Santarcangelo Festival compie 50 anni e, con la direzione artistica dei Motus, presenta il proprio Futuro Fantastico in dialogo con la letteratura, il cinema, la televisione e la piazza. Intervista a Daniela Nicolò
Una lunga edizione, lunga fino al 2021 e divisa in tre atti. “La piazza” cinquantennale di Santarcangelo Festival ha mutato aspetto – da come era stato pensato il programma a inizio anno – e muterà ancora, come appunto nei sogni, mai definiti, sempre mutevoli. Quale sarà però la realtà di questa nuova, e necessaria, piazza?
Cristallizzato nell’ambra del momento, era il tempo che, ancora prima dell’emergenza, abbiamo pensato di abitare costruendo una drammaturgia legata all’immaginario letterario di Asimov, il quale con Futuro Fantastico sembra aver previsto quello che sarebbe successo nel 2020. Un’immaginazione fantastica, un futuro in grado di rielaborare il passato. Per noi quello che è successo in questi mesi è stato un po’ come un déja vu che ci ha riportato tra le pagine di Ballard, di certa letteratura… Il “tema della piazza” era per noi un’urgenza posta al centro sin dal vecchio programma e la pandemia è poi scoppiata quando eravamo in dirittura di arrivo, in chiusura e pronti a lavorare al catalogo; stavamo proprio per definire gli ultimi accordi tra i vari network e i numerosi processi partecipativi. Alla base vi era infatti il progetto speciale con spettacoli e performance gratuiti all’aperto o nelle abitazioni del paese chiamato Marea, una massa di persone che invade gli spazi facendoli straripare. Quando gradualmente abbiamo avuto consapevolezza della situazione che ci apprestavamo a vivere, abbiamo comunque confermato la nostra linea di ripartire dagli spazi all’aperto, immaginando questo festival come un grande spettacolo, che sia anche cinematografico: il 2020 coincide del resto con il centenario dalla nascita di Federico Fellini e Tonino Guerra. I corpi, seppur principalmente soli e distanziati, abiteranno tutti gli spazi nella loro singolare possibilità. Abbiamo dovuto privilegiare i format semplici e agili trovando linee di continuità con l’idea originale anche se le proposte potranno apparire più disancorate. Non vogliamo soffermarci troppo sugli spettacoli, crediamo sia importante ora preservare il valore dell’esperienza. Immaginavamo di fare un festival più fluido ma i decreti hanno uniformato il tutto, senza poi considerare la diversità delle realtà. Molti artisti tuttavia hanno dimostranto grande adattabilità e iniziativa pensando a dei concept e progetti ad hoc rimodulati per l’attuale situazione. Santarcangelo Festival possiede una natura di villaggio che vive in relazione agli eventi di coinvolgimento della comunità e non possiamo rinunciarvi e, nell’escludere momentaneamente la dimensione internazionale, ci concentreremo allora sull’aspetto locale. A tal proposito abbiamo deciso di non fare spettacoli in piazza per non chiuderla, la useremo certo ma senza transennarla. I luoghi usati saranno Imbosco, lo Sferisterio e nel centro storico la Piazza del campanone, a Piazza Ganganelli invece ci sarà un maxi schermo per la programmazione di contributi, riprese, visual che restituiranno del festival i momenti salienti come fosse una sorta di tv virale.
Il cinema e il teatro e la danza anche. Se, cito dal vostro manifesto, «tutto il Festival sarà atto performativo, un set cinematografico esploso, dove cittadini e cittadine, performer, tecnici, cuochi, negozianti, amministratori… saranno attori di un gigante film post- apocalittico» come avverrà questa traduzione filmica e documentaria?
Avevamo pensato a un progetto chiamato Ogni giorno è la fine del mondo per qualcuno – citando l’autrice e attivista canadese Margareth Atwood – costituito da quattro set cinematografici, nazionali e internazionali, pensati in tempo reale e che avrebbero coinvolto pubblici diversi e cittadinanza, per confluire poi in un unico film di science fiction in quattro episodi, ciascuno per ogni regista. Per sostenere questa nostra idea, abbiamo deciso di affidarci alla società di produzione audiovisiva indipendente Dugong perché possiedono una conoscenza raffinata e sperimentale di cinema e teatro. Con la redazione di Filmmaker Festival di Milano creeremo invece una sorta di redazione virale per poter raccontare il Festival attraverso altri sguardi. Ed era proprio questo tema tratto dalla citazione di Atwood che ci piaceva indagare perché da più fonti il 2020 è sempre stato visto come un anno associato alla fine del mondo. I filmmaker confermati sono gli italiani di Zapruder filmmakersgroup, che contibuiranno a un grande progetto che non voglio ancora svelare. Era previsto, ahimé, anche il debutto della compagnia El Conde de Torrefiel la quale sta lavorando a un progetto filmico con un regista spagnolo. Noi di Motus, lavoreremo, forse, a un doc girato autonomamente da noi per il quale stiamo aspettando conferma dei fondi da parte della Film Commission.
La realtà della piazza, la virtualità dello streaming, un innesto proficuo. Come sarà possibile e perché l’uno non sarà sostituto dell’altra ma entrambi permetteranno invece di amplificare l’esperienza?
