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Sciopero Teatro India di Roma. Intervista al sindacato Libersind

Sciopero Teatro India: intervista a Marco Cuppoletti, Vice-Segretario Generale di Libersind Confsal sindacato.

Il comparto tecnico del Teatro di Roma sta ancora bloccando attraverso lo sciopero quotidiano l’apertura al pubblico degli spettacoli del Teatro India (qui il nostro articolo). Dopo Sonora Desert e Antigone (nessuno dei due è riuscito ad andare in scena neanche per una sera), anche Allez Enfants (manifestazione destinata ai licei romani) non ha potuto incontrare gli spettatori.

Inoltre, il 23 giugno su la Repubblica Roma è stata ipotizzata (attraverso una ricostruzione degli incontri tra il ministro del Mibac Dario Franceschini e i soci Regione Lazio e Comune di Roma)  la creazione di una Fondazione (ora il Teatro di Roma è un’associazione); secondo la Repubblica sarebbe proprio il Ministero a voler bloccare la riunione del Cda di domani 25 giugno, che dovrebbe nominare la nuova direzione per procedere invece con il cambio della forma giuridica.

Intanto i prossimi appuntamenti a rischio saranno Tiresias di Giorgina Pi e il festival Dominio Pubblico. In relazione allo sciopero abbiamo intervistato (un giorno prima dell’uscita dell’articolo del 23 de la Repubblica) Marco Cuppoletti, Vice-Segretario Generale del Libersind Confsal. Siamo inoltre in attesa che il Presidente del Teatro di Roma, Emanuele Bevilacqua, risponda alla nostra richiesta di intervista.

Quella messa in atto da Libersind Confsal è una ferrea mobilitazione durata, finora, oltre due settimane a partire dal 7 giugno. Che cosa è successo di definitivo che vi ha portato a bloccare la programmazione proprio all’inizio di quello che doveva essere il mese della ripartenza?

Innanzitutto le dico una cosa: noi, come riportato dal comunicato stampa del 21 giugno scorso, abbiamo ricevuto comunicazione per il 28 giugno prossimo da parte di Emanuele Bevilacqua (presidente del Consiglio di Amministrazione, ndr) e del Teatro di Roma; qualche giorno prima ci sarà un Cda, che credo sia basilare per la vertenza messa in atto dai lavoratori. Se non verrà preso in esame quanto stiamo denunciando, allora questo Cda sarà simile ai molti precedenti, che non sono stati assolutamente risolutivi, o interlocutori, e spesso e volentieri sono stati ricchi di promesse mai mantenute.

È importante però, innanzitutto, chiarire che cosa sia Libersind. La nostra segreteria è stata tacciata di essere diverse cose, “bagnini”, “fascisti di merda”, “la quinta colonna di qualche progetto politico sul teatro”. In realtà il sindacato è autonomo, non ha segretari o attivisti a libro paga, siamo volontari. Se abbiamo 30 iscritti su 55 dipendenti del teatro qualcosa vorrà dire, sappiamo farlo meglio di altri che provengono dalla Prima repubblica e ne godono i benefici. Questo per dire che il Libersind è lo stesso sindacato che il 15 gennaio 2021 scriveva un comunicato dal titolo Il Teatro Argentina non sia terreno per scontro politico; era il momento della stasi dovuto alla pandemia e alla mancata approvazione del bilancio del 2021, il teatro si stava avviando verso un periodo di buio, nonostante i sacrifici dei lavoratori che in quel momento erano stati messi in cassa integrazione mentre i consulenti artistici si vedevano raddoppiare il compenso… Adesso i nostri lavoratori ci stanno rimettendo i soldi da quindici giorni a questa parte, non vengono pagati per i turni in cui scioperano e stanno sopportando tale mancanza economica pur di vedere risolti gli annosi problemi che affliggono il Teatro Argentina, che è un Teatro Nazionale, l’unico grande teatro di prosa di Roma. I lavoratori non hanno spazi per spogliarsi e lo dicevano già in un comunicato del 2012 all’allora direttore Gabriele Lavia. Hanno cellette senza finestre più adatte alla crescita dei funghi che a ospitare maestranze, eppure per amore del teatro questi lavoratori hanno sopportato finora la situazione.

