amo molto e a cui sono legata da tempo, il suo lavoro è stato presentato in Italia proprio a Short Theatre nel 2016 ed in quel momento non potevamo di certo immaginare che potesse diventare il direttore del Festival di Avignone. Ci siamo sentiti e scritti, ed è davvero molto importante per entrambi ritrovarci in questo nuovo inizio.

Tiago Rodrigues By Heart. Foto C. Farina

Che aria pensi stia tirando in Francia in questo momento di passaggio?

Non posso ancora dirlo perché tutto questo lo sto guardando da qui, dall’Italia, non vedo l’ora di sentirne l’eco quando tutto ciò si incarnerà nelle pratiche e nelle relazioni con le persone con le quali lavorerò. Quello che posso però constatare è che sono state due notizie accolte con entusiasmo e generosità: un’ondata di desiderio, sorpresa e curiosità. La coincidenza di queste due nomine dà anche modo di riconoscere un movimento, un modo di fare teatro e l’idea di mondo che lo contraddistingue. A riconferma che poco si fa da sole/i e che ogni percorso è un fitto tessuto di realtà, artiste/i, colleghe/i, che operano in una determinata direzione.

Dopo anni di lavoro a Marsiglia, potremmo quasi dire che si tratta di un ritorno, nonostante tu non abbia mai interrotto il legame con la scena francese…

Assolutamente, ma dipende anche da che lato lo si guarda. Per me è stato un ritorno anche quello in Italia, quando due anni e mezzo fa sono stata chiamata al Teatro di Roma. Forse quindi non proprio un ritorno, quanto più “un continuo rimbalzo” tra questi paesi iniziato da quando ero studentessa. Sento quindi qualcosa di estremamente naturale nel passaggio tra questi due “miei” paesi, nonostante ritorni ora in un contesto di assoluta straordinarietà, per un progetto molto ambizioso e inaspettato. Quando mi sono trasferita a Marsiglia nel 2013 ero partita senza una prospettiva di vita chiara, poi definitasi col tempo. Questa volta è un altro tipo di trasferimento, dai confini più definiti e con bel altre responsabilità.

Panorama Roma. Short Theatre 2017

A proposito di responsabilità, e di scelte conseguenti, sia per Short Theatre che per il Teatro India hai sempre rischiato pur di proporre una tua visione di teatro. Hai idea di come potrebbe essere la scena del futuro?

È molto difficile rispondere a questa domanda. Sicuramente rispetto a quello che dici, le esperienze dedicate al festival Short Theatre e al Teatro India non sono mai state traiettorie singole e personali, ma immaginate e vissute insieme a un gruppo di persone. Si tratta di un approccio artistico, politico e esistenziale. Short Theatre è stato fondato da Fabrizio Arcuri, è diventato poi una nostra co-direzione; il mio lavoro al Teatro India nasce dal dialogo con Giorgio Barberio Corsetti e in entrambi i luoghi si sostanzia nella relazione con una moltitudine di persone, dallo staff, al tessuto associativo, agli/alle artisti/e che ne hanno ogni volta immaginato la loro presenza.

Questa introduzione è parte della risposta alla tua domanda, i movimenti artistici che più mi coinvolgono sono progetti che hanno una tessitura legata alla collettività relazionale, al reale, alla politica e alla società, non solo nell’oggetto ma proprio per come l’arte si costruisce, non per forza nel cosa dell’oggetto artistico ma nel come. Cosa può il teatro? Come un progetto artistico può incidere nella creazione di immaginari, nel concretizzare relazione inedite, nell’aprire e affinare lo sguardo? Come permette l’emersione di rimandi, relazioni, sponde tra lotte politiche e performative?

Rispetto a ciò che dici, sono infatti molte le proposte internazionali riguardanti performance che fanno emergere sempre più tematiche politiche legate all’immaginario queer. Per questo, in che modalità gli studi di genere hanno dimostrato di porsi in dialogo con le arti performative, influenzandole? Penso anche all’azione portata avanti dall’Università IUAV di Venezia…

Questo legame rinnovato con il mondo accademico è una festa, per me e per le generazioni presenti e future di artisti. Questo dialogo costruisce finalmente degli strumenti di analisi adeguati per il mondo artistico di oggi, e non credo si tratti tanto di influenza sulle direzioni quanto piuttosto della capacità di darne una lettura adeguata senza porsi come commento all’oggetto artistico ma entrandoci in dialogo, moltiplicando le possibilità di inserirlo in un contesto largo, sfrangiato, panoramico. Una relazione in cui prospettive e sguardi diversi possono stare insieme e rinforzarsi. L’alleanza con l’accademia è inoltre fondamentale anche ai fini di un racconto accurato della geografia dello spettacolo dal vivo, della storicizzazione di quello che sta accadendo, tenendo il filo del discorso acceso e vivo, con il prima e con il dopo.

short theatre 11
HM/HOUSE MUSIC di Strasse | Foto Claudia Pajewski

L’approccio curatoriale alla pratica artistica come sta cambiando e che tipo di rinnovamento normativo dovrebbero attuare le istituzioni per sostenerlo?

