banner Veleia Teatro Festival 24
banner NidPlatform 2024
banner Veleia Teatro Festival 24
banner Veleia Teatro Festival 24
banner NidPlatform 2024
HomeArticoliLo spettatore abita i luoghi di Campsirago. Complice il bosco

Lo spettatore abita i luoghi di Campsirago. Complice il bosco

Al Giardino delle Esperidi, festival di Campsirago Residenza diretto da Michele Losi, l’occasione per immergersi in un teatro tra i boschi e per riflettere sulla propria presenza all’interno di un paesaggio.

Foto Alvise Alessandro Crovato

L’edizione 2021 de Il Giardino delle Esperidi è stata caratterizzata da una forte eterogeneità degli eventi presentati, tutti accomunati dal tentativo di una riunione rinnovata tra teatro e luoghi, tra pubblico e teatro. Tra 26 e 27 giugno sono andati in scena quattro tra debutti e anteprime nazionali: Ladies Bodies Show di Quieora Residenza Teatrale, con la regia di Silvia Gribaudi e la collaborazione di Marta Dalla Via; Amleto, una questione personale produzione Campsirago Residenza con gli studenti del corso di formazione professionale sul teatro immersivo, Il Gatto con gli Stivali di Riserva Canini e Robot del cileno David Zuazola.

Un approccio completamente differente quello di quest’anno rispetto al 2020, mi spiega il direttore del Festival Michele Losi: «L’anno scorso l’obbiettivo è stato quello di portare gli artisti a credere che si sarebbe potuto fare ancora spettacolo dal vivo durante l’estate. Quest’anno abbiamo avuto tanti artisti in residenza, abbiamo riservato una cura diversa al tempo di produzione; un tempo più ampio e più fecondo, durante il quale gli artisti si sono resi disponibili a fare ricerca e sperimentazione. Abbiamo strutturato le residenze in modo che, oltre le prove, potessero comprendere un vivere qui più completo. Abbiamo svolto un importante lavoro di relazione, di tessiture, di scambi, di incontri che, in un mondo fermo che negava al teatro e alle arti la possibilità di esprimersi, ha reso Campsirago un luogo dove poter continuare a creare, a lavorare, a riflettere».

Foto Alvise Alessandro Crovato

Al di là dei singoli spettacoli, quello che spicca a Campsirago è il tentativo di proporre un’esperienza densa e stratificata, lunga tutto un giorno, che permetta allo spettatore – così come agli artisti coinvolti – di farsi, anche se per poco, abitante del luogo che lo ospita, con attività diffuse nell’area della Residenza, negli spazi ora più ampi ora più intimi del teatro. Tra uno spettacolo e l’altro, infatti, il programma propone installazioni-concerti, concerti-spettacolo, percorsi immersivi e multimediali nel bosco, silent disco. Un fermento costante anima la residenza, con spettacoli in contemporanea, camminate, spettacoli-chiacchierata per pochi spettatori alla volta come il Cosa bolle in pentola? Ricette per il futuro, sempre di Quieora: «Un’altra cosa che per me era importante accentuare quest’anno era quella di far divertire il pubblico. Ho cercato di immaginare un andamento in cui il pubblico potesse godersi un’intera giornata e nottata di spettacoli. Ha funzionato, infatti le persone si fermavano per tre o quattro eventi ogni giorno e si continuava alla sera, fino a tardi».

Un’attenzione particolare viene riservata, appunto, al Giardino: con Vivarium, percorso di realtà aumentata nella natura, lo spettatore affronta in solitaria una passeggiata di circa un’ora nel bosco alla volta dell’eremo di San Genesio. Lungo il percorso lo Shimenawa, elemento in corde di riso e carta, segnala le “aree sacre”. Qui, tramite un’applicazione apposita, lo spettatore può accedere al contenuto multimediale, costituito da audio e grafiche in realtà aumentata, che ha il compito di espandere l’esperienza di viaggio. Un percorso nella natura mediato dallo strumento digitale: un esperimento affascinante, che ancora richiede uno studio specifico e di particolare sensibilità, poiché l’interazione tra natura e mezzo digitale è un terreno impervio, in cui facilmente l’elemento tecnologico – nella sua innovazione e nel suo aspetto più sensazionale – rischia di sovrastare la qualità più silenziosa e calma, ricca di piccoli dettagli, del contesto naturale.

