Il comunicato del Teatro di Sardegna con cui viene commentato il bando comunale per la gestione del Teatro Massimo di Cagliari.
Riceviamo e pubblichiamo il comunicato stampa di Sardegna Teatro relativo alla conferenza stampa tenutasi il 5 agosto. Nel comunicato il Teatro di rilevante interesse culturale spiega cosa sta accadendo: il Teatro Massimo di Cagliari, di prorietà del comune, viene messo a bando, ma il bando stesso evidenzia una serie di problematiche, il Teatro di Sardegna decide così di non partecipare, “Il bando mostra subito difetti formali e soprattutto di trasparenza molto gravi.”
LA SCHIVATA
Giovedì 5 agosto, ore 11 Teatro Massimo conferenza stampa straordinaria
La prima constatazione che vogliamo condividere si riferisce al percorso per definire il bando per la gestione biennale del Teatro Massimo (2022/2023). Non siamo stati coinvolti in alcun modo e gli stessi documenti evitano qualsiasi riferimento all’attuale gestione più che decennale del teatro. La delibera 77/2021 della giunta comunale – che detta le linee di indirizzo della gara – riduce l’esperienza attuale a questo passaggio: “stante l’imminente scadenza del precedente appalto di concessione del Teatro”.
Auspicavamo un percorso più attento, con audizione della Commissione Cultura, approfondimenti tecnici con i nostri responsabili dei vari settori, perché la complessità del Teatro Massimo non può essere conosciuta se non attraverso più incontri, acquisendo un sapere che è collettivo.
Il capitolato della gara precedente, elaborato con cura e pazienza, suggeriva un percorso più attento e con tempi più lunghi: art. 4 “[…] il procedimento di gara per l’individuazione del nuovo concessionario sarà avviato dall’amministrazione Comunale almeno 18 mesi prima della scadenza del termine di affidamento […] (Ndr, dicembre 2019)”.
Abbiamo avuto alcuni incontri aperti con il Sindaco e il presidente del Consiglio Comunale, ma è chiaro che le scelte erano già state prese e il bando ormai redatto.
Abbiamo sentito tutto il disinteresse verso il Teatro di Sardegna, principale impresa privata culturale dell’isola. Sembra non esserci alcun timore di perdere in questa città la nostra presenza, in totale controtendenza rispetto al Ministero della Cultura – che ci considera il principale interlocutore regionale – attraverso riconoscimenti costanti: proprio in questi giorni è stata pubblicata la graduatoria delle azioni trasversali/tournèe estero e il Teatro di Sardegna è beneficiario di ben 3 contributi su un totale di 21 azioni nazionali.
La stessa Regione Autonoma della Sardegna sta accompagnando il Teatro di Sardegna verso un complesso percorso che potrebbe trasformarlo nei prossimi anni in un Teatro Nazionale; aspetto totalmente ignorato dal Comune di Cagliari.
Sul Teatro Massimo sentiamo anche la necessità di evidenziare come sia oggi, a Cagliari, l’unico teatro di proprietà comunale non chiuso, che nel 2019 – pre-Covid – ha avuto più di 900 aperture con iniziative di ogni tipo accessibili al pubblico. La gestione del Teatro di Sardegna del Massimo non ha temuto di lavorare in eccesso, offrendo così gli spazi alle associazioni, ai festival, alle presentazioni di libri, alle lezioni di storia, incontri di filosofia, proiezioni cinematografiche, casting per attori, convegni, laboratori, workshop e moltissimo altro che ha contribuito a delineare l’identità del Teatro Massimo come quella di polo culturale della città.
Questo è reso possibile anche dal riconoscimento da parte del Ministero della Cultura, avvenuto nel 2015 e confermato nel 2019, del Teatro di Sardegna come unico Teatro di Rilevante Interesse Culturale della Sardegna, completando la trasformazione da compagnia teatrale a istituzione produttiva nazionale.
Questo bando non soltanto non riconosce questa eredità, ma sembra finalizzato a cancellarla.
Perché non abbiamo partecipato?
Abbiamo ovviamente valutato la possibilità di candidarci, basandoci su un’analisi attenta del bando che presenta non pochi errori e criticità.