Il giorno prima di una manifestazione che il centrodestra aveva inscenato davanti al Teatro Argentina (una delle iniziative del deputato Federico Mollicone di Fdl per criticare l’attuale gestione del teatro chiedendone il commissariamento, ndr) il Libersind scendeva in piazza a sostegno della stabilizzazione dei precari del TdR che non stavano lavorando, appoggiavano il presidente che fronteggiava difficoltà di bilancio, speravamo nella conferma di Pierfrancesco Pinelli come direttore… Abbiamo organizzato un’azione a sostegno, cosa che altri sindacati, magari più schierati, non hanno fatto. Ci siamo posti nei panni di questi precari.

Nonostante l’impegno e il sostegno nei confronti del presidente e del teatro, noi siamo stati gabbati completamente: ci sono state promesse da parte del teatro di integrare il quid che compensava lo stipendio normale da cassa integrazione, ma questo ristoro non è mai arrivato; alcuni impegni presi su una progressiva sistemazione degli spazi e sul miglioramento delle condizioni di igiene e di sicurezza sono stati disattesi. L’unica ditta che dovrebbe gestire gli impianti nevralgici (antincendio, elettrici, etc.), cioè quelli che servono al teatro per funzionare e accogliere il pubblico, ci risulta sia senza contratto da oltre un anno, eppure il personale di questa ditta continua a entrare.

Stiamo denunciando in solitaria. Il Teatro India, dove la commissione comunale ha dato il via libera alla stagione, presenta problemi di sicurezza basilari, inaccettabili. Per manipolare le luci i tecnici devono raggiungere una stanza a cui si accede solo tramite una scala a chiocciola, piena di quadri elettrici: se dovesse scoppiare un incendio il tecnico farebbe “la fine del sorcio” perché non c’è che un’uscita, nemmeno una finestra; non ci sono estintori; i gruppi elettrogeni sono fermi da anni e secoli, e quelli servono per garantire l’illuminazione di emergenza. È già successo che per una mancanza di energia gli spettatori siano dovuti uscire guidati dalla luce dei telefonini.

Se il Cda non ne prende atto e non fa i passi di sostanza, cioè non mette carne al fuoco per risolvere questi problemi, dopo 15 giorni di sciopero e mesi di stato di agitazione e comunicati che partono dal 2012 in merito a questioni di sicurezza, noi andremo dai vigili del fuoco e partiranno le denunce; perché a questo punto meglio che il teatro resti chiuso fino a ristrutturazione che perpetrare questo stillicidio di posizioni che oltretutto strumentalizzano l’azione del sindacato. Non ci sono scheletri nell’armadio, non si attacca nessuno.

Rispetto alle vostre richieste sulla sicurezza, è vero pure che il Teatro India è stato chiuso per diversi anni per la ristrutturazione e che, sempre dal TdR, è arrivata il 10 giugno scorso risposta che la Commissione Vigilanza aveva rilasciato l’autorizzazione per la concessione del Pubblico Spettacolo relativo all’arena esterna. Che cosa non va ancora?

Ci auguriamo che venga la commissione di vigilanza e un incaricato per la sicurezza del teatro per fare un sopralluogo! Noi abbiamo pubblicato un comunicato in cui si articolano per il momento i problemi in circa 22 punti nodali. Le do una notizia: abbiamo saputo che qualche giorno fa il presidente ha dato incarico ad alcuni tecnici, “di parte”, di fare un giro sugli impianti, e ci risulta che il presidente sia sbiancato per quello che hanno detto, risulta che potrebbe andare in carcere. Non so che cosa abbia visto la commissione, ma dico: facciamo una riunione e facciamo un giro degli impianti. Se sta tutto a posto vorrà dire che abbiamo fatto una battaglia strumentale, se non sta a posto invece, allora chiudiamo il teatro, ma con la presa di coscienza della commissione. Quando poi succedono i fatti nefasti, tutti si battono il petto, quando il sindacato denuncia con forza che lì ci sono problemi seri di antincendio, di sicurezza, elettrici, di igiene… allora non si dice niente. Che cosa vogliamo truccare? Del resto, quando il sindacato attiva la sua “bomba atomica”, ovvero lo sciopero, non lo fa nel deserto, ma la “sgancia” dove deve causare, tra virgolette, più danni, per richiamare l’attenzione sul problema.

