Dopo le venti repliche prima della chiusura dei teatri, Balletto Civile presenta M.A.D. Museo Antropologico del Danzatore in una forma inedita e online per la VI edizione del festival Resistere e Creare, dal titolo Corpi elettrici.
«Nuovi incontri», a questi ci stiamo preparando. Lo si pensa spesso ultimamente, tesi verso una quotidianità relazionale ora in pausa, ansiosi di ritornare a uno stadio conoscibile di prossimità e unione. Lo sostiene, e lo scrive anche nella nota stampa, Michela Lucenti che insieme a Marina Petrillo all’inizio del mese ha curato e diretto Resistere e Creare. Col titolo Corpi elettrici (che prende spunto da Canto il corpo elettrico di Walt Whitman), è stata presentata la VI edizione della rassegna internazionale di danza nata dalla collaborazione tra il Teatro della Tosse e il collettivo Balletto Civile, di cui Lucenti è fondatrice insieme a Maurizio Camilli, Ambra Chiarello, Emanuela Serra e Francesco Gabrielli.
È un momento questo in cui bisogna «capire cosa dire più che mai» ribadisce Lucenti durante l’incontro online di presentazione del progetto M.A.D. Museo Antropologico del Danzatore, ripensato per il video e inserito all’interno di questo cartellone di eventi ibrido, caratterizzato da spettacoli in presenza e supporti digitali; pur avendo dovuto rinunciare ad alcuni eventi, la rassegna ha voluto mantenere «il significato profondo di testimonianza dell’urgenza della creazione artistica in questo lungo periodo di confinamento e distanziamento». Proprio in virtù del sovraffollamento di eventi, convegni, spettacoli, tavole rotonde che si susseguono nella rete e riempiono le giornate di coloro i quali si sono trovati orfani della propria consuetudine culturale, è opportuno sapere cosa e perché lo si presenta e come renderlo irrinunciabile, e per questo programmabile, in versione digitale. «Siamo partiti da un profondo nucleo di senso che volevamo comunicare e poi siamo andati nello specifico, per poter rivedere l’Arte come pensiamo sia necessario in questo periodo. Prima abbiamo sempre cercato di dare un senso partendo dalla danza, dal gesto in sé, ora dobbiamo tornare al senso. E poi danzare».
Ricominciare dal senso artistico, dalla comunicazione precipua che si rende indispensabile, esplicitandosi nella sua trasparenza e che, donata al fruitore, dà sollievo e accompagna le singole e distanziate solitudini. Nelle teche plastificate, ovvero coperture usate per la serra delle piante, sono rinchiusi nove stravaganti personaggi interpretati dai danzatori facenti parte della compagnia Balletto Civile, più l’artista e padre di Lucenti. La scrittura coreografica è anzitutto scrittura fisica costruita attorno e insieme a ciascun danzatore/danzatrice, indagando come al microscopio l’interno intimo e prismatico del singolo, diverso, incantato, tenero, assurdo, inquietante, infantile, violento… Introdotte da una sorta di imbonitore, si espongono al pubblico corporeità che si fanno veicolo di poetici messaggi, i cui abiti (ipotizzati da Lucenti ma scelti insieme agli interpreti) sono rappresentazione dell’immaginario incorporato da ciascun personaggio. M.A.D. allena alla «pratica della resistenza» non solo i danzatori e le danzatrici ma anche il pubblico: osservare i corpi rinchiusi in questi spazi incellofanati, annebbiati dal respiro e dal sudore, causa empatica partecipazione e condivisione di uno stato d’animo familiare, sperimentato in questi mesi e rielaborato inconsciamente.