Abbiamo anche provato a chiedere chiarimenti per i quali abbiamo solo avuto comunicazione informale che la richiesta era stata inviata oltre la scadenza del 24 luglio e quindi fuori tempo consentito. A oggi non siamo ancora riusciti a trovare nei documenti del bando questa data di scadenza. Di contro, ci ha meravigliato che non sia stato inserito un limite di data per il sopralluogo obbligatorio, ma forse anche qui la scadenza è di difficile reperimento
Subito abbiamo notato diversi errori marchiani: la schermata di sintesi riporta una base d’asta di un euro mentre i documenti interni la alzano a 5mila euro. Ma anche: per uno scherzo del copia/incolla in un documento si faceva riferimento all’ex Vetreria di Pirri!
Il più assurdo di tutti, che suggerisce
Però nei documenti allegati alla gara relativi alla stagione del concessionario, compare la stagione del circuito privato Cedac. Rinvenuto questo primo errore il 20 luglio la stessa stagione Cedac viene proposta come stagione di un partner del concessionario Teatro di Sardegna, che la avrebbe approvata.
Noi non approviamo le stagioni Cedac!
Se l’amministrazione vuole tutelare il circuito privato si assuma la responsabilità con un atto pubblico, azione che rientra nei suoi poteri.
Oppure sarebbe stato sufficiente fare riferimento al capitolato che regola la gestione attuale, sempre art. 4: “[…] è facoltà del concedente prorogare la concessione nelle more della procedura di gara per l’individuazione del nuovo concessionario […] comunque consentendo al concessionario di portare a compimento la propria stagione teatrale […]”.
Ad ogni modo – anche prescindendo da questo articolo – le indicazioni statali, che garantiscono ampia elasticità delle scelte delle società appaltanti, avrebbero legittimato al concessionario un proroga di 12 mesi, invece di 6. Come è accaduto in questi anni di gestione del Teatro di Sardegna, la stagione del circuito Cedac avrebbe avuto il suo normale svolgimento al Teatro Massimo.
Il bando mostra subito difetti formali e soprattutto di trasparenza molto gravi.
La gestione del bar non viene contemplata in questa gara, ma farà parte di una successiva. Tuttavia al Teatro Massimo, il bar condivide spazi vitali del teatro: il retro, gli impianti elettrici e non solo. Nella fattispecie, il bar abita gli spazi per garantire il deflusso del pubblico. Quali costi e responsabilità ricadono sul bar e quali sul gestore del Teatro?
La sventurata ipotesi che sia necessario condurre il pubblico verso un’uscita di emergenza porrebbe delle criticità che metterebbero a rischio le sicurezza del posto e delle persone.
Ci sono diverse possibili soluzioni ma, non essendo ancora uscito il bando per la gestione del bar, resta tutto un’incognita.
Sarebbe stato sufficiente un sopralluogo con i Vigili del Fuoco per capire la scelta assurda di separare le gestioni.
E ancora, nella gara non viene messa in evidenza l’assenza di agibilità definitiva del Teatro Massimo, mancanza che costringe a prescrizioni stringenti circa la quantità di personale da impiegare durante gli spettacoli.
Non è chiaro se altre attività presenti in teatro (es. Il bookshop) possano continuare a esistere, visto il divieto di subappalti.
Il bando fa riferimento alla dotazione del Teatro Massimo di attrezzature tecniche esistenti in grado di garantire grandi spettacoli, tuttavia chiunque – a seguito di rapida verifica – potrebbe facilmente intuire che il materiale è utile nella migliore delle ipotesi per un reading.
Non vengono comunicati costi di utenze e tasse – ormai storicizzati – che avrebbero aiutato a elaborare un piano economico.
L’utilizzo gratuito a favore del Comune di 30 giornate non distingue tra le sale i cui costi diretti sono ben diversi (presenza o meno dei vigili del fuoco, ad esempio).
Altresì, non è esplicitato che i prezzi di affitto a terzi possano essere vincolati dalla determina del consiglio comunale, che stabilisce tutte le tariffe di utilizzo degli spazi pubblici.
Sarebbe stato importante indicare le strategie del Comune in direzione di una sostituzione degli impianti ormai obsoleti (quelli termici in particolare) e un piano di efficientamento energetico.
Né alcuna indicazione sull’agibilità definitiva del Teatro.
Nulla di tutto ciò.
