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«Non esistono teorie». Stanislavskij nel Romanzo teatrale di Bulgakov

Tra esagerazioni e spunti interessanti, una prospettiva della figura di Kostantin Stanislavskij a partire dall’esperienza di Michail Bulgakov, riportata nel suo Romanzo teatrale.

A sinistra lo scrittore, a destra il regista

Michail Bulgakov frequentò dal 1925 al 1936 il Teatro d’Arte di Mosca (MAT), fondato nel 1898 da Konstantin Stanislavskij. Qui lo scrittore ebbe l’opportunità di lavorare come attore e assistente alla regia, curando tra le varie cose una riduzione teatrale delle Anime morte di Gogol (1930-1932) e rappresentando due suoi drammi: I giorni dei Turbin (1926), adattamento del suo primo romanzo La guardia bianca, e La cabala dei devoti, ispirata agli ultimi anni di vita di Molière (1936).

I due intellettuali si scontrarono spesso. Durante la messa in scena de I giorni dei Turbin, Bulgakov cedette a numerose richieste di tagli e modifiche fatte da Stanislavskij. Il conflitto raggiunse però l’apice con il lavoro su La cabala dei devoti. Stanislavskij desiderava far emergere il genio di Molière, mentre Bulgakov voleva criticare l’ipocrisia della società ecclesiastica che attaccò l’artista e impedì la messa in scena del Tartufo, portandolo prima all’esasperazione, poi alla morte. L’uno mirava a uno spettacolo psicologico, l’altro a uno politico.

Quando Bulgakov abbandonò il MAT, iniziò a scrivere il Romanzo teatrale: testo incompiuto che fa la parodia del magistero di Stanislavskij, con un chiaro sfondo auto-biografico. Buona parte dei fatti raccontati alludono ai conflitti davvero avvenuti durante l’allestimento de I giorni dei Turbin e de La cabala dei devoti. La trama mostra le difficoltà che incontra lo scrittore Maksudov (= Bulgakov) nel tentare di mettere in scena la drammaturgia Neve nera da parte del regista Ivan Vasil’evič (= Stanislavskij). Il protagonista sarà alla fine istigato al suicidio, subendo una sorte simile al perseguitato Molière de La cabala dei devoti. La morte di Stanislavskij nel 1938 spinse però Bulgakov ad abbandonare il progetto, per concentrare gli sforzi sulla sua opera maggiore Il maestro e Margherita.

Ci sono diversi aspetti del Romanzo teatrale che sono un po’ figli dell’animosità personale e vanno presi con cautela, forse considerati addirittura ingiusti. Per esempio, il testo rivela a un certo punto che molti adattamenti di Neve nera da parte di Vasil’evič non sono dovuti a esigenze artistiche. La richiesta di far morire il protagonista con una pugnalata invece che con uno sparo alla testa nella scena finale e quella di trasformare la sorella del personaggio in sua madre sono dovute alla vanità dei membri del MAT. Gli attori e le attrici dell’istituzione sono perlopiù anziani che vogliono mettersi in mostra in scene melodrammatiche. Il MAT è così presentato come un covo di passatisti e tromboni. Semplificante appare poi la sintesi che il romanzo fa del metodo della «reviviscenza» di Vasil’evič/Stanislavskij, ridotto al pensiero che l’attore deve immedesimarsi nel personaggio che interpreta e riviverne le passioni per essere credibile. La satira di Bulgakov resta così da questo punto di vista alla superficie.

C’è però un aspetto originale del Romanzo teatrale che merita attenta considerazione e invita a riconsiderare il testo con interesse. Essa consiste in una critica di Maksudov/Bulgakov proprio alla «reviviscenza» di Vasil’evič/Stanislavskij.