Ipotizziamo anche che la situazione sia così disastrosa come lei la descrive, non ci sono però delle possibili strategie per poter mettere in sicurezza senza bloccare una stagione che con fatica prova a ripartire?

È più di un mese che mandiamo quotidianamente i comunicati dello sciopero con le nostre motivazioni al gabinetto del MiC, alla segreteria del Presidente della Regione Lazio, al gabinetto della Sindaca di Roma, ma non si è fatto vivo nessuno, eppure sono loro ad essere i “padroni del teatro”, non è un atteggiamento responsabile. Ci fregiamo di fare un tavolo permanente presso il Ministero, abbiamo assessorati sensibili allo stato di sicurezza, ma non c’è stato uno che abbia risposto chiedendoci quale fosse il problema e come si potesse risolvere. Di fronte a una battaglia di sicurezza del genere abbiamo letto le cose più assurde, in cui per esempio stiamo facendo pressione perché vogliamo un direttore piuttosto che un altro… al di là del fatto che credo sia lecito che i lavoratori esprimano attraverso le organizzazioni che li tutelano delle considerazioni in merito al comandante della nave in cui lavorano… Detto questo, il teatro non è dei lavoratori, purtroppo. Ci sono dei soci: che scelgano un direttore, ma lo facciano. Sono due anni che il Presidente, in modo contrario e non previsto dallo statuto del teatro, sta esercitando il ruolo del presidente e del direttore maldestramente e tutto sta andando a rotoli. I soci ne prendano atto e pongano i correttivi.

Infatti emerge come centrale dai vostri comunicati la questione della dirigenza: è lecito che un sindacato influenzi in tal senso tali scelte bloccando il teatro pubblico?

Ma quali scelte stiamo influenzando? Se le dico che dopo quindici, venti, giorni di sciopero non ci ha filato di striscio nessuno, anche se siamo andati su alcune testate giornalistiche, ma che cosa stiamo vincolando? Perché chiediamo “dateci un direttore?” Dateci un direttore con gli attributi necessari. Siamo consapevoli che il TdR, che è composto da più teatri, ha la possibilità di allontanarsi per alcuni ambiti dal “teatro più tradizionale” e individuare momenti di sperimentazione. Benissimo, ed è per questo che ci sono consulenti artistici specifici. Ma questo chi lo mette in dubbio? Ci stanno, ci saranno, si sono pure aumentati del doppio il compenso durante il lockdown, mentre i lavoratori stavano in cassa integrazione… scriva anche questo.

Rispetto all’aumento percepito dai consulenti artistici, in relazione a che cosa lo sta dicendo? Avete fatto un confronto tra i periodi?

Scusi, ma a lei sembra normale che nel periodo di lockdown qualcuno si raddoppi lo stipendio mentre i lavoratori vanno in cassa integrazione? Lei faccia una domanda al mondo e si faccia dare una risposta: i lavoratori devono battere le mani contenti o essere leggermente incazzati?

Ma io le stavo facendo una domanda specifica: dove sono le prove di questi aumenti?

OK, non è vero allora che si sono aumentati i compensi. Ma rimane il dato di fatto che i lavoratori sono stati posti in cassa integrazione, che il Presidente ha promesso in ogni riunione Zoom che la differenza sarebbe stata ristorata in modo che i lavoratori non avrebbero perso niente. Nessuno di questi affidamenti però è stato onorato, non si può andare avanti con chi ha fatto queste promesse in modo pedissequo.

È l’assenza della direzione generale da oltre un anno che ha influito sui vostri contratti al di là della pandemia? Ci sono state delle inadempienze da parte dell’amministrazione?

Ma certo…

C’è un Presidente che fa le veci del direttore… Bevilacqua non può rispondere alle vostre richieste?

