Torniamo a La Casa Internazionale delle Donne per la replica finale della tournée dello spettacolo La Maschia di Teatri di Vita. Recensione
Nello scorrere nevrotico del tempo romano, nella moltitudine indifferente che attraversa senza sostare, nella volatilità antisistemica, che valore hanno oggi nella nostra città i luoghi di aggregazione sociale? Come e quale ruolo svolgono? Sono un’eredità storica o avrebbero bisogno di un cambiamento generazionale? Disattendendo risposte univoche a simili quesiti che stentano ora a sedimentare una riflessione in divenire, non possiamo restare tuttavia indifferenti a certe rinnovate “dimostrazioni di presenza”. Poco prima della frenesia natalizia, in un affannato giovedì di metà dicembre trafficato e maggiormente intasato da un diluvio incessante, la Casa Internazionale delle Donne ha riconfermato – con quella militanza continuativa e silenziosa, priva di quel clamore evenemenziale ma forte del calore della sua solida utenza – di essere ancora un presidio necessario alla cittadinanza romana. Prima dell’ingresso in sala, tra loro le persone si riconoscono e si salutano, si aggiornano rispetto agli impegni organizzati presso la Casa, si danno l’arrivederci ad altre occasioni, decidono di vedere lo spettacolo insieme…
La replica finale della tournée 2019 dello spettacolo La Maschia di Teatri di Vita, programmata nella storica sede di via della Lungara, ha registrato una platea piena, un pubblico partecipante e un ascolto proficuo. La versione italiana di Stefano Casi del testo H to He (I’m turning into a man) della drammaturga e stand-up comedian inglese Claire Dowie per la regia di Andrea Adriatico ha permesso di osservare come l’utilità sociale di un luogo possa fare da traino a una scelta di programmazione non solo culturale ma anzitutto politica. Perché Claire Dowie è l’autrice che “te lo sbatte in faccia”, nel rigore crudo di una scrittura che procede in parallelo, tipica della sintassi inglese, e che non si attorciglia in complesse perifrasi ma si dispiega in coordinate, in sillogismi spregiudicati, cogliendo appieno la temperie di un movimento di pensiero. «Quello di Dowie è un discorso sociale sul genere. Non è un lavoro su qualcuno che cambia sesso quanto sulla spinta dell’adeguamento femminile al modello maschile», Casi me ne parla durante una telefonata, ribadendo le motivazioni che sottostanno alla scelta di questo testo e del luogo: «un luogo LGBT non ci sembrava adatto, pensavamo fosse più sensato presentarlo in un contesto capace di ripensare modelli e stereotipi relativi al problema del maschio».
Come un Gregor Samsa catapultato nell’orizzonte gender fluid, H si sveglia con una strana e diversa percezione di sé e in una serie di battute ripetute come fossero un angosciato refrain prende man mano consapevolezza del cambiamento: «sto diventando uomo!». La mano e il piede destro e poi la peluria sulle natiche e la pancia, il petto scompare mentre appare il pomo di virile significanza all’altezza della gola: la metamorfosi è in atto e lo sgomento iniziale trova poi stabilità nella nuova forma. Il palco leggermente rialzato è allestito con un semplice fondale ruotante su se stesso sul quale sono raffigurati, con tratto tipico di un minimalismo infantile, i contorni di un bagno da un lato e quelli di un ingresso casalingo dall’altro. Olga Durano – attrice matura e diretta da Adriatico già in precedenti lavori (L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi di Copi, Quai Ouest di Bernard-Marie Koltès, Jackie e le altre e Un pezzo per Sport di Elfriede Jelinek, Is, Is Oil da Pier Paolo Pasolini e Chiedi chi era Francesco di Grazia Verasani) – è H, il cui corpo e voce sono modulati nella trasformazione, nella presa di coscienza di una corporeità in trans, enunciata attraverso salite e discese tonali. Transizione subìta nella prima parte ma poi agita consapevolmente, in quanto la protagonista da apparente vittima dell’incorporazione di un modello imposto, quello maschile, finirà per esercitare un ruolo di comando rivendicato in nome del nuovo sesso acquisito nei confronti della sua amica accorsa perché insospettita (stralunata e per questo adorabile Patrizia Bernardi, tra le fondatrici di Teatri di Vita) e della sua donna delle pulizie, interpretata da Alexandra Florentina Florea, cantante e attrice dei Cantieri Meticci (Premio Scenario per Ustica 2017). Ferma e risoluta nei suoi pantaloni H, ora He, dirà «sono diventato uomo» schiacciando uno scarafaggio, in una sorta di contrappasso che attualizza la visionarietà kafkiana.
«Abbiamo deciso di ospitare lo spettacolo La Maschia perché non si schiera ma lascia aperti degli interrogativi ed è in grado di parlare alla nostra utenza. La Casa delle Donne è un presidio che dà servizi e anche questa scelta si è dimostrata un servizio: culturale, di intrattenimento ma prima di tutto un servizio. Sarebbe un peccato dover abbandonare questo luogo, ciò significherebbe una perdita per noi, per il Comune e per la cittadinanza tutta». Marcella Triggiani, Responsabile eventi della Casa Internazionale delle Donne, mi conferma lo stato di attesa nel quale la Giunta Raggi ha lasciato finora il presidio culturale. Tutto tace. All’indomani della nomina della nuova presidente Maura Cossutta, risale ormai a più di un anno fa il ricorso al TAR e la richiesta di rinnovo della convenzione con una risoluzione a 300.000 euro per colmare il debito.
In bilico sul filo di un rasoio, da barba o per radersi le gambe, tra stand-up comedy e cabaret, è bastato giusto un fondale un po’ sghembo, qualche parrucca e vestiti eccentrici per parlare a una platea eterogenea e divertita di sesso e potere, genere e sua incorporazione il tutto sbattuto letteralmente in una messinscena che poco si preoccupa della forma quanto vuole perlopiù puntare sulla parola di Dowie, schietta e di intrattenimento, dalla semplicità sprezzante perché detta e rappresentata così com’è, in grado di divertire per una sola sera un pubblico abituale, attivo e privo di sovrastruttura.
Lucia Medri
La Casa Internazionale delle Donne, Roma – dicembre 2019
LA MASCHIA
di Claire Dowie
versione italiana di Stefano Casi
uno spettacolo di Andrea Adriatico
con
Olga Durano
Patrizia Bernardi
Alexandra Florentina Florea
scene e costumi di Giovanni Santecchia
cura organizzativa di Saverio Peschechera
una produzione Teatri di Vita
con il sostegno di Comune di Bologna, Regione Emilia-Romagna, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali