Pier Francesco Pinelli, che avrebbe dovuto ricoprire l’incarico di direttore, ha rinunciato. Una riflessione alla notizia apparsa sul Corriere della Sera.
La notizia l’ha data Il Corriere della Sera nella cronaca romana: un trafiletto in cui viene spiegato che il manager, vincitore del bando e annunciato a novembre dello scorso anno, ha rifiutato l’incarico con una nota indirizzata al Presidente Emanuele Bevilacqua. Nel virgolettato riportato dal Corriere si legge: “mi rincresce confermare che gli impegni professionali anche di lungo periodo sopraggiunti negli ultimi mesi – quelli trascorsi dalla delibera del Cda del novembre scorso relativamente all’esito dell’apposito bando pubblico di selezione – mi rendono ormai impossibile l’assunzione del ruolo di direttore dell’Associazione del Teatro di Roma”.
A quanto pare, a meno di una incredibile smentita del TdR verso il primo quotidiano del Paese, l’istituzione teatrale pubblica della città di Roma è nuovamente senza direttore. Pierfrancesco Pinelli però deve delle spiegazioni ai cittadini e ai lavoratori del teatro: quali sono gli altri impegni professionali che gli impediscono di lavorare serenamente in uno dei più importanti teatri pubblici italiani?
Il Teatro di Roma nei mesi scorsi aveva dovuto fronteggiare una serie di attacchi provenienti dalla destra romana, mai così solerte come nell’ultimo periodo nel cercare di evidenziare eventuali mancanze nell’approvazione dei bilanci e più in generale nell’amministrazione del teatro. Eppure proprio il 29 aprile era arrivata la positiva notizia dell’approvazione del bilancio previsionale del 2021, “redatto nel rispetto dei criteri di prudenza, degli obblighi di responsabilità e nella piena consapevolezza delle difficoltà indotte dalla crisi pandemica”. Dunque dopo mesi Pinelli avrebbe potuto finalmente firmare il contratto. Cosa è accaduto per far cambiare definitivamente idea al manager (ex commissario Inda e prima commissario per il governo al risanamento degli enti lirici) e rifiutare l’incarico? Su queste pagine non abbiamo mai voluto ascoltare e riportare le solite “voci di corridoio” e perciò non ci lasciamo andare ad ipotesi e ricostruzioni di corridoio, ma alcune riflessioni sono d’obbligo.
Tutto questo avviene mentre sui palchi del Teatro di Roma, ad Argentina e India, ricomincia una programmazione (forse la migliore degli ultimi anni) finalmente dispiegata attraverso un’idea precisa, radicale della cultura teatrale, un intrecciarsi di fili che sta portando le istanze del contemporaneo anche sul palco settecentesco (questa settimana la danza di Mk ad esempio); insomma una qualità della programmazione che non riesce a trovare un equivalente dal punto di vista gestionale e direttivo.
Giorgio Barberio Corsetti e Francesca Corona (consulenti per Argentina e India) sono gli artefici di questo nuovo slancio e hanno dimostrato di sapersi accordare anche al momento storico riuscendo a mantenere il teatro attivo durante i lockdown, per rinsaldare la relazione con il pubblico e con gli artisti. Attraverso una serie di progetti pensati per questo periodo (Radio India, le produzioni sonore al Valle, Metamorfosi Cabaret all’Argentina, il programma di formazione Fondamenta, ecc.) hanno dimostrato come un teatro possa assolvere alla propria funzione pubblica in un momento di crisi durissima. Ma ora, cosa accadrà? Il presidente Bevilacqua riprenderà in mano la direzione ad interim come fece quando lo stesso Corsetti chiese di poter continuare come consulente artistico lasciando l’incarico di direttore? Già in quell’occasione in molti avevano visto il cambio di ruolo del regista come una mossa poco trasparente, ma appunto il teatro aveva risposto compatto con progetti di qualità.
Roma in situazioni del genere è laboratorio primario di velenose guerre e in questo momento manca la voce di un assessore esperto, come Luca Bergamo, in grado di tirare le fila. L’ipotesi peggiore è il commissariamento chiesto da Fratelli d’Italia: quando ci si avvicina alle elezioni tutto può accadere come non accadere. Bisognerà fare in modo che il processo di rinnovamento artistico non venga toccato da questo caos gestionale, ma i teatri pubblici – lo vediamo ogni volta che deve rinnovarsi la direzione di un Nazionale o di un Tric – sono ostaggio dei Cda e dunque dei partiti. Eppure è anche troppo facile trincerarsi dietro alla politica: prima o poi bisognerà capire dove risiedano le difficoltà organizzative del Teatro di Roma, quali errori siano dietro questa maledizione.
Andrea Pocosgnich
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