Parlo di un direttore statutariamente previsto. Lasci le promesse fatte e disattese, passiamo all’operativo: il teatro dal punto di vista gestionale e organizzativo è completamente allo sbando; sugli aspetti di sicurezza non c’è un interlocutore. Nelle aziende c’è un consiglio di amministrazione di cui fa parte un presidente, dopodiché queste si affidano a un direttore generale che mette in atto le direttive del consiglio e si relaziona con i dipendenti, con le maestranze, con i soggetti esterni. Questa figura è mancata, oppure c’è stata la volontà da parte del presidente di esercitarla ma non ci è riuscito.
La questione è andata verso una progressiva deriva che ha portato sindacato e lavoratori del teatro a sottolineare con forza questa situazione, di tasca nostra, ma nessuno se ne interessa, questo serve solo per scrivere che stiamo mandando in malora delle espressioni culturali ma, per carità, questo è il senso degli scioperi: far emergere un problema.

La nomina di una nuova direzione vi porterebbe a far terminare lo sciopero?

Penso di sì, perché no? Se, naturalmente, il direttore venisse incaricato dal CdA di prendere in esame le mozioni emesse dal sindacato. Non è che la nomina in sé e per sé sia sufficiente. Serve il direttore ma deve mettersi a un tavolo di lavoro. Non siamo pazzi, ci sono problemi dal 2012, non è una ripicca nei confronti di Bevilacqua, ma versiamo in uno stato di fatto non più procrastinabile. Serve un direttore che, dotandosi dei consulenti tecnici come la legge prevede, di un Rspp (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, ndr) che relazionerà con i lavoratori e nello specifico con i Rls (Responsabili per i lavoratori sulla sicurezza, ndr) avvii un programma di risanamento che avrà il proprio percorso. Non pensiamo ci siano le bacchette magiche, ma semmai così si iniziano a risolvere i problemi. Fattivamente i soci nel Cda devono mettere sul piatto risorse economiche che non si sa se siano state messe nel bilancio previsionale 2021.

Se voi sollevate questi problemi dal 2012 perché sono scoppiati solo adesso? Non potevano essere messe in atto prima queste proposte, per esempio durante la più recente ristrutturazione?

Dal 2012 qualcosa è stato fatto. Nel 2015 noi ci siamo complimentati con la direzione del teatro perché quell’anno avevamo raggiunto una serie di successi: vendita di biglietti superiore alle aspettative, un cartellone di grande rilevanza e il sindacato ha espresso grande soddisfazione.

Perché non è stato possibile già nel 2020, al primo lockdown, denunciare da parte vostra le questioni di sicurezza se erano così importanti?

Le questioni della sicurezza venivano denunciate già prima: perché non c’è stato modo durante il periodo di fermo del teatro di fare, non dico tutti, ma almeno qualche adeguamento?

Ma voi avevate comunicato queste necessità?

Posso mandarle un’enciclopedia di comunicati, una Treccani… A luglio del 2020 c’è stato uno sciopero proprio sulla sicurezza. Non è proseguito perché durante una riunione su Zoom il presidente Bevilacqua ci ha detto di avere pazienza, perché c’erano problemi di bilancio, però appena risolti i problemi di bilancio sarebbero intervenuti sulle questioni da noi sollevate. E invece niente, nulla è successo, ci siamo sentiti presi per il naso, e oggi siamo ancora così.

Quanto ancora deve andare avanti? In un teatro in cui si fanno promesse ai sindacati bisogna comportarsi di conseguenza, oppure si dice che quelle cose non possono essere risolte. Il Presidente ci ha sempre promesso che tutto ciò che era legittimamente richiesto dal sindacato avrebbe trovato una via di soluzione. E la risposta qual è? La risposta è che ora non c’è più neanche la ditta di manutenzione. Ma lo sa che al Teatro Argentina su tre trasformatori elettrici due sono scoppiati e sono fuori linea? Se scoppia pure il terzo poi per rimettere la corrente al Teatro Argentina ci vogliono sei mesi. Nella cabina elettrica è stata misurata la temperatura, fino a 96 gradi sui trasformatori. Che cosa dobbiamo aspettare?

