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Presentazione M.A.P.P.A. Mid-Apocalyptic Perspective on Performing Arts

Verso una rubrica di interviste con giovani critici e osservatori della scena europea, per allargare l’orizzonte dell’attuale dibattito sulle arti performative. Un progetto di Teatro e Critica con il supporto di Pav

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Proponiamo ai lettori una serie di interviste, pubblicate su queste pagine con cadenza settimanale, ospitando il punto di vista di giovani critici e giornalisti europei. Quali strategie per la riapertura si stanno studiando negli altri paesi? Quali politiche a supporto dei lavoratori del teatro? Come stanno cambiando i linguaggi? E come vivono, gli stessi giovani autori, questa fase critica sul piano culturale e lavorativo?

Leggi tutte le interviste del progetto M.A.P.P.A.

Nei giorni del lockdown appena terminato, è parso che le energie produttive del circuito teatrale si siano riversate in un dibattito quotidiano sui social, trovando eco in altri contenitori digitali. In assenza della liveness delle arti, webinar, podcast, dialoghi e performance in streaming hanno saturato la capacità di attenzione degli osservatori, spingendo talora il discorso critico in una traiettoria – frattale – di riflessione sulla riflessione. Tutto ruota intorno alla domanda: che fare? E certo oggi, nell’attesa della riapertura dei teatri prevista in Italia per il 15 giugno (qui l’articolo), l’interrogativo non perde forza. Fra social distancing e mascherine in platea e sulla scena, l’esperienza del teatro attraverserà una riformulazione prossemica, e dunque drammaturgica, e dunque di senso. Per non citare il tema della fattibilità economica. Ecco che le parole spese, sia pure ove hanno indicato sacrosante necessità politiche e poetiche, sembrano perdere peso di fronte alle necessità imposte della crisi, per di più nella riconfermata dipendenza da istituzioni che appaiono persino analfabetizzate rispetto alla lingua, artistica e umana, dei teatranti. Il dibattito rivela così una tendenza a tratti ombelicale: distante dal pubblico e dalle istituzioni, il mondo del teatro parla a se stesso, frustrato dal confronto con una società spesso sorda alle sue ragioni.

Se da un lato attendiamo le risposte della scena, incuriositi dall’impatto delle regole sui linguaggi e sulle posture spettatoriali, possiamo contribuire a interrompere questa circolarità sul piano del discorso critico. Il vettore che abbiamo individuato è l’internazionalizzazione del dibattito, verso quell’Europa che sappiamo incompiuta, ma della cui incompiutezza è forse il momento di farsi carico nel nostro piccolo. La critica italiana ha saputo, negli ultimi anni, aprirsi al confronto con l’esterno, ove ciò comporti andare oltre la propria stessa lingua? Andare verso il fuori, non solo più seguendo le grandi produzioni estere nelle loro date sul suolo nazionale, non solo più frequentando quei festival che, per tradizione, catalizzano la presenza di autori stranieri: parlare con gli osservatori oltreconfine, creando uno spazio di ospitalità che proceda verso la normalizzazione di una presenza residua, o se non altro molto più limitata (paradossalmente?) che in passato. Allargare in tal senso il dibattito è di per sé un atto politico, oggi come non mai.

Nel propiziare uno scambio che sia durevole, ci pare inoltre necessario rivolgerci agli osservatori più giovani, per così dire alla generazione Erasmus di critici e giornalisti, che già gode i frutti di un’esperienza di mobilità dello sguardo e dei linguaggi. Si tratta inoltre del campione più esposto alla difficoltà lavorative nell’attuale crisi: una compagine ideale per sondare e arricchire l’immaginario di chi, attraverso l’esercizio dell’osservazione e della scrittura, progetta, de facto, le future condizioni al contorno nella fruizione pubblica delle arti dal vivo.

Si vuole dunque disegnare una mappa, gesto di conoscenza fra necessità e desiderio, per figurare uno spazio artistico e geopolitico che vorremo protagonista del nostro domani, da critici, teatranti e cittadini: l’Europa.