Foto Alvise Alessandro Crovato

Amleto, una questione personale, prodotto da Campsirago Residenza con gli studenti del corso di alta formazione di teatro nel paesaggio, parte dall’esperienza di Hamlet Private, spettacolo per un attore e uno spettatore, per rivisitare il testo di Shakespeare vivisezionandolo, disperdendolo in scene e apparizioni: un viaggio a tappe nel pensiero del protagonista, accompagnati dalla sua voce, dalle sue voci che esprimono tutta la contraddizione, la paura, il dubbio. Il pubblico viene accolto al banchetto per le nozze di Claudio e Gertrude: due alti troni si stagliano contro il sole che inizia a tramontare. Finita la festa, ancora sbronzi e inebriati da danze, canti e urla, gli spettatori ricevono ognuno una cuffia e vengono divisi in tre gruppi. I tre gruppi si avviano seguendo ognuno una guida silenziosa, che solo con i gesti delle mani indica le azioni da svolgere: indossare le cuffie e toglierle, procedere, fermarsi. Inizia qui il viaggio nella storia di Amleto: lungo il percorso che si addentra nel bosco, gli spettatori incontrano brandelli di storia: petali di rosa, abiti strappati, cartelli. In lontananza figure danzanti si confondono alle fronde degli alberi, urla e canti interferiscono talvolta con il monologo che Amleto, nelle orecchie degli spettatori, non si stanca di condurre. I tre gruppi seguono percorsi differenti: dell’amore, della follia e del dubbio. A volte due carovane si incrociano sul sentiero, si scambiano sguardi rapidi e curiosi, per poi procedere ognuno per la propria strada, mentre Amleto nelle cuffie parla dell’orizzonte, delle scelte da prendere, e il bosco gli fa da sottofondo. Nel bosco si ritrovano brandelli di testo shakespeariano, pensieri sparsi, riscritture. I tre gruppi si riuniscono soltanto a metà del percorso: un terreno scosceso che va a nascondersi tra gli alberi e le canne di bambù. Un becchino, che era e sarà Amleto, che è una mano nascosta dietro un telo che raccoglie e reclama ogni cosa, fa buchi nella terra, impreca, scava. Riempie e scava ancora prima di diventare in due: Busillis! Gridano i due becchini e fanno buchi, e non è l’uomo ad andare all’acqua ma è il contrario. È il funerale di Ofelia: tutti gli spettatori sono ora convocati, accovacciati sulla terra scoscesa e assistono alla seconda morte di Ofelia, mummificata, conservata dall’acqua. A suggellare l’addio, i petali di rosa che avevano tracciato il sentiero degli spettatori.

Foto Alvise Alessandro Crovato

Le Esperidi, secondo la mitologia greca, erano ninfe custodi di oggetti magici e preziosi, le mele d’oro di Era, ad esempio, nell’estremo Occidente del mondo, là dove scende la sera. Per questo venivano associate, spesso, ai colori del tramonto. E, complice, forse, il bosco, forse il crepuscolo, Amleto ci riporta alla mente qualcosa di nascosto, profondo, da indagare con rispetto e lasciare in un luogo sicuro. Indago con Michele Losi le prospettive e le possibilità di uno spettacolo che nasce a contatto diretto con un luogo, che ne respira le atmosfere e che struttura i propri tempi su quelli del sole che cala, degli animali che tornano a popolare il bosco al termine della giornata: «Inizialmente abbiamo concepito e prodotto questo lavoro come uno spettacolo tout court da rappresentare qui, non come un’idea di produzione da portare in giro. Era il momento giusto per un lavoro di questo tipo, con questa cura. Il ragionamento sulla circuitazione è arrivato successivamente, quando, anche grazie ai feedback ricevuti, ci siamo resi conto che lo spettacolo funziona e che possiamo ancora lavorarci molto. Cercheremo, quindi, di girare durante la prossima stagione estiva, fondamentalmente tramite coproduzioni con i festival, per cui abbiamo contatti in Italia, Olanda e Finlandia: chiaramente questo significa avere un tempo di produzione nei luoghi. Non è un’opera che porti sul palcoscenico, allestisci e vai. C’è bisogno di un tempo. Pur con una struttura definita, ogni volta c’è bisogno di quattro-cinque giornate di lavoro in loco per riadattare l’opera, per modificare le cose che serve modificare, per capire in che modo farla funzionare. Non ogni luogo è giusto: ci saranno luoghi in cui si potrà fare e altri in cui non si potrà fare. Io me la sono immaginata anche in città, anche in ambito urbano, in alcune periferie. Il teatro immersivo ti permette di accompagnare il pubblico in una visione per poi lasciare degli squarci».