Il Teatro di Sardegna ha provato a elaborare un piano economico finanziario per verificare l’eventuale possibilità della partecipazione alla gara, immaginando delle stime sui dati mancanti.
Questo vulnus nelle
Inoltre, il bando presenta di fatto – oltre agli aspetti tecnici evidenziati – chiare indicazioni di politica culturale, laddove la cultura è intesa come mainstream che genera utili e che viene valutata in virtù di meri criteri quantitativi.
Un bando che pesa l’azione culturale in termini solo di profitto tradisce il ruolo della politica nei territori.
Presentato come bando sperimentale, a nostro avviso non ha nulla per essere definito tale. Ha paletti e recinto ben definiti.
La prima scelta: non più un bando con un progetto elaborato, selezionato con la proposta economicamente più vantaggiosa, bensì un bando a massimo rialzo, quasi fosse un appalto per asfaltare una strada. Viene chiarito meglio dall’art.1 che indica nella principale finalità quella del “trattenimento” ossia la “riunione di più persone a scopo di piacevole passatempo” [v. Treccani] e dall’art.14: “è fatto divieto di sublocazione della struttura. È fatta salva la possibilità di concedere, saltuariamente e non in via prevalente, l’utilizzo delle singole aree di spettacolo dietro pagamento di un corrispettivo, a chi ne faccia richiesta per la realizzazione di pubblici spettacoli”.
Viene totalmente formalmente eliminata la natura di teatro come produttore di spettacoli e contenuti artistici, nonché di teatro aperto, crocevia della città che è stata al centro del precedente bando.
Si staglia in evidenza il profilo del recinto: il concessionario organizza suoi eventi di “trattenimento” e saltuariamente può affittarlo a altri organizzatori di spettacoli.
Abbiamo provato a applicare questo bando alla gestione passata: non avremmo mai potuto produrre il Macbettu, L’Avvoltoio (
Ci siamo dunque trovati di fronte a un bivio: da un lato la possibilità di candidarci a gestire una quantità di spettacoli di “trattenimento”, rinunciando
Abbiamo scelto di rischiare di essere nomadi, ma di non rinunciare a produrre quel Teatro d’Arte capace di rappresentare la Sardegna in tutto il mondo.
Questa è l’unica scelta possibile per non tradire ciò che siamo.
Cosa chiediamo al Comune?
L’Ente può a suo insindacabile giudizio non dar luogo alla gara in qualsiasi momento.
Noi stessi siamo stati coinvolti in una scelta analoga come conseguenza di un primo atto dell’attuale maggioranza, appena insediata, nei confronti di una gara di cui eravamo partner.
Crediamo sia un atto dovuto in ragione di un criterio di rigore delle istituzioni, che continuiamo a difendere.
Crediamo possa essere un atto di correttezza politica nei confronti della nuova Assessora che ha già dimostrato di essere competente e attenta all’ecosistema culturale della città.
Infine ridarebbe alla Commissione Cultura un ruolo centrale che non ha certo avuto nei mesi passati in questo contesto, nonché l’opportunità di recuperare un tempo per il confronto, ripensare e infine redigere un bando ex novo.
In alternativa, chiediamo di poterci confrontare per individuare un percorso alternativo, lontano dal Teatro Massimo, che possa garantire a Cagliari la presenza del Teatro di Sardegna, sempre nel rispetto di procedure trasparenti come dovrebbero essere le gare ben redatte.
Chiediamo infine – anche esortando l’attenzione del Sindacato – di prestare la massima cura e tutela ai sette lavoratori legati al Teatro Massimo che rischiano di non avere più un lavoro e a cui la semplice clausola sociale non può dare serenità.
In questo periodo ricco delle complessità impreviste e imprevedibile dettate dall’emergenza del Covid -19 il Teatro di Sardegna ha mantenuto i medesimi livelli occupazionali, nonostante anche il pesante ritardo da parte del Comune di Cagliari nell’erogazione degli importi dovuti, attualmente attestati a 17 mesi di ritardo.
Perché abbiamo citato La Schivata nella promozione della conferenza stampa?
La schivata, film di Abdel Kechiche del 2003, rappresenta i desideri, i sogni, i giochi – anche realizzati attraverso il teatro – di due ragazzini di una banlieu parigina repressi da una violenza istituzionale, coercitiva, inaspettata e verticale.