Allora, probabilmente il Presidente non è un direttore. Dal punto di vista artistico è assolutamente illuminato, ma ha dimostrato di non saper dirigere. I soci continuano a non darci un direttore degno di questa carica: i lavoratori che cosa devono fare? Guardi che sulla sicurezza se c’è silenzio – non l’abbiamo detto noi, l’ha detto il Presidente degli Stati Uniti quando è venuto qualche giorno fa in Europa – il silenzio vuol dire complicità. E se si fa male qualcuno e arriva il pretore? Che facciamo l’indagine pure sul caposquadra, sul responsabile tecnico? Queste sono cose serie.

direttore Teatro di Roma
Teatro Argentina. Sala

Qual è secondo il sindacato l’insieme delle caratteristiche che deve avere una direzione?

Dovrebbe essere un direttore che si sia fregiato di un curriculum adeguato, che abbia diretto con successo realtà analoghe, stiamo parlando di un Teatro Nazionale, che ha avuto come direttori Albertazzi, Ronconi, Martone, Lavia, in questo alveo noi speriamo che arrivi un direttore che sappia come si gestisce un Teatro Nazionale.

Rispetto alle voci su Luca De Fusco?

Guardi, non è assolutamente vero. Noi avevamo espresso favore verso l’ingegner Pinelli, che ci sembrava essere una nomina valida, poi la manifestazione di interesse è stata annullata. Ripeto, il teatro non è nostro, purtroppo. È dei soci, che il 25 giugno avranno una riunione del Consiglio di Amministrazione; ecco, decidano. Se non decideranno qualcosa il 25, per noi – che siamo la formichina che si incazza e basta, non abbiamo altri modi, abbiamo pochi amici e tanti nemici, ma andiamo avanti per la nostra strada – c’è necessità di un commissariamento, perché non può funzionare così una struttura del genere.

Scelgano un commissario che cominci a vedere i bilanci, le spese, quello che è giusto, quello che non è giusto, cominci a vedere gli effetti delle denunce al sindacato. Perché altrimenti l’alternativa per noi per risolvere la vertenza rimane solo la possibilità di andare dai vigili del fuoco e interessare la magistratura. Verrà il magistrato e si renderà conto se noi abbiamo detto delle falsità oppure se abbiamo detto con puntualità delle grandi verità sulle pericolosità per i lavoratori e per gli spettatori. Poi però non si venga a dire “questi irresponsabili dei lavoratori fanno chiudere il teatro”. Il nostro segretario generale ha scritto una lettera, un appello, per chiedere una riunione con tutti i soci del Cda, per dire di mettersi a tavolino con noi, per avviare un percorso. Non ci ha risposto nessuno. Questo è lo stato della politica in Italia?

La protesta specifica a India fa pensare che i rapporti in quel frangente siano molto tesi: che cosa pensate del progetto artistico su India, di Oceano Indiano?

Tecnici e maestranze non si pongono problemi di tipo editoriale o artistico perché non compete loro; certo bisogna giudicare i numeri, gli introiti, se le performance non verranno raggiunte bisognerà fare un ragionamento. Il teatro non è un’opera di beneficenza; dunque sicuramente i lavoratori possono fare un ragionamento rispetto agli ingressi. Un bilancio che va in sofferenza non permette la stabilizzazione dei precari, né tecnici, né artistici, non permette politiche espansive o investimenti. Si tratta di un’azienda, ragazzi, è un’azienda. Ma i lavoratori non possono e non vogliono dare un giudizio artistico, assolutamente. Però le cose devono funzionare come nelle aziende: i lavoratori devono poter lavorare in sicurezza, gli spettatori devono essere sicuri di essere tutelati, quello insomma che fanno le aziende normali; poi se in questo caso invece di fare bulloni si fa un prodotto intangibile però non cambia niente. Se il programma in cartellone non sarà attrattivo sarà un problema per chi l’ha messo in campo.

Quando, già alla prima riapertura estiva del 2020, India riaccolse il pubblico io ricordo spettatori entusiasti e numerosi, che avevano continuato ad assistere fin quando non c’è stata la nuova chiusura.