Il teatro si avventura oltre i propri confini stabiliti, nei boschi che lo circondano. Insieme, reclama un tempo nuovo, differente. La questione dei tempi di produzione sta assumendo in questi mesi un rilievo nuovo, forse inatteso. Numerose realtà hanno sperimentato, durante i mesi di forzata stasi, una modalità che oggi sembra inedita di ideare, di sperimentare e produrre, arrivando anche a concepire progetti in cui il tempo della prova e del tentativo supera, a tutti gli effetti, il tempo del risultato. Che valore ha questo tempo? Quale dei due vale di più? Camminando nel bosco, salendo e scendendo da Campsirago, questi pensieri appaiono distanti. Il buio avanza, il bosco si infittisce. Il tempo che serve è quello che basta per tornare a casa.

Angela Forti

Campsirago, Il Giardino delle Esperidi Festival, 26-27 giugno 2021

Vivarium. Percorso di realtà aumentata nella natura
Produzione Campsirago Residenza_Pleiadi / Bepart
team artistico e creativo Alessandro Alliaudi, Luca Maria Baldini, Sofia Bolognini, Stefania Coretti, Alvise Crovato, Diego Dioguardi, Giovanni Franchina, Joris Jaccarino, Lara Mezzapelle, Michele Losi, Nicolas Schiraldi

Amleto, una questione personale
regia Anna Fascendini, Giulietta de Bernardi, Michele Losi
con Anna Fascendini, Barbara Mattavelli, Benedetta Brambilla, Giuletta de Bernardi, Liliana Benini, Marialice Tagliavini, Michele Losi, Sara Milani, Sebastiano Sicurezza, Sofia Bolognini, Stefania Ventura, Stefano Pirovano
costumi Stefania Coretti
musiche Diego Dioguardi, Luca Maria Baldini
dramaturg Sofia Bolognini
testi dei partecipanti al laboratorio di alta formazione di teatro nel paesaggio e dall’Amleto di William Shakespeare

Telegram

Iscriviti gratuitamente al nostro canale Telegram per ricevere articoli come questo

Angela Forti
Angela Forti
Angela Forti, di La Spezia, 1998. Nel 2021 si laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo presso La Sapienza Università di Roma, con un percorso di studi incentrato sulle arti performative contemporanee. Frequenta il master in Innovation and Organization of Culture and the Arts all’università di Bologna. Nel 2019 consegue il diploma Animateria, corso di formazione per operatore esperto nelle tecniche e nei linguaggi del teatro di figura. Studia pianoforte e teoria musicale, prima al Conservatorio G. Puccini di La Spezia, poi al Santa Cecilia di Roma. Inizia a occuparsi di critica musicale per il Conservatorio Puccini, con il Maestro Giovanni Tasso; all'università inizia il percorso nella critica teatrale con i laboratori tenuti da Sergio Lo Gatto e Simone Nebbia e scrivendo, poi, per le riviste Paneacquaculture, Le Nottole di Minerva, Animatazine, La Falena. Scrive per Teatro e Critica da luglio 2019. Fa parte della compagnia Hombre Collettivo, che si occupa di teatro visuale e teatro d’oggetti/di figura (Casa Nostra 2021, Alle Armi 2023).

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Pubblica i tuoi comunicati

Il tuo comunicato su Teatro e Critica e sui nostri social

ULTIMI ARTICOLI

Tim Crouch. L’immaginazione aumentata

Alla Biennale Teatro 2024 Tim Crouch porta Truth’s a Dog Must to Kennel, riflessione sulla relazione tra reale e virtuale, indagando il potere dell'immaginazione...