L’invidia di Mozart e Salieri nel debutto del Livore firmato da VicoQuartoMazzini. Contemporanea Festival 2020 di Prato. Recensione
Sia dato onore alle compagnie teatrali che cercano di non perdere il contatto con la tradizione, in nome di una innovazione a volte modaiola, utile più alla mostra di sé che al dibattito contemporaneo. È questa una caratteristica che la compagnia VicoQuartoMazzini, fondata nel 2007 da Michele Altamura e Gabriele Paolocà, ha sempre portato con sé in ogni progetto, mossa da un amore per il teatro di prosa visto, partecipato, agito nelle compagnie da cui trarre un testimone epocale, da cui assimilare caratteri ed emozioni da condividere. Non è raro dialogare con i due attori e registi e trovarsi immersi in una memoria vissuta o solo riportata di episodi divertenti, simbolici, aneddoti funzionali alla storia recente di questa arte profondamente intrisa di Novecento, strumenti di un teatro artigiano e ribollente, fatto di terra più che d’aria. Se ne avverte un segno importante sulla scena di Livore, spettacolo scritto dal drammaturgo – qui anche attore con i due succitati – Francesco d’Amore e ispirato alla vicenda del Mozart e Salieri di Aleksandr Puškin, intercettato in prima nazionale all’Ex Cinema Excelsior per il Festival Contemporanea 2020 di Prato, dopo una anteprima al Festival Inequilibrio 2020 di Rosignano Marittimo.
È una scena minimale quella che accoglie gli spettatori, uno spazio casalingo geometrico e completamente bianco, asettico come si intende far emergere anche la storia narrata, con solo una pedana in legno sotto una struttura quadrata molto stretta, universalmente nota come “americana”, a supporto della tecnica. Due uomini, che vivono una relazione insieme d’amore e di lavoro, attendono l’arrivo di ospiti importanti per una cena. Il padrone di casa, manager, sta cercando di pensare ogni passaggio con cura meticolosa, vuole che nulla vada storto; l’altro, attore in rampa di lancio, è in realtà animato da frustrazioni rispetto al successo che entrambi hanno ipotizzato per il prossimo futuro, forse non è pronto, forse non lo sarà mai, fatto è che la sua sbadata presenza lo tiene in un costante stato di disagio e alterazione, su cui è invitato a lavorare perché non si rovini questo decisivo appuntamento. Il terzo, attore animato dal fuoco dell’arte e considerato un po’ fuori di testa, capita all’improvviso durante i preparativi, gettando il manager nello sconforto per il temuto pericolo che possa nuocere all’appuntamento. L’attore di successo ma di scarso talento, da tempo amico del secondo di cui ammira pressoché segretamente la passione e la dedizione, lo accoglie ma cerca anche di disfarsene per non scontentare il manager; ma tra i due il dialogo è fervente, quasi infuocato: entrambi stanno lavorando nella produzione della serie TV su Mozart e Salieri, interpretato rispettivamente dai due attori (in ordine di apparizione), così che per una scena tagliata l’attore reietto si accorge di essere tale, che verrà presto estromesso e non potrà lavorare ancora nella serie.
È questo il punto di massima attenzione, quando l’unico punto di colore dato dalle rape rosse da preparare esplode nel bianco uniforme, proprio là dove il tema dell’invidia caro a Puškin prende forma e si avviluppa sulla vicenda, veicolando le azioni in una zona in cui lo spettatore si fa timoroso degli eventi appena da venire. Gli ospiti arriveranno tra non molto, la situazione è sempre meno gestibile, il dialogo scava fin nelle viscere della loro storia, fin dagli inizi in accademia e la scelta di strade diverse, con diversi compromessi rispetto alla vocazione che portano entrambi nei pensieri. Attorno si muove la riflessione sul legame tra arte e business, ossia sulla componente che da un lato ne amplifica il senso e il veicolo di fruizione, dall’altro ne limita la libertà espressiva; è un vecchio discorso che, nelle pieghe di un dialogo serrato, raccoglie semi di discussione vivi e urgenti, capaci di intercettare un punto nodale del contemporaneo.
La scrittura di d’Amore è delicata, note ironiche in sospensione accompagnano la vicenda e ben si accordano alla complessità del suo personaggio tormentato, animato dai dubbi; gli altri due – Altamura e Paolocà sono due attori solidi e concreti – sono i lati forti del triangolo, si intuisce presto saranno loro a prevalere e trovare un punto di accordo sorprendente, ma è proprio in quel momento che forse tutto l’impianto legato all’invidia si discosta dal testo d’ispirazione, prendendo una strada propria che raggiunge l’inatteso finale. Il pregio dello spettacolo è dunque quello di insinuare un requiem (quello commissionato da Salieri a Mozart, che ne sarà la condanna) il cui svelamento arriverà sotteso, sibilante e mai davvero espresso; in tal modo la tensione cresce conservando l’interesse di una rivelazione che metta in luce – ma chissà non fosse il caso di metterlo in crisi – il meccanismo teatrale. Perché di contro, proprio quel meccanismo, servito da una situazione e una dinamica di tendenza quasi cinematografica, si pone nel rischio di finirne schiacciato, saturando di stile – dunque recitativo e scenografico – il tema centrale dell’invidia, in pericolo di scomparire e con esso anche Mozart, Salieri, lo stesso Puškin, usciranno silenziosamente di scena.
Simone Nebbia
Settembre 2020, Contemporanea Festival, Prato
LIVORE
Mozart e Salieri
uno spettacolo di VicoQuartoMazzini
con Michele Altamura, Francesco d’Amore, Gabriele Paolocà drammaturgia Francesco d’Amore
regia Michele Altamura, Gabriele Paolocà
scene Alessandro Ratti
light design Daniele Passeri
tecnica Stefano Rolla
management e distribuzione Theatron 2.0
produzione VicoQuartoMazzini, Gli Scarti, Festival delle Colline Torinesi con il sostegno di Armunia e Teatri
Associati di Napoli/C.Re.A.Re Campania