Questa resa video di M.A.D, che segue le venti repliche presentate subito dopo il mese di maggio e distribuite lungo il corso dell’estate, è stata pensata in due modi a confermare la modalità con la quale si è lavorato al progetto durante il primo lockdown, hanno spiegato Lucenti e Camilli intervenuti durante il Tavolo Danza e immagine organizzato da Rete Critica. Due diversi punti di vista filmici costituenti una videoscrittura firmata da due registi che hanno tradotto questa “installazione teatrale” nel linguaggio ora richiesto dall’«ecosistema digitale» nel quale stiamo vivendo. «Strade complementari» rappresentano questi materiali video, così definiti da Maurizio Camilli: il regista Rocco Malfanti ricrea in M.A.D. White nove distinti cortometraggi dalla durata media di circa cinque minuti ciascuno, quasi fossero delle stanze in cui lo spettatore entra per conoscere le singole storie, un grandangolo osservatore e dilatatore di presenze. Matteo Croci invece, realizza M.A.D. Black video di una quindicina di minuti in cui le nove teche/casette microfonate sono protagoniste di una ripresa unica che le esplora dall’esterno, soffermandosi e entrando in ciascuna di esse. Nonostante la frontalità della visione e il canale unico del video, viene ricreata una sinestesia tra suono, immagine e messaggio finalizzata a rendere percepibile «quell’evanescenza finale e antropologica». Dopo essersi esposti al fruitore, i personaggi con le loro storie si dissolveranno in un nucleo di senso, la cui pregnanza è tanto incidente quanto effimera. Densità interpretativa e straordinarietà contraddistinguono il lavoro dei danzatori e danzatrici, ognuno libero e intrappolato in una storia interna e esterna a se stesso, agendo la complessità e incorporando la contraddizione.
Come nell’assurdo rocambolesco dei video di Michel Gondry o nel perturbante mondo lynchiano, con M.A.D. Museo Antropologico del danzatore discendiamo da spettatori in “un interno fatto di altrettanti interni” funzionale a guardarci nell’intimità di una condizione condivisa ed esposta, nella quale si corre volentieri il rischio, come ricorda Emanuela Serra, di «vedere i mostri quando si scende», di toccare il profondo dell’immersione. «Quel che vedi non dirlo a nessuno resta nell’immagine». Nei giorni successivi, a più riprese e distrattamente, ci si ritrova spesso a ripensare a questo messaggio, scritto e apposto su un cartello tenuto in mano da uno dei protagonisti, che si palesa alla fine, nella visione appannata e stanca, quando il filmato sta per concludersi e, se prima ci si preparava ad applaudire, ora si saluta lo spettacolo attraverso lo switch off del pc. E allora come si resta nell’immagine e cosa resta di essa? Come possiamo entrare e poi uscire per comprendere quale sia oggi l’immagine del teatro?
Lucia Medri
M.A.D. / BLACK curato da Matteo Croci creato a partire dallo spettacolo M.A.D. Museo Antropologico del Danzatore – Ideazione scenica Michela Lucenti – Progetto e regia video Matteo Croci – Disegno Sonoro Guido Affini, Tiziano Scali – Produzione video Festival Resistere e Creare / Fondazione Luzzati Teatro della Tosse – Danzato e creato da Maurizio Camilli, Loris De Luna, Francesco Gabrielli, Maurizio Lucenti, Michela Lucenti, Alessandro Pallecchi, Matteo Principi, Emanuela Serra, Giulia Spattini – Produzione Balletto Civile In coproduzione con Festival Oriente Occidente – Festival Fisiko! – Associazione Ultimo Punto/Festival Artisti In Piazza Festival Pennabilli Con il sostegno di Mibact
M.A.D. / WHITE curato da Rocco Malfanti creato a partire dallo spettacolo M.A.D. Museo Antropologico del Danzatore. – Ideazione scenica Michela Lucenti – Progetto e regia video Rocco Malfanti – Disegno Sonoro Guido Affini – Produzione video Festival Resistere e Creare / Fondazione Luzzati Teatro della Tosse – Danzato e creato da Maurizio Camilli, Loris De Luna, Francesco Gabrielli, Maurizio Lucenti, Michela Lucenti, Alessandro Pallecchi, Matteo Principi, Emanuela Serra, Giulia Spattini – Produzione Balletto Civile In coproduzione con Festival Oriente Occidente – Festival Fisiko! – Associazione Ultimo Punto/Festival Artisti In Piazza Festival Pennabilli Con il sostegno di Mibact