Da Inteatro Festival 2021: sguardi sulle performance di Alessandro Sciarroni, Alessandro Carboni e Nicola Galli.
La pop-polka chinata di Sciarroni, i riti “mattonici” di Alessandro Carboni o il teatrodanza in maschera di Nicola Galli: tira sempre una bell’aria a Polverigi, dove il festival Inteatro da qualche anno si bilancia tra Villa Nappi – nido di residenze e palco d’avanguardie – e le Muse ad Ancona. A tirare le fila dietro le quinte c’è ancora Velia Papa, sguardo di direttrice artistica fra i più acuti, che in cartellone sa piazzare con garbo novità e nomi ben “chiacchierati”, compreso stavolta una intensa personale dedicata a Romeo Castellucci, il regista più squadernante di scene degli ultimi trent’anni. Questo variegato programma e la voglia di tornare dal vivo ha animato tutte le attività con assembramenti vivaci ma corretti – mascherina, distanziamenti e controllo dati – in tutti gli spazi fin da inizio festival, il 4 giugno, dal cortile di Villa Nappi al Teatro della Luna.
Tra i protagonisti, dicevamo, Alessandro Sciarroni. Marchigiano e figura familiare proprio per aver cominciato qui la sua carriera, culminata piuttosto precocemente in un bizzarro Leone d’oro alla carriera, quando sarebbe stato più calzante un Leone d’argento per l’innovazione.
Sciarroni ha prospettive originali, spiazzanti, mai ripetute da uno spettacolo/performance all’altro. Qui si declinava in tre modi diversi, in dialogo con CollettivO CineticO, nel rotante TURNING_Orlando’s version e in Save the last dance for me (che è quella a cui abbiamo assistito). In Save the last dance for me, Sciarroni recupera un antico ballo tradizionale bolognese, la Polka Chinata, in cui due uomini sono impegnati in vorticose giravolte incastrando tra loro le ginocchia piegate. Nel 2018 quando Sciarroni l’ha scoperta, era praticata in Italia solo da cinque persone. Ma il progetto non è solo quello di recuperare un ballo perduto, bensì di trasformarlo in oggetto semantico polivalente. Prima lo decontestualizza facendolo eseguire con un accompagnamento di musica contemporanea, per esaltarne il disegno coreografico e il gioco di corteggiamento gestuale fra i due (la scelta di farlo interpretare a due uomini – i bravissimi Gianmaria Borzillo e Giovanfrancesco Giannini – rientra nella tradizione originale, ma qui suona piacevolmente gender-fluid…). Poi lo rimette in scena con la polka originale per ridare lettura più consapevole allo spettatore. L’aspetto più curioso di questa performance, però, sta nell’essere rientrata in un video del cantautore Vasco Brondi, conquistato dalla ri-creazione di Sciarroni della polka chinata. È qui che l’oggetto di danza acquista un’altra dimensione ancora, un inserto prezioso, un tratto d’autore, un po’ come quando Preljocaj rielaborò la scena del bacio di Le parc per la pubblicità di Air France. Chissà se potrebbero essere gli esordi in un’attività transfrontaliera della danza?
Più consueto, prevedibile, il breve lavoro messo in azione da Alessandro Carboni nel cortile di Villa Nappi. As if we were dust – vincitore di Danza Urbana XL 2017 – è lineare, pulito, con quei tratti di rituale tra butoh all’italiana e parabola performativa comuni a molti lavori di questo tipo. Carboni allinea e disallinea mattoni, li ricompone e scompone (anche frantumandoli nell’azione) lungo uno spazio rettangolare. Non siamo dalle parti materiche di Remondi e Caporossi, piuttosto è lavoro gemello di altri, come quello speculare al femminile Un/Dress di Masako Matsushita visto alla Nid di Reggio Emilia (stesso spazio rettangolare e parabola altalenante indossando e spogliandosi di un kimono).
Piatto forte della serata di autori italiani era però Nicola Galli, un emergente di talento, apprezzabile per costruzione coreografica e ricerca di altri format di danza di più vasto respiro rispetto ad assoli e duetti. Ne Il mondo altrove, Galli prova a riprendere un’idea di concept per la scena, con costumi ricercati e una trama (alquanto esoterica) incentrata su un attraversamento di atmosfere tra Occidente e Oriente, tra mito e tradizioni teatrali. Lo spunto è interessante, lo svolgimento ancora tenue. Germogli di un immaginario delicato, ma che sta cercando una strada, appunto, altrove.
Rossella Battisti
Qui il video di Babylon: Francesca Pierri intervista Velia Papa