Photograph of Chekhov reading The Seagull to Stanislavski and the Moscow Art Theatre group, 1900

Durante un suo colloquio con gli attori del MAT, che gli consigliano di modificare ampiamente il suo testo per adeguarsi ad alcune leggi che regolerebbero la vita sul palcoscenico, il personaggio grida esasperato che «Non esiste alcuna teoria» sul teatro. Esso è in fondo un’arte che non si può sistematizzare, né ridurre a regole. La prova empirica che viene fornita è una discrasia evidente tra teoria e pratica, che stavolta isola un merito di Vasil’evič. Quest’ultimo è descritto come un grande attore, tanto che Bulgakov/Maksudov guarda ogni suo minimo gesto attoriale con ammirazione. Nello stesso tempo, però, Vasil’evič non ha saputo trasmettere questo talento recitativo agli altri: al suo confronto, le attrici e gli attori del MAT risultano affettati, finti, privi di personalità. Il suo metodo non è allora un metodo. È l’espressione di un talento geniale che ha cercato vanamente di sistematizzare ciò che non è sistematizzabile.

L’elemento serio della satira del Romanzo teatrale di Bulgakov consiste così in una critica spietata e ironica all’interpretazione del teatro come una scienza. Se esso non può essere sistematizzato, né insegnato, allora ne segue che esso sia piuttosto una pratica che muta in base all’umore dell’artista e al contesto sociale in cui si trova ad operare. Non è così un caso che Bulgakov – che pure dedicò la sua vita al teatro, scrisse molti testi teatrali e perfino un saggio biografico sulla vita di Molière (La vita del signor Molière) – non abbia mai provato a teorizzare che cosa sia quest’arte, quali siano le sue regole e a quali fini dovrebbe mirare. Se così avesse fatto, avrebbe fallito come Stanislavskij o Vasil’evič e sarebbe forse presto rimasto intrappolato in formalismi simili a quelli della sua scuola, privi di bellezza e di sincerità.

Sul piano storico, dunque, Romanzo teatrale ci offre lo sguardo di un testimone diretto (e tuttavia molto parziale) della vita e dell’arte del MAT. Dal punto di vista teorico, ci invita invece a guardare con più scetticismo il teatro, evitando la tentazione a ridurlo a sistema, a mitizzarne i protagonisti.

Enrico Piergiacomi

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Enrico Piergiacomi
Enrico Piergiacomi
Enrico Piergiacomi è cultore di storia della filosofia antica presso l’Università degli Studi di Trento e ricercatore presso il Centro per le Scienze Religiose della Fondazione Bruno Kessler di Trento. Studioso di filosofia antica, della sua ricezione nel pensiero della prima età moderna e di teatro, è specialista del pensiero teologico e delle sue ricadute morali. Supervisiona il "Laboratorio Teatrale" dell’Università degli Studi di Trento e cura la rubrica "Teatrosofia" (https://www.teatroecritica.net/tag/teatrosofia/) con "Teatro e Critica". Dal 2016, frequenta il Libero Gruppo di Studio d’Arti Sceniche, coordinato da Claudio Morganti. È co-autore con la prof.ssa Sandra Pietrini di "Büchner, artista politico" (Università degli Studi di Trento, Trento 2015), autore di una "Storia delle antiche teologie atomiste" (Sapienza Università Editrice, Roma 2017), traduttore ed editor degli scritti epicurei del professor Phillip Mitsis dell'Università di New York-Abu Dhabi ("La libertà, il piacere, la morte. Studi sull'Epicureismo e la sua influenza", Roma, Carocci, 2018: "La teoria etica di Epicuro. I piaceri dell'invulnerabilità", Roma, L'Erma di Bretschneider, 2019). Dal 4 gennaio al 4 febbraio 2021, è borsista in residenza presso la Fondazione Bogliasco di Genova. Un suo profilo completo è consultabile sul portale: https://unitn.academia.edu/EnricoPiergiacomi

1 COMMENT

  1. Bulgakov di teatro praticato, ovvero di lavoro con gli attori, non ha mai capito nulla. Leggasi l’articolo “Capitolo biomeccanico”, scritto da Bulgakov nel 1923 e pubblicato dopo la prima de ‘Il mangifico cornuto’ di Mejerchol’d al Gitis di Mosca.

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