A MID-APOCALYPTIC

Nel bel mezzo di queste prove di apocalisse, ancora increduli davanti a questa strana polvere che circola nell’aria, guardando fuori attraverso gli schermi eravamo finiti tra queste righe:

“There’s a reason why ‘post-apocalyptic’ is a genre but ‘mid-apocalyptic’ isn’t, so much – it’s easier to tell a story after the dust has settled”.  (Alice Saville, The paradoxes of trying to make art during a pandemic, pubblicato su Exeunt)

Abbiamo allora accettato la sfida dell’essere nel mezzo e provato a declinare la parola apocalisse nella sua accezione più luminosa: rivelazione, gettar via il velo che copre le cose, in altre parole, scoperta. Ci si siamo scoperti, come mai prima, interconnessi, globali, vicini alle scrivanie di altri osservatori europei, alla loro visione dei palcoscenici vuoti e delle pratiche alternative, digitali e non, in corso di sperimentazione. Quali estetiche e poetiche vanno generandosi? Come stanno ripartendo le arti performative dal vivo? Come stanno sopravvivendo gli artisti, i critici stessi, soprattutto quelli giovani che per lo più lavorano come giornalisti indipendenti? Abbiamo pensato di sondare le forze in campo di un’apocalisse nella speranza di trovare soluzioni e idee per leggere, lungo un orizzonte più ampio, il periodo che stiamo vivendo. E tracciare così una geografia per il futuro.

…MAP

Lo spazio in cui siamo è diventato puntiforme, ci è scivolato fra le mani, è collassato su di sé. Rappresentarlo è impossibile, o non ci restituisce più alcun significato, come dice Michel Houellebecq nel suo tremendo capolavoro “La carta e il territorio”. L’unica consapevolezza che finalmente ci assale è la necessità di una prospettiva ecosistemica: lo spazio in cui siamo è lo spazio che siamo. Urge dunque ri-mapparlo per ri-significarlo, ma solo a condizione di uno sguardo nuovo, per riscrivere il senso dei luoghi al di là del loro potenziale di sfruttamento. D’altro canto, non potremmo fare diversamente: i nuovi media ci impongono di rinegoziare l’estensione e la densità della nostra stessa presenza, frazionata nel rizoma digitale. Lo vedevamo già nel campo delle arti performative: nuovi corpi, nuovi confini. Nuove mappe. Proviamo a orientare lo sguardo in questo processo di trasformazione, che porta con sé l’angoscia dell’ignoto. Proviamo a focalizzare, attraverso un certo raggio di osservazione, lo spazio-Europa, perché la sua sagoma divenga riconoscibile nelle nuove mappe.

25 Maggio 2020 M.A.P.P.A._talk. Teatro e Critica incontra PAV

Apocalypsis cum figuris, Venezia 1975, ph. Eustachy Kossakowski, © Anka Ptaszkowska

English abstract

MAPPA will be a weekly column, hosting young European critics and journalist and their viewpoint over the current troubles in the field of performing arts. Which strategies for reopening the theatres across the continent? What policies to support theatre workers? How are languages changing? And how do the young authors themselves experience this critical phase on a cultural and working level?

During the lockdown days, it seems that the productive energies of the theatre community have been poured into a daily debate on social media, echoing in other digital containers. As surrogates of the art liveness, webinars, podcasts, dialogues and digital performances saturated the attention span of the audience, pushing the critical discourse into a fractal trajectory of reflections on reflections. Everything is about the question: what to do next? Of course, a still opened issue: even though the Italian theatres will reopen on June, the 15th, social distancing and masks among the audience and on the stage will change the proxemics, and so the dramaturgy, and so the meaning of the whole experience. Not to mention the financial problem. Therefore, our words seem to vanish against the concreteness of the crisis, or the dependence on institutions that appear hardly literate about the artistic vocabulary. The debate thus reveals an omphalic tendency: far from the audience and institutions, the community speaks to itself, frustrated by the confrontation with a society deaf to its reasons.

It is urgent to interrupt this circularity on the critic side, and we think that a profitable vector for spreading the horizon is to make the debate international, towards that Europe that we know unfinished, but whose incompleteness is perhaps time to take responsibility for. Talking with observers across the border, offering hospitality for eccentric and hybrid viewpoints. Widening the debate is a political act, today more than ever.

Propitiating a long-term debate, it seems necessary to involve younger observers, the Erasmus generation of critics and journalists, so to speak, who has intellectual and artistic mobility in his cultural DNA. Also, this sample is the most exposed to working difficulties in the current crisis: an ideal team to measure and enrich the imaginary of those who, through the art of observation and writing, plan the future conditions of the public fruition of the live arts.

We, therefore, want to draw a map, a gesture of knowledge between necessity and desire, to represent an artistic and geopolitical space that we, as critics and citizens, would like to be the protagonist of our tomorrow: Europe. For there is also a bright sense in the world apocalypse: to throw away the veil that covers things, in other words, a revelation. We may discover these energies were already questioning the artistic practice, especially under the aspect of the renegotiation of the physical presence around the performance.

di Luca Lòtano e Andrea Zangari

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