Quinta di copertina per introdurre due volumi editi da Cue Press, entrambi sul drammaturgo franco-uruguaiano Sergio Blanco
Io. Soltanto la prima persona singolare, il soggetto che agisce o subisce, il cartesiano ego cogitante: solo l’io, nient’altro. Un territorio che trova il proprio confine – concreto, e ciò nonostante apparente – nel corpo, e che tuttavia sembra in costante e altalenante metamorfosi tettonica: ora in grado di accogliere e conquistare sconfinate porzioni di mondo, ora di restringersi e contrarsi in recessi di ombra. È tutto qui – ed è così immenso – lo spazio nel quale Sergio Blanco si muove e muove con sé una piccola folla di anime: un paesaggio che lo scrittore franco-uruguaiano, più che cartografare, di volta in volta inventa, edifica in atti e battute, in scene e prologhi che meticciano l’autobiografia con l’invenzione. Lungi dal costituire una declinazione inedita di un genere canonico, l’autofinzione – termine coniato da Serge Doubrovsky già nel 1977 per descrivere il proprio romanzo Fils – sembra però aver trovato, grazie a Blanco e alle sue tante creazioni, una peculiare legittimazione etico-politica, grazie alla quale tentare di schivare qualsiasi facile accusa di attitudine “ombelicale” – invero più diffusa in ambito letterario che teatrale – e tradurre in «espressione del bisogno di sentirsi amati», in «urgenza dell’incontro con l’altro» l’ormai nota trasposizione sul palco di brandelli di vita vissuta: e sognata.
Pubblicato da Cue Press nella collana Gli artisti e tradotto da Annabella Caneddu, Autofinzione. L’ingegneria dell’io è il breve saggio – inteso dall’autore nel suo senso di «prova, luogo di dubbi, di quesiti e interrogativi» – con il quale Blanco offre ai lettori la propria interpretazione di tale dispositivo narrativo, individuando – forse con un approccio eccessivamente antologico e sommario – una serie di “scritture sull’io” nelle quali riscontrarne le forme prodromiche e i primi tentativi di sistematizzazione: dalla Lettera ai Galati di San Paolo al Libro della Vita di Santa Teresa, dall’Ermeneutica del soggetto di Michel Foucault alle riflessioni di Virginie Despentes e Paul Ricoeur. È tuttavia nella sezione conclusiva del volume, intitolata Domande a me stesso: perché l’autofinzione?, che Blanco affonda lo sguardo nel processo creativo, giustapponendo a un “decalogo di un tentativo di autofinzione” sezioni tratte dalle sue opere, in un inesausto scambio tra teorizzazione e risvolto scenico, tra idea e parola, tra scrittura e teatro. Se la narrazione dell’Io è «un semplice tentativo di capire me stesso per arrivare a capire gli altri», i drammi di Blanco – già insigniti di alcuni tra i più prestigiosi premi del settore – mettono al centro le infinite possibilità di un’esistenza quotidiana e riconoscibile: quella di uno scrittore di successo, dal doppio passaporto e dalla sessualità fluida, in un travaso che tuttavia confonde gli snodi reali e le vicende accadute con la loro affabulazione più fantasiosa. Al lettore e allo spettatore è impedito sapientemente di distinguere fra verità e finzione, tra romanzo e documento, in un rifiuto netto di qualsiasi dogmatismo dello sguardo, e in una nuova versione della verosimiglianza manzoniana che racconta l’oggi attraverso lo sguardo di un unico individuo, sia esso rivolto alla realtà o proiettato verso l’immaginazione.
Chissà se S, drammaturgo trentanovenne, ha realmente proposto al Teatro San Martín di Buenos Aires un progetto che avrebbe coinvolto Martín, un giovanissimo parricida. Chissà se è stato proprio di giovedì che Federico ha partecipato al provino per interpretare l’assassino a teatro. Chissà se il corpo del padre di Martín è stato realmente appoggiato al frigorifero dell’abitazione per un tempo così lungo, e se questa idea abbia davvero impressionato S. con tale forza. Tebas Land, candidato al premio UBU 2019 come miglior testo straniero messo in scena da compagnie o artisti italiani (nello specifico Pupi e Fresedde – Teatro di Rifredi, per la versione diretta da Angelo Savelli e portata in scena da Ciro Masella e Samuele Picchi), costituisce l’exemplum di una scrittura che gioca scopertamente con i piani temporali, accostando il racconto del passato con la sua immediata resa scenica, e che nella mistificazione di una vicenda di colpa e possibile redenzione trova l’occasione per un’indagine sul mito di Edipo e sul senso stesso del fare teatro. Proprio in occasione del debutto nazionale dello spettacolo, Cue Press ha raccolto in volume tre testi di Blanco nella traduzione firmata da Savelli: oltre a Tebas Land, L’ira di Narciso e quel Bramido de Düsseldorf candidato al premio UBU 2019 come miglior spettacolo straniero, presentato in Italia nella versione diretta da Blanco stesso. A Savelli dobbiamo una resa piana e accurata del dettato, esito collaterale di un pluriennale progetto di ricerca e scouting focalizzato sulla nuova drammaturgia contemporanea, in grado di trasformare progressivamente il palcoscenico di Rifredi nella casa, tra gli altri, di Eric-Emmanuel Schmitt, di Rémi De Vos, di Josep Maria Mirò: un luogo dove, direbbe Blanco, intraprendere una volta ancora quel «percorso che si snoda al di là di sé stessi per dirigersi verso un Altro».
Alessandro Iachino
AUTOFINZIONE. L’INGEGNERIA DELL’IO
di Sergio Blanco
traduzione Annabella Canneddu
foto di copertina Robert Yabeck
ISBN 978-88-55100-58-8
anno di edizione 2019
pp. 50, € 19.99
TEATRO. TEBAS LAND; L’IRA DI NARCISO; IL BRAMITO DI DÜSSELDORF
di Sergio Blanco
traduzione Angelo Savelli
consulenza Josep Anton Codina, Juan Cacharrón Palhares
foto di copertina Nairín Aharonián
ISBN 978-88-55100-59-5
anno di edizione 2019
pp. 132, € 22.99
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