Quando si parla di normativa e spettacolo dal vivo si spalanca un osservatorio su problematiche profonde e inestricabili, chi lavora nel nostro settore lo sa molto bene, lo sa sulla propria pelle, sulla propria vita, sui suoi contratti e prospettive. È una questione relativa al riconoscimento del lavoro, a iniziare dal nome che diamo alle cose, alla loro definizione. In questo momento c’è una grande separazione tra le vite professionali, al di là del ruolo che si ricopre, e la normativa che dovrebbe regolarle e tutelarle. Manca la capacità di riconoscerle e saperle leggere, quindi lo sforzo che spesso si deve fare è quello di raccontarsi diversamente per poter essere aderenti a delle normative che non conoscono le maglie di questo settore. Credo sia davvero necessario un ripensamento radicale delle categorie che governano il nostro lavoro, non per minori obblighi, ma per provare a normare il lavoro artistico per quello che è, dandone una lettura del reale, riconoscendo e accettando tutte le sue manifestazioni. Questo farebbe sì che le istituzioni con le quali ci interfacciamo e all’interno delle quali lavoriamo, siano davvero delle istituzioni del futuro, che possano quindi accompagnare i percorsi, far fiorire le esperienze e far convivere nel modo più adeguato possibile tutti i grandi ed eterogenei obiettivi per i quali lavorano.

Veniamo proprio alla tua esperienza istituzionale all’interno del Teatro di Roma: cosa vuoi lasciare al prossimo/a consulente per il Teatro India e cosa auspichi per il teatro di questa città?

Innanzitutto mi auguro vivamente che ci sarà un prossimo o una prossima consulente per il Teatro India. La chiamata alla quale ho risposto quasi tre anni fa è derivata dalla necessità che ci fosse uno o più soggetti dedicati a questo spazio che merita un pensiero specifico, accurato nei dettagli per un oggetto così multiforme. Questa è la mia prima speranza.

Ci sono del resto molti modi per interpretare quello spazio, io ho proposto la mia interpretazione della funzione del Teatro India, portandola avanti con la complicità di Giorgio Barberio Corsetti, dello staff del Teatro di Roma e della comunità vasta e multiforme che lo ha attraversato. Spero che, al di là di ogni possibile interpretazione di quel luogo, ci sia sempre il riconoscimento della sua identità e che ci si preoccupi della sua funzione. È un luogo dedicato alla ricerca nel senso più ampio del termine, alla coabitazione di forme diverse, e in questo occupa una funzione imprescindibile nel panorama più ampio del Teatro di Roma e della nostra città. Ha un’architettura che si presta ad essere modulata, attraversata in modo molteplice, accanto al fiume che scorre, all’interno di un’ex zona industriale. Tutte queste caratteristiche non sono elementi romantici ma indicano una strada, richiamano a delle responsabilità, ad una funzione che non può essere sacrificabile.

Il Teatro India spero sarà sempre più spalancato, sempre più sensibile agli/alle artisti/e che lo attraverseranno, sempre più accessibile al pubblico.

Una sala del Teatro India, foto www.teatrodiroma.net

Decisamente un augurio condiviso. E a tal proposito, speriamo anche che arrivi in tempi brevi dal Teatro di Roma una comunicazione riguardante proprio questo prossimo futuro. Tu hai vissuto direttamente i giorni lunghissimi dello sciopero, uno stallo – quello del mese di giugno – che ha tenuto, come definito in un altro nostro articolo, letteralmente in ostaggio il teatro. Dal comunicato del TdR del 30 giugno si parla di un tavolo tra Libersind e il presidente Bevilacqua ma a essere sinceri non si capisce molto cosa sia successo, soprattutto non sono chiari i motivi che hanno portato alla fine dello sciopero.

Le settimane di sciopero sono state durissime per tutti/e e ancora tutta la lunga sequenza di annullamenti brucia su questa stagione estiva parzialmente mancata al Teatro India. Naturalmente non ero presente all’incontro che citi, quello che so è che oltre a questo, ci sono stati ulteriori step di confronto e che il risultato di questo confronto è stata la sospensione dello stato di agitazione.

Se volessimo allora tracciare un ponte tra la situazione attuale del Teatro di Roma e la tua nomina al Festival d’Automne, ti chiederei quali, e se ci saranno, i margini di continuità col tuo operato svolto e quello già pianificato per la prossima stagione…

La stagione 2021/2022 del Teatro di Roma sarà presentata a settembre al pubblico, ed è una stagione progettata e disegnata da Giorgio Barberio Corsetti e da me per il Teatro India fino a giugno 2022. Il mio incarico a Roma terminerà alla fine del 2021, l’autunno sarà quindi il periodo di passaggio tra il Teatro di Roma e il Festival d’Automne, dei mesi dedicati ad avviare la stagione – la mia terza e ultima – ad accompagnare da vicino la strutturazione di alcuni progetti, a lavorare con tutto lo staff del teatro per rafforzare quanto abbiamo progettato ed immaginato fino all’estate del 2022, a stratificare le esperienze e consolidare il più possibile non solo il programma, ma anche un modo di accompagnarlo e presentarlo alla città.

Lucia Medri, Simone Nebbia, Andrea Pocosgnich, Viviana Raciti

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