India si presta a una logica di sperimentazione, di avanguardia, e quindi immagini una azienda che ha vari dipartimenti, gestiti tutti con indirizzo specifico. Ma ci deve essere un direttore in grado di armonizzare e tenere in equilibrio il bilancio. Questo non è successo, non sta succedendo: ci sono problemi di bilancio più che evidenti, ci sono state delle denunce alla Corte dei conti… il sindacato può solo prendere atto che c’è una tendenza a distruggere il teatro, ecco perché sono preoccupati i lavoratori, sono preoccupati quelli a tempo indeterminato e gli stagionali. Vi rendete conto che non si riesce a stabilizzare una persona dopo anni? Questi lavoratori sono gli unici ad essere scesi in campo sia per i precari tecnici che per i precari artistici. Questi “fascisti di merda”, come qualcuno ha detto, hanno preso le parti dei lavoratori. Se non ci sono risorse il teatro non procede a stabilizzare, non fa quello che deve fare…

Molti artisti non lo dicono pubblicamente, ma si racconta di rapporti difficili con i tecnici del teatro. Gli artisti spesso non si sentono supportati e aiutati. Alcuni lo hanno raccontato anche in certi commenti sui social media. Che cosa ne pensa?

Penso che storicamente, da quando sono stati raggiunti ottimi risultati, questo è avvenuto perché il teatro si è comportato come una squadra: è un’attività corale. Non intravedo contrapposizioni classiste corporative, anzi, ci dispiace che, con questa agitazione messa in campo, alcuni lavoratori della parte artistica non possano vedersi riconoscere i compensi attesi perché non ci sono gli spettacoli, ma ricordo che i lavoratori tecnici sono in sciopero e dunque in quelle giornate non percepiscono stipendio. Questo è il senso della genuina lotta sindacale. Ormai tutto è liquido, anche la lotta sindacale, qui i lavoratori ci rimettono di tasca propria pur di affermare il proprio diritto alla sicurezza. È il turno pomeridiano ad andare in sciopero, sono ormai 15 giorni dunque il sacrificio è tanto. Io spero che dopo tanti articoli qualcuno dica “oh ma non è che questi lavoratori ci vogliono dire qualcosa? Forse vale la pena starli a sentire, mettersi attorno a un tavolo e capire la soluzione ai problemi”, in fin dei conti noi solo questo chiediamo. Lo showdown di tutta la vicenda è questo Cda del 25, dal quale devono uscire atti concreti, compreso il nome del direttore.

È possibile mettere in atto queste operazione mantenendo però il teatro aperto e funzionante?

Ci sono delle operazioni che possono essere fatte anche di notte, posizionare gli estintori (dico una banalità eh), far ripartire i gruppi elettrogeni, sono tutte operazioni di manutenzione, si prende la ditta e la si fa operare. Serve però una conduzione tecnica, lì non c’è un funzionario tecnico, qualcuno che curi il percorso di manutenzione delle attrezzature. Poi vogliamo dare delle scarpe anti infortunistica, i guanti, gli occhiali a questi lavoratori, gli indumenti per operare secondo la normativa? Basta mettersi attorno a un tavolo e il giorno dopo queste cose si risolvono. Questo è l’abc delle relazioni industriali. C’è qualcuno in grado di fare relazioni industriali in quel teatro? Io ho forti dubbi, anche questo è un ruolo avocato dal Presidente, con i risultati visibili. Mancano insomma le figure apicali in grado di gestire i settori di competenza. Poi se mancano perché mancano i fondi questo lo capiranno i soci e il Cda, se ci sono evidenti smagliature il presidente/direttore ne risponderà. Abbiamo anche scritto che lui (Bevilacqua, ndr) doveva dimettersi visto lo sfacelo al quale ci stava portando, ma noi possiamo solo dirlo, ora tocca ai soci.

Al Teatro Argentina non ci sono questi problemi?

Certo. All’Argentina i tiri scenici non sono stati verificati periodicamente da tempo, l’abbattimento delle americane ha i freni malfunzionanti. Non ci sono spogliatoi, non ci sono armadietti. C’è un solo bagno per trentacinque persone, le altezze dei locali non sono a norma.

Allora perché spostare l’attenzione solo a India?

Non è che possiamo massacrare di scioperi tutti i lavoratori contemporaneamente. India era gestibile in termini di scioperi. È una strategia becera del sindacato. Qualcuno lo valuterà in un modo, qualcuno in un altro.

Simone Nebbia, Lucia Medri, Andrea Pocosgnich, Viviana Raciti

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