Non vogliamo rinunciare alla presenza dei corpi ma è anche vero che lo streaming in questi mesi ci ha permesso di scoprire di esso i lati positivi e anche estremamente ecologici come il risparmio di tempo, la riduzione dell’inquinamento e la possibilità del dialogo anche a distanza, come faremo con gli artisti e curatori che interverranno da lontano. Sarà come quando ci si ritrovava davanti la tv negli anni Cinquanta, siamo infatti in contatto con la tv regionale per organizzare visioni via streaming di alcune performance. L’importante è mantenere il doppio versante di comunicazione e far convergere opportunità mediali che possano aumentare il valore inclusivo.
I vostri numerosi viaggi compiuti negli ultimi anni si sono nutriti di mondo e hanno saputo comunicarlo in un racconto diaristico che ho trovato in passato molto coerente alla vostra cifra performativa. Ora con la chiusura delle frontiere e l’impossibilità di molti artisti internazionali di poter partecipare al primo atto di questa estate, mi chiedo quanto mondo sarà comunque presente per poter guardare, per il momento, il nostro interno?
Dopo dieci anni di continui spostamenti, abbiamo apprezzato molto lo slow down di questi mesi, ne avevamo davvero bisogno. È stata un’occasione per rigenerarci e guardare quello che è più vicino a noi. Personalmente non ho sofferto la stasi, anche perché il dialogo con gli artisti oltreoceano è rimasto continuativo. Vogliamo che questa edizione torni in questi luoghi, che quella di quest’anno sia una festa locale, anche rispetto alla direzione precedente e non vogliamo affatto forzare la dimensione internazionale. Crediamo a tal proposito che il progetto con Zimmerfrei in dialogo con le famiglie del luogo sia indispensabile, per fornire anche uno spaccato di realtà e di racconto sul nostro tempo. Avevamo in cantiere tutti progetti che coinvolgevano scuole e università italiane e internazionali che abbiamo dovuto rimandare, stavamo lavorando anche a una Summer School internazionale ormai spostata al 2021. Santarcangelo Festival sarà comunque costituito da due progetti europei organizzati a distanza attraverso i quali gli artisti potranno partecipare all’esperienza in maniera dialogica. Per ora devo ammettere tuttavia che questa dimensione di chiusura nel nostro territorio non ci spaventa affatto, anzi!
E poi l’inverno, ovvero nel secondo atto di Santarcangelo Festival 2050 – Winter is coming verranno ospitate nuove creazioni in maggior parte di registe e coreografe italiane emergenti negli spazi restaurati del Teatro Il Lavatoio. L’attenzione di genere, quanto è funzionale all’emersione di una ricerca e poetica relativa forse ancora troppo sotterranea?
Il festival avrà una parte organizzata in autunno al fine di poter tutelare tutti quegli artisti e le loro opere che al momento hanno subito la sospensione delle prove e non sono ancora pronte. Le artiste in questione erano già in dialogo con noi, quindi non è stata propriamente una scelta che ci eravamo preposti ma una coincidenza, nonostante ciò il dato di fatto è che l’autorialità femminile è molto svantaggiata nel nostro sistema patriarcale italiano, infatti non è un caso che molte siano opere prime e progetti di sperimentazione, come se ci fosse il bisogno di trovare degli interlocutori in grado di supportare le diverse autorialità. Non voglio si creino dei recinti ma credo sia tuttavia necessario fare uno sforzo in più per le donne.
Cormac McCarthy, nel suo immaginario post-apocalittico La strada, scrive «Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice, vorrà dire che ti sei arreso». Perché progettare e sognare questo cinquantennale è per Santarcangelo Festival il solo futuro fantastico possibile?
Il termine “fantastico” vive per noi una sua doppia declinazione da intendersi non necessariamente come qualcosa di meraviglioso: da un lato implica la non rinuncia al potere dell’immaginazione, dall’altro è legato al fantascientifico, nell’accezione di qualcosa che vuole andare oltre le restrizioni del presente. Una sezione del festival era infatti dedicata ai viaggi nel tempo, alla tematica della slow cancellation of the future di Mark Fisher, e un’altra era specificamente rivolta all’afrofuturismo. Non è un caso che in Africa, soprattutto nei paesi in cui vigono regimi dittatoriali, la produzione fantascientifica sia ora molto più forte che in Occidente: dopo l’esplosione degli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta, da noi si è gradualmente affievolita quel tipo di produzione letteraria. Avremmo anche voluto approfondire le tematiche relative al Black Futurism, in bilico tra una dinamica di oppressione ed esplosione dei contenuti immaginativi. Non vogliamo però lanciare solo visioni positive. Sono molto preoccupata del futuro a cui stiamo andando incontro ma non per questo dobbiamo smettere di pensare a soluzioni altre, di continuare a immaginare forme di solidarietà e reinvenzione di rapporto con l’ambiente. Il lockdown ci ha fatto uscire dalle dinamiche di iperproduzione, ci ha permesso di cambiare le nostre abitudini di consumi, e abbiamo cercato di canalizzare queste energie e idee all’interno del gruppo facebook Dream Suqq. Tra i progetti in cartellone, c’era proprio la volontà di reinvenzione architettonica, un lavoro congiunto con degli urbanisti, attività con i bambini delle scuole dedicate al compostaggio, l’iniziativa di piantare un albero nella piazza, lo studio delle piante… L’immaginazione fantastica credo debba consistere sempre nel non aver paura di fare proposte, anche quelle più assurde, nella tensione di gettare semi che possano germogliare, soprattutto in questo tempo difficile.
Lucia Medri