Paola Rota, Simonetta Solder e Teho Teardo presentano il progetto Illegal Helpers a Short Theatre 2020. Recensione
Short Theatre è ancora sul pezzo. E torna anche questo settembre, anche durante una pandemia e il riaffiorare dell’allarmismo mediatico da contagio Covid- 19, quasi ci fossimo di nuovo svegliati dal torpore estivo che ha seguito il lockdown e dovessimo fare i conti con il ritorno alla vita, e con il ritorno del virus. Nel momento in cui l’appetibilità tematica della questione delle frontiere e dei migranti sembra aver perduto la sua incidenza vista la dichiarata chiusura dei confini e si è tramutata in un’emergenza minore tuttavia strumentalizzata al fine di instillare nei refrain propagandistici quel rivoltante razzismo dialettico che vede lo straniero, non solo più il richiedente asilo, ma anche “l’extra italiano”, un possibile untore; è in questa fragilità contingente alla quale siamo esposti, che la visione pomeridiana di Illegal Helpers ci riconsegna al nostro ruolo di esseri sociali, ora annichiliti dai distanziamenti, dalle comunità atomizzate, dalla diffidenza e dalla paura.
Festival delle Colline Torinesi, Torino Creazione Contemporanea, TPE (Teatro Piemonte Europa), PAV/Fabulamundi Playwriting Europe–Beyond Borders sostengono la circuitazione di questo progetto presentato ieri con due repliche a Short Theatre e firmato da Paola Rota, Simonetta Solder e Teho Teardo, i quali da ideatori e curatori dichiarano nelle note di regia che «tra quindici anni vorremmo non fosse così attuale, vorremmo pensare che è un reperto di un mondo che non esiste più. Questo spettacolo è un incontro tra tre persone e un testo, un tema, che quindici anni fa non sarebbe potuto esistere».
Entriamo in sala e occupiamo il posto, singolo o congiunto, riempiamo lo spazio, siamo tanti e ognuno è parcellizzato e isolato nel carpire dalle cuffie precedentemente distribuite i brusii, il rumore indistinto, il sibilo costante e anticipatorio del tessuto di voci che andremo ad ascoltare. È buio, tintinnano due piccole campane, la luce si accende su Simonetta Solder al centro della sala e vicino a un baule di legno, la quale commenterà ciò che udiamo, come fosse una presenza dialogante, e solo verso il finale con tono perentorio ci inviterà a togliere le cuffie e a sentire, direttamente, la sua voce senza dispositivi intermediari. Al lato destro, sulla consolle, Teho Teardo compita e campiona lunghi periodi sonori che sono anch’essi risonanze di discorsi e di frammenti di tempo, discreti e non sovrastanti, combinati allo scorrere dei ragionamenti. L’agire genocidario non è mai parallelo alla sua attuazione, c’è sempre uno scarto menefreghista tra quando questo viene perpetrato e la sua evidenza storica: l’orrore non è percepito oggi, appartiene a un prima o a un dopo.
E il presente? Margareth Obexer, “Maxi”, è una scrittrice freelance italo tedesca, autrice di testi teatrali, racconti, radiodrammi, saggi, ha deciso di raccogliere queste interviste registrate in quattro diversi paesi d’Europa e rivolte a coloro che oggi stanno aiutando illegalmente tutti i migranti e richiedenti asilo espulsi dalle nazioni europee. Disseminati a distanza in una delle sale dell’ex Mattatoio La Pelanda rappresentiamo scenicamente quella moltitudine di triettorie di vita, di flussi di esperienze che sentiamo raccontarsi e registrati dalle voci di Luigi Diberti, Luigi Di Majo, Pietro Faiella, Silvia Gallerano, Giorgio Marchesi, Orietta Notari, Irene Petris, Francesco Bolo Rossini.
È una messinscena esile e agile, leggera e adatta a poter viaggiare rappresentando anche nella sua forma puntinata di sedie occupate dal pubblico, quella mappa di corpi anonimi potenzialmente dispersi, potenzialmente uccisi. Le testimonianze selezionate rendono atto di omicidi, non di morti. Non si muore in mare o ci si disperde, si viene torturati e ammazzati, a meno che non si venga salvati da chi decide di andare contro la legge. Nell’evidenziare alcuni punti della Convenzione di Dublino – il trattato internazionale multilaterale in tema di diritto di asilo – il testo interroga alcuni articoli specifici a dimostrazione di quanto «l’applicazione di questo regolamento può seriamente ritardare la presentazione delle domande e dar luogo a richieste d’asilo che non vengono mai prese in considerazione. Le cause di preoccupazione includono anche l’uso della detenzione per il trasferimento dei richiedenti asilo da parte dello Stato in cui fanno domanda allo Stato ritenuto competente (cosiddetto Dublin transfer), la separazione delle famiglie e la negazione di una effettiva possibilità di ricorso contro i trasferimenti. Il sistema di Dublino aumenta inoltre la pressione sulle regioni di confine esterno dell’UE, dove la maggioranza dei richiedenti asilo entrano nell’UE e in cui gli stati sono spesso meno in grado di offrire sostegno per l’asilo e la protezione dei richiedenti».
L’attuazione silenziosa di un genocidio avviene attraverso l’eliminazione dell’individualità altrui, lo smantellamento graduale di interi corredi identitari. Gli stati europei, affermano le voci, sono complici di una progressiva e forzata rimozione di tutti coloro che vengono considerati una minaccia alla preservazione dei confini. Essere costretti a cancellare le proprie impronte digitali, levigando i polpastrelli come a far tabula rasa di migliaia di storie, è tra le informazioni reperite la più determinante, simbolo di un materiale orale che è la rappresentazione di una minima parte relativa a una realtà più estesa, corrotta e imperante che determina l’espulsione di molti e la negazione del loro nome. È un settembre strano quello che stiamo vivendo, “un inizio anno che non inizia” e quasi a metà del mese, Illegal Helpers si configura come un incidente necessario, un invito a imbattersi in quei corpi in guerra per la propria affermazione politica, per la propria esistenza negata, e da queste voci siamo richiamati a tornare ai nostri doveri politici, forse addormentati, forse intimoriti da questo ottundimento che distoglie dall’azione. Il pubblico accaldato scioglie la posa concentrata nell’applauso, lo spettacolo si conclude, imbracciamo la borsa e infiliamo l’uscita. Il ritiro della nostra carta d’identità ai fini della restituzione delle cuffie non è mai sembrato un gesto così prezioso.
Lucia Medri
Short Theatre – Roma, settembre 2020
ILLEGAL HELPERS
di Maxi Obexer
progetto di Paola Rota, Simonetta Solder, Teho Teardo
voci registrate Luigi Diberti, Luigi Di Majo, Pietro Faiella, Silvia Gallerano, Giorgio Marchesi, Orietta Notari, Irene Petris, Francesco Bolo Rossini
allestimento scenico Andrea Violato
traduzione Sonia Antinori
produzione Festival delle Colline Torinesi–Torino Creazione Contemporanea, TPE (Teatro Piemonte Europa), PAV/Fabulamundi Playwriting Europe–Beyond Borders